I principali quotidiani oggi danno la notizia dell'operazione condotta dal'esercito israeliano a Gaza nella quale hanno perso la vita 14 palestinesi tra combattenti e civili.Stampa e Repubblica in prima pagina pubblicano delle foto che vorrebbero descrivere la vicenda; vorrebbero perchè in realtà sono foto di pura propaganda, su Repubblica la classica immagine del bambino contro il carro armato, su La Stampa invece il primo piano di un soldato che, manganello in mano, controlla un gruppo di palestinesi. Nonostante la poco corretta foto di prima pagina, l'articolo di Yariv Gonen sul quotidiano torinese è preciso e circostanziato e descrive nei minimi dettagli sia le ragioni che lo svolgimento dell'operazione. Di seguito lo pubblichiamo.
Su Repubblica il poco corretto Alberto Stabile firma un articolo dal titolo " Gaza, Israele all'attacco battaglia nel campo profughi". Stabile inizia il suo articolo riportando la sconsolata frase del capo redattore del settimanale Al Ayat " A che serve tutto questo?" dalla quale si può facilmente evincere il tono di tutto l'articolo. Logico e fazioso corollario è poi il parallelismo tra attentati e operazioni di questo genere che Stabile non si sforza neanche di descrivere, preferendo la retorica delle condizioni d vita nella Striscia di Gaza. Il corrispondente di Repubblica sostiene che la causa della crescita di Hamas sta nel fatto che gli israeliani, dallo scoppio della seconda intifada, hanno sistematicamente colpito le infrastrutture Anp lasciando integre quelle di Hamas; questa sua tesi è avvalorata dalle dichiarazioni dell'analista politico Mahmud Agrami il quale, tra le altre cose, definisce l'operato dei gruppi terroristici "campagna di resistenza contro l'occupazione". Il quotidiano dell'Ing. de Benedetti si conferma una delle fonti primarie di disinformazione su Israele.
Sul Corriere della Sera un articolo di mezza pagina firmato da Elisabetta Rosaspina che appare un po' stringato rispetto a quelli di Davide Frattini. Il pezzo è sostanzialmente corretto.
Li riproduciamo tutti e tre:
Yariv Gonen dalla STAMPA:Ore di guerra a Gaza
Strage di palestinesi
Quattordici morti tra cui due bambini che secondo Gerusalemme
verrebbero «utilizzati come scudi umani». L’Anp chiede all’Onu la
convocazione del Consiglio di Sicurezza, Hamas annuncia vendetta
Yariv Gonen
TEL AVIV
L'Autorità nazionale palestinese ha chiesto la convocazione immediata del Consiglio di sicurezza in seguito ad una vasta operazione militare israeliana nei campi profughi di el-Bourej e di Nusseirat (Gaza) che ha innescato durissimi scontri in cui almeno 14 palestinesi sono rimasti uccisi e 80 feriti. «Si è trattato - afferma l'Anp - di un massacro terroristico».
Fra le vittime figurano un bambino di sette anni (Yussuf Abdallah Yunes) e uno di dieci anni. «Ma almeno dieci degli uccisi avevano le armi in pugno», ha notato un portavoce militare a Tel Aviv. Quasi tutti erano membri di Hamas, il movimento di resistenza islamico.
Mentre la battaglia infuriava, la televisione palestinese ha sospeso le trasmissioni consuete per mandare in onda immagini appena riprese sul terreno. Una di esse mostrava la disperazione di una donna palestinese, probabilmente la madre di una delle vittime, che esigeva a gran voce che le venisse dato un corpetto esplosivo in modo da potersi vendicare contro gli invasori.
In serata a Gaza hanno avuto luogo i funerali delle vittime. La direzione politica di Hamas ha definito il premier Ariel Sharon «un criminale di guerra» e ha formalmente chiesto al proprio braccio armato di intensificare la lotta armata. Analoga istruzione è stata data la scorsa notte a tutte le cellule delle Brigate dei martiri di al-Aqsa: una formazione legata ad al-Fatah e finanziata (secondo Israele) anche dall'Iran. In Israele, ormai da diversi giorni, viene mantenuto lo stato di massima allerta.
La operazione ha preso l'avvio verso le tre del mattino, quando colonne di mezzi blindati hanno raggiunto la zona delle operazioni (un vasto rettangolo, fittamente abitato, a sud di Gaza) protetti da elicotteri da combattimento. Lo scopo immediato era di trovare e distruggere i magazzini in cui vengono accumulati i razzi, gli ordigni e le munizioni per i mortai di cui abbondano i gruppi armati della intifada. Lo scopo secondario era di costringere i miliziani alla difensiva, per scompigliare i loro progetti di attacco.
Col favore delle tenebre, le forze israeliane sono riuscite a piazzare i propri cecchini sui tetti più alti dei due campi profughi e ad assumere il controllo tattico della zona. Quindi gli altoparlanti militari hanno intimato ai miliziani di gettare le armi ed arrendersi. Immediatamente altri altoparlanti, quelli dei minareti, sono entrati in azione chiedendo disperatamente alla popolazione di riversarsi in strada per bloccare i blindati.
In un intervista alla radio militare israeliana, uno dei comandanti della Brigata Ghivati che ha condotto la incursione, ha detto di aver visto all'improvviso «centinaia, forse migliaia di palestinesi» riversarsi nelle strade. Mescolati a loro c'erano uomini armati che sparavano contro i soldati e lanciavano ordigni, dall'interno della folla.
«Due esplosioni, avvenute all'interno della folla, non sono state provocate da noi», ha detto l'ufficiale. Ha poi aggiunto: «La logica vorrebbe che, durante combattimenti, i bambini restino nelle loro casa. Invece i palestinesi li usano come scudi umani. I bambini corrono in avanti, e dietro di loro i miliziani sparano». Secondo l'ufficiale, i suoi soldati hanno avuto ordine di non sparare verso quei miliziani che erano circondati dalla folla.
Le cifre della battaglia restano egualmente impressionanti. «E’ stato un vero massacro» ha esclamato il sindaco di el-Bourej Kamal Baghdadi, mentre decine e decine di ambulanze cercavano di evacuare i feriti sotto al fuoco delle mitragliatrici. Da parte loro i miliziani di Hamas hanno divulgato in serata un comunicato in cui affermano di aver distrutto due carri armati «Merkava» con razzi Rpg e di aver danneggiato altri due mezzi blindati israeliani con razzi di Battar, di produzione locale. La radio militare ha ammesso che un carro armato è stato danneggiato dal fuoco palestinese e che sono stati necessari molti sforzi per rimuoverlo dalla zona dei combattimenti.
Su un punto, israeliani e palestinesi concordano: di giorno in giorno la situazione a Gaza sta diventando sempre più infuocata. Una spiegazione ricorrente è che la accresciuta attività militare è una conseguenza della intenzione di Sharon di cancellarvi nei prossimi mesi la presenza israeliana, cosa che inevitabilmente lascerebbe un vuoto di potere che molti cercano già di colmare. «Gli occupanti israeliani sono in stato di confusione» ha sottolineato con soddisfazione lo sceicco Nafez Azzam, un dirigente della Jihad islamica. Una frase che forse potrebbe essere sottoscritta dallo stesso capo di stato maggiore israeliano, generale Moshe Yaalon, secondo cui il ritiro unilaterale israeliano da Gaza è, nella fase attuale, un errore. Ma i gradi militari che indossa gli impediscono di contraddire in pubblico il premier Sharon.
Elisabetta Rosaspina sul CORRIERE DELLA SERA:Attacco israeliano a El Burej e Nusseirat: « Un’operazione per prevenire gli attentati »
Gaza, sangue nei campi profughi
Uccisi 14 palestinesi, tra cui tre ragazzi. Hamas: « Un massacro che non resterà impunito »
DAL NOSTRO INVIATO
GERUSALEMME — Domenica di fuoco, sangue e funerali, a Gaza. Domenica di minacce di altro fuoco, altro sangue e altri funerali, ovunque. Dopo oltre sei ore di incursione israeliana e di battaglia nei campi profughi di El Bureij e di Nusseirat, al centro della Striscia di Gaza, 14 palestinesi sono rimasti sul terreno.
Nove appartenevano ad Hamas e uno ai Comitati di resistenza popolare, una sigla che raggruppa varie fazioni armate. Gli altri erano civili, tra cui tre ragazzini di 8, 12 e 15 anni: « Ho cercato in ogni modo di impedire al mio bambino di uscire di casa - si è disperata alla tivù la madre della vittima più giovane -, ma lui è corso dietro ai suoi fratelli, mi è scappato di mano » . I feriti, tutti palestinesi, sono 81. Nessun prigioniero. E' stata l'incursione più cruenta dell'ultimo anno e mezzo a Gaza, dopo i 19 morti della furiosa battaglia al campo di Khan Younis, nell'ottobre 2002.
Dietro ai feretri in partenza dall'obitorio dell'ospedale di Gaza, nel pomeriggio, si sono compattati tutti i gruppi armati delle fazioni locali, le Brigate Al Aqsa ( Al Fatah), le Brigate Izz ed- Din al- Qassam ( Hamas), l'Islamic Jihad. Raffiche contro il cielo e grida di vendetta: « A Tel Aviv e ovunque, finché l'ultimo sionista non avrà lasciato la nostra terra » . L'intenzione di ritiro unilaterale israeliano da Gaza, manifestata dal premier Ariel Sharon nelle scorse settimane, non c'entra con l'operazione, secondo i vertici di Tsahal e il governo israeliano, che teme comunque un rafforzamento di Hamas quando l'area sarà evacuata e si scatenerà una lotta interna per il potere: « Da quei campi arrivano i terroristi - dichiara il portavoce Avi Pazner - e noi dobbiamo fermarli » .
Ma, per il ministro palestinese Saeb Erekat, « la verità è che, prima di ritirarsi, vogliono distruggere Gaza » . Di sicuro, il piano aspetta il consenso degli Stati Uniti, la cui amministrazione teme il surriscaldamento dell'area proprio sotto le elezioni di novembre.
Il capo di Stato Maggiore israeliano Moshè Yaalon, parlando ieri ai giornalisti al check point di Erez, fra Gaza e Israele, ha negato che l'incursione fosse collegata al fallito attacco kamikaze del giorno prima alla stessa frontiera, dove erano morti i quattro attentatori e due poliziotti palestinesi di guardia: « Chiuderemo il varco di Erez al passaggio dei lavoratori - ha avvisato Yaalon - se il terrorismo continua » . Dalla sola area industriale di Erez dipende la sussistenza di 4.000 famiglie e almeno altre 15.000 trovano lavoro al di là del check point.
Nei due campi profughi, attaccati all'alba di ieri dai tank israeliani, con la copertura di due elicotteri da combattimento, vivono circa centomila rifugiati, tra i quali, sostengono i responsabili militari israeliani, i gruppi radicali di Gaza trovano terreno fertile e un serbatoio di seguaci: « L'operazione è servita a prevenire altri attentati e a salvare molte vite umane » ritiene Avi Pazner. Ma dall'altra parte della barricata arrivano categoriche smentite: « Questo massacro non resterà impunito - assicura uno dei capi di Hamas a Gaza, Ismail Haniya -. Anzi, renderà il nostro popolo più forte e più determinato a persistere nella resistenza » . L'Autorità nazionale palestinese avverte il governo israeliano che sta « giocando con il fuoco » . Il portavoce di Arafat, Nabil Abu Rudeina, annuncia la richiesta di una convocazione in seduta d'emergenza del Consiglio di Sicurezza dell'Onu « affinché infligga sanzioni » allo Stato ebraico.
Alberto Stabile su REPUBBLICA:GAZA - «A che serve tutto questo?», si chiede Hussein Hiyazi, capo redattore del settimanale Al Ayam (I giorni), mentre dal suo ufficio al centro di Gaza ci aggiorna per telefono sul numero dei morti dell´ultimo raid israeliano nei campi profughi di El Bureij e Nusseirat. Concepita come la copia conforme di un´altra irruzione compiuta i primi di febbraio nel campo di Shujayeh, anche quella motivata dai comandi israeliani con la necessità di «rastrellare terroristi» e neutralizzare le postazioni di mortaio che colpiscono il territorio israeliano, l´incursione di ieri ha provocato la morte di 15 persone, tra cui nove militanti del movimento integralista Hamas, ma anche di tre ragazzi di 14, 12 e 8 anni, più un´ottantina di feriti soprattutto tra giovani lanciatori di pietre.
La sequenza degli ultimi avvenimenti vuole che quest´operazione israeliana sia scattata all´indomani del gravissimo attacco palestinese al posto di frontiera Erez, che separa Israele dalla Striscia di Gaza: sei palestinesi uccisi, nessuna vittima tra i soldati israeliani. Ma a seguire la logica tortuosa secondo cui ad ogni attentato palestinese segue un´azione repressiva israeliana, cui a sua volta segue una nuova ritorsione, e così via all´infinito, si rischia di perdere di vista l´insieme.
L´unica certezza, come dice il capo di stato maggiore israeliano, Moshè Yaalon, è che di operazioni del genere l´esercito ne compirà ancora, «almeno fino a quando i terroristi continueranno ad attaccarci». Yaalon mette in relazione l´intensificarsi delle azioni armate palestinesi col proposito annunciato da Sharon di ritirarsi da Gaza. Il capo di Stato maggiore è stato critico verso il «disimpegno unilaterale» annunciato dal premier. Teme, il generale, e non è il solo negli alti comandi israeliani, che il ritiro unilaterale produca inevitabilmente nei palestinesi la convinzione di aver vinto, finendo così con l´attizzare il fuoco, anziché domarlo. La scelta di intensificare le incursioni nella «striscia» e di colpire sempre più a fondo le organizzazioni più bellicose, Hamas, Jihad, i Martiri di Al Aqsa vicini al Fatah servirebbe, dunque, a far abortire sul nascere qualsiasi sogno di vittoria.
Visto da Gaza, tuttavia, il problema sembra assai diverso. «Qui la gente ormai si governa da sola», mi diceva, martedì due marzo, un amico palestinese mentre percorrevamo in auto il lungomare dove, nel raggio di qualche decina di metri sorgevano un tempo gli uffici di Arafat, la sede del Fatah, il movimento politico creato dal capo dell´Olp e la caserma della guardia presidenziale, la famosa forza 17. Tutto distrutto. Fra le rovine della Presidenza, su istruzioni di Arafat, era stata eretta la tenda per le condoglianze in morte di Khalil al Ziben, un giornalista, esperto di diritti umani, che del capo dell´Autonomia era stato portavoce e ascoltato consigliere. Girando per la città, più pulita, meno sabbiosa di come era un tempo, si può osservare che dei simboli dell´Autonomia non uno è rimasto in piedi. Sedi, uffici, caserme dell´Autorità sono stati rasi al suolo sistematicamente dall´aviazione e dall´artiglieria israeliane. Solo il carcere, a quanto pare, è rimasto in piedi, ma vi sono rinchiusi soltanto criminali comuni, come quei quattro violentatori e stupratori di una ragazzina di 14 anni che una folla di cinquemila persone raccoltasi all´ingresso della prigione avrebbe voluto linciare.
«In tre anni - afferma, sarcastico l´analista politico Mahmud Agrami - gli israeliani non hanno colpito un solo obiettivo significativo di Hamas o della Jihad. In compenso hanno distrutto ogni singola infrastruttura dell´Olp.» Morale: «Come possiamo noi perseguire le fazioni armate mentre c´è in corso una campagna di resistenza contro l´occupazione?». Così, grazie alle omissioni dell´Autorità, sostiene una voce ricorrente che Hamas abbia organizzato una milizia armata, diversa dal braccio terroristico rappresentato dalle Brigate Ezzedin El Kassam, allo scopo di impadronirsi del potere, una volta che gli israeliani si saranno ritirati oltre confine.
Per le strade del campo profughi di Jabalia, dove nel dicembre del 1987 cominciò la rivolta contro l´occupazione, oggi si celebra la gloria dei martiri della seconda Intifada. I ritratti di Arafat che adornavano ogni bottega, ogni vetrina, sono scomparsi. Le aquile e i tricolori dell´Olp sono stati cancellati dai muri. Ad ogni angolo, invece, ondeggiano, mosse dal vento, le gigantografie dei militanti islamici uccisi nelle incursioni come quelle di ieri sera, o negli attacchi kamikaze come quello di sabato. E proprio quell´operazione di «auto sacrificio» al valico Erez, come l´hanno definita i propagandisti di Hamas, a fotografare lo stato d´impotenza cui è ridotta l´autorità palestinese. Per gli strateghi dell´operazione, infatti, il posto di blocco della polizia palestinese che segna la fine del territorio sotto controllo di Arafat, prima della terra di nessuno e del check point israeliano, era un puntino sulla mappa, un´imperfezione del percorso da aggirare con una semplice sterzata. Nessuna forma di opposizione sarebbe dovuta arrivare dai poliziotti, come nessun intralcio era venuto dall´intelligence palestinese dorante la fase preparatoria della complessa operazione condotta, per la prima volta, con l´impiego di mezzi militari perfettamente somiglianti a quelli israeliani.
Eravamo lì, qualche giorno fa ad osservare i pochissimi viaggiatori che entravano nella striscia. Qualche diplomatico, qualche operatore umanitario costretti a fare gimcana fra i massi di cemento dipinti di rosso, prima di attraversare la porta di tufo con su scritto a pennarello «Bon Voyage». Uno squallore assoluto. Eppure, all´improvviso, Gaza, un milione e 400 mila persone e una disoccupazione che sfiora il 65 per cento, Gaza, la prigione a cielo aperto dei profughi, torna al centro dell´attenzione. Perché e, soprattutto, per chi?
«Vede - risponde Hussein Hiyazi - nonostante i morti, i bombardamenti, le distruzioni Gaza è l´ultimo test dell´Autorità palestinese, l´unico luogo dei Territori in cui l´Autorità non è completamente crollata. Sharon vuol ritirarsi perché sa che a lungo andare, non può reggerla, ma non la darà mai ad Arafat né ad Abu Ala. Pretenderà, invece, di creare un nuovo equilibrio di potere più vicino ad Israele. Perciò sarà una situazione caldissima, politicamente, socialmente e militarmente».
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