D'Alema alla conferenza di Assisi per la pace
e le sue dichiarazioni sulla situazione mediorientale
Testata:
Data: 02/03/2004
Pagina: 1
Autore: Alcuni giornalisti
Titolo: Dichiarazioni di D'Alema
Alcuni giornali riportano oggi le dichiarazioni di D'Alema a margine della conferenza di Assisi per la pace. Il presidente dei Ds ha dimostrato ancora una volta la sua miopia a proposito della questione mediorientale, innanzitutto con una condanna a priori della barriera difensiva, definita da lui stesso una "misura sudafricana" che permette a Israele di scorrazzare liberamente nei territori palestinesi facendo così terrore di Stato. Successivamente D'Alema si è poi schierato in favore del piano di Ginevra (cosa che di per sè non ci stupisce) ponendolo come alternativa all'inefficace, a suo dire, Road Map e auspicando l'intervento di una forza di interposizione internazionale della Nato che faccia rispettare questi accordi. Il Messaggero ricalca come assodate verità le opinioni di D'Alema, in particolare indica tra le cause del "fallimento" della Road Map la costruzione della barriera difensiva e la strategia degli omicidi mirati senza dare il giusto peso al terrorismo, la cui cessazione è uno dei requisiti; nella parte finale dell'articolo Ezio Pasero sostiene che il terrorismo non è solo quello dei kamikaze, insomma frasi che si commentano da sole. Ecco l'articolo del MESSAGGERO:
ASSISI - Per chi vuole la polemica a ogni costo, ecco l’ennesima contrapposizione, questa volta a proposito del conflitto israelo-palestinese, tra Gianfranco Fini e Massimo D’Alema: il primo, favorevole a perseguire la pace attraverso l’attuazione delle tappe e delle condizioni previste dalla Road Map, impantanatasi da tempo tra attentati terroristici da una parte e costruzione del Muro e sanguinose ritorsioni dall’altra; il secondo, propenso invece a sollecitare una Conferenza internazionale che, sulla base delle intese raggiunte in questi ultimi dieci anni di colloqui e di trattative, la pace in qualche modo finalmente la imponga: fissando una volta per tutte i confini dello Stato di Israele e di un nuovo Stato palestinese e, se del caso, facendoli rispettare da una forza di interposizione, magari della Nato. Perché non si sono mai visti nella storia umana, sostiene D’Alema, due nemici che si sono accordati: la pace è stata sempre imposta dal vincitore, oppure da qualcuno che si è frapposto tra i contendenti.
In realtà, le due posizioni emerse ieri al seminario organizzato presso il Sacro Convento di Assisi su L’Italia di fronte al conflitto arabo israeliano non hanno quasi nulla di inedito: il vicepremier Fini sostiene infatti le posizioni più volte ribadite dal governo Berlusconi, molto più in sintonia con gli israeliani che con i palestinesi, come sottolinea la stessa volontà di portare Israele nell’Unione Europea. E sostiene che dall’agosto scorso, fallita la tregua, «sono stati gli attacchi terroristici a uccidere la speranza», e dunque «la società israeliana oggi si sente in lotta per la sua sopravvivenza e non vuole negoziare sotto il fuoco».
Invece il presidente dei Ds, in modo solo apparentemente provocatorio, propone che l’Ue offra uno speciale rapporto di associazione a entrambe le parti in causa e anche agli altri Stati coinvolti nel conflitto, per impegnarsi e impegnarli in una collaborazione utile appunto per favorire la convivenza. Una convivenza che però da molte parti, in Israele, non viene vista come quella tra due stati con pari diritti e dignità, ma come «una soluzione sudafricana della crisi, un progetto militare e unilaterale», dice D’Alema, «per concepire lo stato palestinese al massimo come aree amministrate dai palestinesi dentro i confini di un Grande Israele». Sullo sfondo, protagonisti del dibattito, i temi di sempre che, per l’Italia in particolare, rendono il problema arabo-palestinese tanto drammatico: la vicinanza, i legami fortissimi, la solidarietà sia con gli israeliani che con i palestinesi... «Quando c’è un attentato o un bombardamento, subito ci chiediamo se tra le vittime c’è un nostro amico, un parente, un bimbo adottato», dice D’Alema. «Ho conosciuto a Gerusalemme una donna che manda i suoi due figli nella stessa scuola ma con due autobus diversi», aggiunge Fini, «per essere sicura che almeno uno dei due tornerà a casa». Già, il terrorismo, che non è solo quello dei kamikaze. D’Alema cita gli ultimi dati di un recentissimo rapporto Usa: nello stesso, ultimo arco di tempo, 350 israeliani vittime degli attentati e 547 palestinesi vittime, la definizione è americana, di un "eccesso di uso della forza".
Stupisce invece il RIFORMISTA, di solito un giornale obiettivo nei confronti di Israele che, con il titolo "Israele è un fattore di civiltà, sostiene D'Alema", glissa su alcune faziosità espresse dal medesimo. Ci sembra logico un trattamento di favore, viste le "strette relazioni" fra il quotidiano ed il presidente DS, ma via, fino a questo punto, il silenzio totale sarebbe stato più elegante.

Per completezza di informazione pubblichiamo il pezzo uscito sulla STAMPA di oggi, a firma di Antonella Rampino ("Il muro di Israele divide anche D’Alema e Fini).

Una forza d’interposizione Nato, composta degli europei che dell’Alleanza fanno parte, che consenta al Quartetto, ovvero ad Onu, Unione europea, Federazione Russa e Stati Uniti di «imporre la pace in Medio Oriente, come premessa per costruire la convivenza: poiché la pace certo poi va condivisa, ma nel corso della storia non s’è mai visto che s’instaurasse da sé, senza che venisse imposta dal vincitore o da una potenza terza». Massimo D’Alema, che da presidente dei diesse si applica con tenacia alla politica internazionale (tanto da far mormorare, vorrà fare il ministro degli Esteri del futuro governo dell’Ulivo?), coglie l’occasione del terzo, consueto annuale appuntamento della (sua) Fondazione Italianieuropei al Sacro Convento d’Assisi per lanciare una proposta che lì per lì riconosce come «provocatoria». Provocazione raccolta dal lì presente Fini, che in politica estera gioca un ruolo attivo e che subito in pratica la boccia: «La pace non si impone, è cosa che matura nelle coscienze. La strada per risolvere il conflitto arabo-israeliano c’è già: è la Road Map». E dal segretario dell’Udc Follini che, pur riconoscendo che «la lotta al terrorismo passa più per la pace a Gerusalemme che per l’andare per caverne a caccia di Bin Laden», valuta come «anacronistica la proposta di mandare la Nato in Medio Oriente».
Perché in realtà, anche se di Road Map si parla, è all’accordo di Ginevra che a Fini pare come «un’illusione» che esplicitamente D’Alema si riferisce. E assai concretamente: il presidente della Quercia, e vicepresidente dell’Internazionale socialista, partirà il 20 per Israele e i Territori, avendo avuto mandato proprio da quell’organizzazione di preparare il terreno alla nuova proposta per la pace in Medio Oriente. «Per ora, con le presidenziali americane alle viste, la cosa più probabile è che non accada nulla. La Road Map è bloccata, il processo di pace invece potrà riprendere dopo le elezioni negli Stati Uniti», spiega D’Alema. Un cambio d’amministrazione, specie con i democratici americani che si sono in parte «affiliati» all’Internazionale socialista, aiuterebbe non poco. «Ma anche Bush, venisse rieletto, dovrebbe riprendere il dossier del conflitto israelo-palestinese». Dunque, meglio prepararsi per tempo. Anche perché solo due settimane fa, «ho parlato con Shimon Peres a Madrid, e lui s’è detto favorevole a una forza d’interposizione che imponga il rispetto della convivenza tra isreeliani e palestinesi sulla linea degli accordi di Ginevra».
Per il resto, il dibattito ha visto D’Alema e Fini contrapposti come mai forse nel corso degli ultimi anni. Il primo rimarcando che «chi pensa che Israele sia una sorta di confine avanzato della nostra civiltà nei confronti dell’Islam non si accorge che con questa interpretazione non ci sarà mai la pace, ma al massimo una tregua». Il vicepremier difendendo a spada tratta i «molti risultati del governo Berlusconi e del semestre di presidenza italiana dell’Unione europea» che ha avanzato la proposta di futuro allargamento a Tel Aviv, e auspicando che l’Europa dia maggior sostegno «alla società israeliana che si sente minacciata». D’Alema, da sempre assai legato alla Palestina (ha anche adottato due bambini dei Territori), riconoscendo che «l’antisionismo non può essere elemento fondante di una sinistra democratica». Il nodo del contendere è il Muro, che Fini derubrica a «barriera difensiva» e che invece a D’Alema pare «il pericolo maggiore, poiché mira ad attuare una strategia sudafricana». Il muro infatti «non interviene a sancire confini già definiti tra due stati, ma è la creazione unilaterale di Israele che interviene nelle terre palestinesi». E’ «un Muro nei Territori, che lo Stato di Israele attraversa quando e come vuole, applicando il terrore di Stato. Lo dice il documento del Dipartimento statunitense: 358 vittime civili isareliane e 547 palestinesi causate, cito testualmente, "per uso eccessivo della forza"». Che poi una pacifica convivenza israelo-palestinese sia allo stato attuale davvero solo un sogno l’hanno raccontato anche lo scrittore (israeliano) Meir Shalev e il politologo (palestinese) Abdul Hadi nella tavola coordinata da Lucia Annunziata. Gerusalemme come città della disperazione, della paura e della violenza, per gli uni e per gli altri. Una dimostrazione, per dirla con Enrico Letta, della crisi del mutilateralismo attivo.
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