C'è una grossa differernza
tra meno qualità di vita e perdere la vita del tutto
Testata: Metro
Data: 25/02/2004
Pagina: 6
Autore: Paola Caridi
Titolo: Un bus dilaniato davanti al Muro
A pag. 6 di Metro troviamo nella rubrica "L'opinione" un articolo di Paola Caridi dal titolo "Un bus dilaniato davanti al Muro"
La foto c'è già. il simbolo che ben descrive la lacerazione che ogni persona civile porta dentro di sé. Un autobus dilaniato da una bomba umana appena due giorni fa, proprio a Gerusalemme, davanti a un muro alto otto metri e mezzo, eretto anch'esso dentro Gerusalemme. La follia del terrorismo suicida-omicida di fronte alla risposta più semplice per proteggersi dalla violenza: separare l'Altro grazie ad una barriera. Da una parte i parenti delle vittime del terrorismo di marca palestinese, assieme ai cittadini qualunque piegati dalla quotidiana attesa dell'attetnato e agli encomiabili uomini di Zaka, l'organizzazione che accorre nel giro di pochi minuti sui luoghi delle stragi in terra d'Israele.
Dall'altra parte, le vittime di un muro che non solo diminuisce la qualità della vita, ma -secondo i suoi critici anche più moderati, latori di petizioni di fronte alla Corte suprema israeliana - intacca i diritti civili e umani di molte comunità palestinesi, spaccate anche al proprio interno da una barriera che taglia i campi, impedisce di andare a scuola o all'ospedale, divide le famiglie. Il nuovo muro dell'apartheid come lo definisce l'Autorità nazionale palestinese. Un m uro che uccide nei palestinesi le speranze di avere un proprio Stato indipendente.

Un autobus dilaniato di fronte a un muro alto otto metri e mezzo. Un altro muro, non di cementoma fatto di pietre d'altri tempi, quello dell'antica città santa di Gerusalemme, è a poca distanza. In linea d'aria, la cittadella sacra a ebrei, musulmani e cristiani è lontana solo poco più di un chilometro dal sobborgo di Abu Dis, dove ieri - da una parte all'altra del muro di separazione - si sono affrontati due mondi che non riescono più a parlare tra di loro. Gli israeliani per dire che il muro li difende dal terrore.
I palestinesi per dire che il muro significa espansionismo e incitamento alla violenza. Le possenti mura della città vecchia, le sinagoghe, le moschee e le chiese distano un chilometro appena. Un chilometro che separa la volgarità del presente da quel senso di pace, di speranza, di tenerezza che ancora, nonostante tutto, è possibile sentire appena si entra nei luoghi sacri. E ci corlla di dosso quella tensionme sottile e persistente, quel disagio continuo che rende la vitra a Gerusalemme così difficile.

La Corte internazionale di giustizia dell'Aja, che da ieri è riunita per ascoltare gli oppositori della "barriera di difesa" israeliana che corre all'interno della Cisgiordania, ha già involontariamente raggiunto un primo risultato. Di questo muro, di questa "barriera di prenvenzione del terrorismo",
Da notare che la Caridi mette tra virgolette solo la definizione corretta. Mentre non le mette per la definizione filo-terrorista
di questo oggetto che fisicamente divide israeliani e palestinesi se ne parla diffusamente. Non per accenni né per flash. Ma gettando nella discussione, aspra e senza sconti, i cardini, i fondamenti di ognuna delle due posizioni.
La difesa della vita, da una parte. La dignità umana dall'altra. E nel mezzo, il concetto di una pace duratura in una terra santa per molti uomini e per tre religioni. Una pace né a breve termine né facile che - per ricordare le parole di Giovanni Paolo II - "non ha bisogno di muri bensì di ponti". I palestinesi si sono buttati corpo e anima sull'Aja. Come uno dei pochi consessi attraverso il quale sperano di raggiungere un pubblico più ampio. Israele ha deciso di disertare l'aula della Corte, e di limitarsi a contestarla dalla piazza antistante l'edificio. Mostrando le foto delle vittime del terrorismo. Rifiuta di essere imputato. Ma nello stesso tempo, purtroppo, rifiuta il contraddittorio. Peccato. Di questo muro e di questo autobus si dovrebbe parlare di più. Senza pregiudizio e senza paura della critica.
Vista la nostra esperienza, ad aver paura di essere criticati sono i terroristi, ma soprattutto chi li appoggia. Guai a dir loro che sono antisemiti! Si rifugiano subito nel diritto alla libera espressione che per loro significa solo diffamare una parte, Israele.

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