Abu Ala a Roma
attenzione, dietro c'è sempre Arafat
Testata:
Data: 11/02/2004
Pagina: 1
Autore: la redazione - Angelo Pezzana
Titolo: Oltre la road map - Presidente, parli chiaro con chi arriva in nome di Arafat
La visita di Abu Ala a Roma per ora non ha avuto grossa risonanza mediatica, anche perchè il suo progressivo indebolimento sul fronte interno non gli permette grandi spazi di manovra. Insomma la leadership palestinese è palesemente giunta ad un vicolo cieco; a questo proposito pubblichiamo due articoli.
Il primo è apparso sul Foglio di oggi con il titolo "oltre la road map".
Il secondo è un articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Presidente, parli chiaro con chi arriva in nome di Arafat"

Il Foglio:

Roma. La visita di Abu Ala in Europa fa parte dell’offensiva diplomatica contro la barriera, ma non sbloccherà l’impasse tra Israele e i palestinesi. Il premier è troppo debole politicamente. La mancata tregua tra le varie fazioni, l’erosione del potere dell’Autorità nazionale e la rivolta strisciante all’interno di al Fatah hanno paralizzato l’esecutivo. Nonostante il sostegno
pubblico alla continuazione della violenza sia a un minimo storico, Abu Ala non ha né la forza politica né la cooperazione dei servizi di sicurezza, dominati da Yasser Arafat, per smantellare l’infrastruttura del terrore. L’incapacità dell’Anp, specialmente a Gaza, di far fronte ai bisogni più elementari della
popolazione ha rafforzato Hamas, la cui rete di servizi assistenziali riesce a soddisfare in maniera limitata le esigenze quotidiane dei palestinesi. Abu Ala conta su questo per presentarsi agli interlocutori occidentali come l’unica alternativa al caos. C’è una contraddizione però: da un lato chiede concessioni israeliane e pressioni internazionali per ottenerle, dall’altro è troppo debole per offrire qualcosa in cambio. E da mesi rimanda il dialogo con Israele, per non ridurre ulteriormente la sua legittimità interna. L’Europa dunque deve coglierne la debolezza e trarre le dovute conclusioni. La strategia palestinese cerca una soluzione per interposta persona: invece di assumersi le proprie responsabilità secondo la Road Map e riaprire il dialogo diretto con Israele, Abu Ala spera di far aumentare la pressione internazionale sul governo Sharon prima del completamento della costruzione della barriera difensiva e del prospettato ritiro unilaterale da Gaza.

Perché l’Anp teme il ritiro unilaterale
La difficoltà di quest’offensiva diplomatica sta nel fatto che la posizione europea sta lentamente cambiando. Pur obiettando sul percorso della barriera, gli europei comprendono meglio che in passato la minaccia del terrorismo e temono la politicizzazione della Corte dell’Aia. La linea di Abu Ala è di presentare la barriera come un ostacolo alla pace. In realtà, la barriera e il ritiro israeliano da Gaza ridurrebbero solo lo spazio di manovra palestinese: difficilmente Israele sarebbe criticato o condannato dalla comunità internazionale per aver smantellato insediamenti e per essersi ritirato da Gaza. Ma il ritiro costringerebbe i palestinesi ad assumerne il controllo, cosa che l’Anp non è in grado di fare, e dunque metterebbe ancor di più a nudo la debolezza dell’Anp. L’impossibilità di Abu Ala e del suo governo di imporre la propria autorità sul territorio lasciato dagli israeliani sarebbe il preludio a uno scontro tra palestinesi più aperto e cruento di quello in corso. L’attuazione unilaterale di misure tese a massimizzare gli interessi israeliani, neutralizzando per quanto possibile le cause dell’attuale impasse, riflette la constatazione dell’impossibilità palestinese di ricostituire una credibile leadership in grado di imporre la propria autorità e adempiere ai
propri obblighi. La visita di Abu Ala in Europa ne è la riprova perché mostra come i palestinesi siano ancora convinti che la soluzione del conflitto passi soltanto per le pressioni internazionali su Israele. Questa strategia, che in 40 mesi di Intifada ha provocato molte vittime e l’inesorabile erosione del potere dell’Anp, è perseguita da Abu Ala per mancanza di alternative. Così come nei mesi passati ha tardato inutilmente a capire come Arafat fosse parte del
problema invece che parte della soluzione, oggi l’Europa sembra aggrapparsi all’illusione che Abu Ala rappresenti ancora una società e un governo e che abbia i poteri e la volontà politica per fare la propria parte nel risolvere la crisi. E’ vero il contrario: Abu Ala è troppo debole. L’alternativa oggi è soltanto nel ritiro unilaterale israeliano.
Libero:

Ieri sera Silvio Berlusconi ha incontrato Abu Ala, che, come il suo predecessore Abu Mazen, ci sta pure simpatico. Non sapremmo come definirlo, perchè i leader palestinesi vivono lo spazio di un mattino. Quando non vanno più bene ad Arafat, che d'altra parte li ha nominati con regia prerogativa, scompaiono nel nulla. Come è successo ad Abu Mazen. Adesso tocca ad Abu Ala, e bene ha fatto il Presidente del consiglio ad invitarlo a Roma, preparandogli una agenda degna di un premier di prima categoria. Purtroppo non è questo il caso di Abu Ala, che starà in piedi soltanto finchè Arafat lo riterrà sufficientemente obbediente ai suoi ordini. E' questo che ci preoccupa. Da quando Arafat parla attraverso Abu Ala, quello che abbiamo letto e sentito proprio non ci è piaciuto. L'Autorità Palestinese, non contenta di avere distrutto finora qualsiasi possibilità di accordo con Israele, da qualche tempo ha alzato il tiro della sua propaganda contro lo Stato ebraico, ottenendo ovviamente degli ottimi risultati in Europa. Intanto è riuscita ad imporre l'uso di un linguaggio che è entrato come un coltello nel burro dei media italiani. Per fare un solo esempio, Abu Ala, quando parla della barriera difensiva che Israele sta costruendo per difendersi dal terrorismo palestinese, la definisce "muro razzista", "muro dell'apartheid", "forma brutale di terrorismo". Sembra di sognare: la realtà capovolta, chi si difende viene chiamato aggressore, la barriera il cui uso è impedire ai terroristi di entrare in Israele viene evocata quale nuova forma di apartheid, un muro che invece di impedire di entrare impedirebbe di uscire. I palestinesi chiusi in un ghetto, incredibile! Intanto queste parole cariche di odio e che diffondono odio sono assorbite nei titoli dei nostri giornali ed entrano nella mente dei lettori, e vengono diffuse dalla Rai. Nel programma Educational andato in onda ieri notte, Abu Ala, grazie al megafono compiacente di Stella Pende, ha potuto spargere una sfilza di bugie senza che nessuno glielo facesse educatamente notare. Che Arafat abbia eluso tutti gli accordi sottoscritti a Oslo e a Camp David è una verità che viene ribaltata contro Israele che invece quegli accordi sta realizzando. Anche se in mezzo al terrore che colpisce quotidianamente i suoi cittadini.
Come abbiamo detto siamo lieti che Abu Ala, portavoce di Arafat, non sapremmo definirlo diversamente, venga ricevuto dalle più alte autorità e anche dal Papa. L'importante è che non si dementichi che è arrivato a Roma perchè Arafat è ormai impresentabile, viste le sue dirette implicazioni con i gruppi terroristi. Ma la parola Pace che uscirà dalla bocca di Abu Ala va letta nella realtà che Arafat impone a tutti i suoi, strage,guerra, terrorismo. Come con Abu Mazen , anche con il povero Abu Ala non cambierà nulla finchè sarà Arafat a dirigere l'orchestra. Certo, molti gli terranno bordone, lo guarderanno estasiati come hanno fatto per trent'anni con Arafat. L'illustre sindaco di Roma, quel Veltroni che non è mai stato comunista ma sempre un devoto democratico che adorava l'America, ha già fatto sapere che domani gli conferirà il Premio Campidoglio per la pace. Per la pace ? Ma quando, ma dove ? Da sempre Arafat e i suoi "militanti" si propongono di distruggere Israele e ad Abu Ala, che non ha ancora nemmeno compiuto un gesto che sia uno in favore di un compromesso per giungere alla pace, riceve il Premio per pace ? Al contrario, Abu Ala si sta scatenando in questi giorni per chiamare a raccolta la diplomazia europea per dare una mano al tribunale internazionale dell'Aja a processare Israele per la barriera difensiva. Siamo sicuri che troverà molti alleati nell'Unione europea, quella stessa che nasconde i rapporti sull'antisemitismo e sul pregiudizio contro Israele. Li troverà, ma vogliamo sperare non a Roma. Presidente Berlusconi, non si lasci ingannare da chi la inonderà di retorica pacifista. Parli chiaro con chi arriva nel nome di Arafat. Non dimentichi che senza democrazia non potrà mai esserci la pace in Medio Oriente. Israele è l'unica democrazia della regione, circondata da regimi medievali e da spietati dittatori. Fra i quali brilla Arafat, che lei giustamente non ha voluto incontrare durante il suo viaggio in Israele. Metta Abu Ala di fronte a chiare argomentazioni, niente danè, niente Piano Marshall se Arafat non va in pensione. Questo ci aspettiamo dai suoi colloqui con Abu Ala, la continuità della politica estera che lei ha saputo così bene rinnovare mandando in pensione il filoarabismo levantino del catto-comunismo di casa nostra. Non abbandoni Israele, che avrà pure una grande forza militare, come ce l'ha l'America, ma che oggi, come l'America, è nel mirino di tuttu i nemici della democrazia. Stia accando allo Stato ebraico come finora lo è stato. Gli italiani per bene gliene saranno grati.
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