Italia, Nato, paesi del Mediterraneo e rapporto con Israele
il programma del ministro Frattini
Testata: Corriere della Sera
Data: 10/02/2004
Pagina: 11
Autore: Magdi Allam
Titolo: Un patto strategico fra Nato e Sud del Medi
Riportiamo un'intervista di Magdi Allam al ministro degli Esteri Frattini che dimostra equilibrio nei confronti di Israele ed un progetto per la pace e lo sviluppo dell'area mediterranea. Come sempre accurato il pezzo di Magdi Allam.
« L’Italia chiederà al Consiglio Atlantico del 3 marzo la trasformazione della normale relazione a distanza per la sicurezza e la stabilità con i Paesi mediterranei in una partnership privilegiata. Soltanto coinvolgendo i Paesi della sponda Sud in un comune programma di difesa e sicurezza creiamo le condizioni per una stabile soluzione e soprattutto per una stabile azione contro il terrorismo » . Il ministro degli Esteri Franco Frattini annuncia una proposta inedita. Una partnership atlantico- mediterranea per sconfiggere il terrorismo. Un’alleanza strategica in cambio di aiuti allo sviluppo. Da estendere anche all’Iraq e al nuovo « Medio Oriente allargato » . In un’intervista esclusiva al « Corriere » spiega: « Un’Europa che si allarga e che ha scenari di sicurezza che ormai riguardano gli svedesi così come i ciprioti non può non avere nel Mediterraneo un partenariato forte per la sicurezza e per lo sviluppo sostenibile. Quello che abbiamo fatto col processo di Barcellona in termini di partenariato economico lo vogliamo realizzare in sede Nato con quei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo che ormai condividono il nostro medesimo obiettivo » .

Ha già registrato adesioni alla proposta di partenariato atlantico- mediterraneo?
« Ho registrato anche all’ultima riunione del Consiglio atlantico che facemmo a dicembre alcune prese di posizione talvolta addirittura esplicite, come nel caso della collega spagnola. Paesi non mediterranei come la Germania hanno sottolineato l’importanza di questa proiezione mediterranea. Quindi evidentemente c’è una sensibilità molto forte. Le aggiungo che il nostro paziente lavoro in terreni difficili come quello libico ha contribuito certamente in modo importante. Quando sento dire il colonnello Gheddafi: ' Noi vogliamo combattere il terrorismo insieme agli Stati Uniti', è chiaro che noi queste cose le stiamo dicendo da quando Berlusconi, da solo, senza che nessuno in Europa ci credesse, tre anni fa andò da Gheddafi e disse: ' Io ti propongo una strada per avvicinarti all’Occidente'. Fra l’altro oggi Berlusconi sarà di nuovo in Libia. Noi ora stiamo al di là della chiusura di tutte le questioni bilaterali sospese. Stiamo fortemente incoraggiando la Libia a aderire al processo di Barcellona. Sarebbe un passo storico. Qualcuno, con la riservatezza che è dovuta in questi casi, mi ha detto: ' Il colonnello è convinto al 65% ma sta andando avanti'. Io lo incontrai meno di un anno fa e lui allora mi disse con grande chiarezza che aveva forti riserve. Oggi la riflessione è andata avanti » .

Oggi arriva a Roma il premier palestinese Abu Ala e lei lo incontrerà. Naviga in cattive acque, ha grosse difficoltà nel rapporto con Arafat. Ha un senso dar credito a un leader che potrebbe rassegnare le dimissioni da un giorno all’altro?
« Ci sono a mio avviso due ragioni per dare fiducia ad Abu Ala. La prima ragione è che è persona moderata e sinceramente desiderosa della pace. La seconda ragione è che non abbiamo alternative. E’ chiaro che dopo la caduta di Abu Mazen, se anche il primo ministro Abu Ala fosse costretto per mancanza di strumenti ( perché il nodo qui è la lotta al terrorismo, e quindi il controllo sul sistema di sicurezza), se fosse costretto a gettare la spugna, noi veramente non vedremmo un leader in condizioni di guidare un possibile risultato stabile di pace. Questo potrebbe pregiudicare anche il nostro piano di aiuti, il nostro Piano Marshall. Quello che occorre è una sfida tra coraggiosi » .

Il recente vertice euro- mediterraneo di Napoli è stato boicottato dal segretario della Lega Araba Amr Moussa. L’Italia viene accusata di avere una politica sbilanciata a favore di Israele.

« Il messaggio che desidero far arrivare al mondo arabo è che, anche se molti ci rimproverano di una certa discontinuità, in questo caso l’avere rinforzato le relazioni con il mondo arabo, e allo stesso tempo con lo Stato di Israele, l’Italia non abbandona la sua tradizionale amicizia, non abbandona il suo tradizionale impegno mediterraneo. Quindi la linea di azione dell’Italia è, a mio avviso, rafforzata. Perché noi possiamo spiegare agli israeliani quello che stiamo facendo, sicuri che loro non ci considerano sotto banco gli alfieri dell’antisemitismo » .

Le risulta che l’emergenza terrorismo sia in grado di fungere da catalizzatore dei Paesi arabi al punto da far superare quella che è l’annosa chiusura nei confronti di Israele?
« Ma vede, il vertice euro- mediterraneo che ha visto l’Italia a Napoli varare la Fondazione per il dialogo tra le culture, vedeva i due ministri degli Esteri israeliano e palestinese seduti allo stesso tavolo. Ci sono terreni in cui si comprende che questo è possibile e io mi permetto di dire è necessario: questa è l’economia. Ma oltre all’economia c’è anche la lotta al terrorismo. L’aspetto che più mi ha colpito del recente incontro a Teheran con il mio collega Kharrazi è che parlava di ' Israele', non più di ' entità sionista', che lei sa è stata fino a ieri la definizione che loro davano. E poi il fatto di dire: ' Noi accetteremo quello che il popolo palestinese deciderà'. Quindi se qualcosa si muove, in questa cornice, i Paesi arabi e islamici che lottano contro il terrorismo non potranno dire espelliamo da questo fazzoletto di terra Israele. Quindi io vedo Israele come parte di un progetto complessivo » .

Dopo la strage di Nassiriya, l’opinione pubblica italiana ha capito che quello che sta succedendo in Iraq è terrorismo, non è resistenza. C’è una strategia chiara che vede l’Iraq come fronte di prima linea nella lotta al terrorismo?
« Guardi, noi abbiamo due linee strategiche che giustificano la prosecuzione del nostro impegno in Iraq. La prima è quella di contribuire alla fase di ricostruzione politica e socio- economica dell’Iraq. Ma l’altro filone parallelo è quello della stabilizzazione, della sicurezza e della lotta al terrorismo.
Che è certamente una sfida che non può durare pochi mesi. Non ci illudiamo che lo scioglimento della coalizione a fine giugno porterà alla dissoluzione delle azioni terroristiche.
Ecco perché in questo quadro, che dovrà durare nel tempo, e per il quale noi non vogliamo prolungare la Coalition Authority, noi pensiamo alla Nato. Pensiamo a una prospettiva di medio periodo che da un lato veda il processo politico con l’Onu continuare, ma dall’altro non potrà dimenticare che il rischio di terrorismo continuerà. Il modo migliore per conciliare questo, come in Afghanistan, è dire portiamo l’Alleanza Atlantica e creiamo le condizioni per un aiuto stabile alla sicurezza, fino a che le condizioni non saranno migliorate » .

A suo avviso è ipotizzabile che la questione della democrazia diventi un valore con cui parametrare lo sviluppo dei rapporti con i Paesi mediterranei?
« E’ un tema chiave su cui io mi sto veramente appassionando. Ho sentito da alcuni esponenti della sinistra italiana teorie che davvero non condivido, come: ' Voi non potete pensare di portare la democrazia nei Paesi islamici'.
Come se l’Islam fosse incompatibile con il concetto di diritti umani e di democrazia. Questo è assolutamente sbagliato. E’ vero, semmai, che non abbiamo un modello di democrazia, ma il valore fondamentale del diritto della persona umana, della donna che possa contare quanto l’uomo in una società libera, il fatto di non uccidere le persone con la pena di morte, questi sono principi. Le dirò che sto proponendo a quell’organismo che si chiama
Community of democracy un incontro che potremo forse tenere a Ginevra tra pochi mesi, proprio dedicato allo sviluppo della democrazia nei Paesi musulmani » .
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