Destra, ebrei, Israele
nell'analisi di Fiamma Nirenstein
Testata:
Data: 29/01/2004
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Scegliere Israele, scegliere la democrazia
Charta minuta, mensile diretto dal ministro AN Adolfo Urso, pubblica nel suo ultimo numero (61) una analisi di Fiamma Nirenstein sui rapporti fra destra, ebraismo e Israele. E' forse la prima volta che una rivista della destra affronta la "lunga marcia di AN", con contributi di altra provenienza. Fiamma Nirenstein, con coraggio e onestà, senza nascondere alcunché, affronta tutti i temi che coinvolgono la nuova linea di AN. Una analisi importante che ci sembra interessante far conoscere.
E’ una nuova stagione per il rapporto fra la destra e gli ebrei, ma solo una primavera germinale e impervia: gli ebrei e la destra si parlano, comunicano attraverso il vetro di un passato fatto di molte tragedie. La evenienza storica che li mette in contatto non è opportunistica, o di maniera: è una circostanza storica essenziale, che ha a che fare con le sfide più importanti dell’epoca. Per gli ebrei, a lungo legati alla sinistra, poichè la Shoah si era generata nel ventre della destra, la domanda è chiara: dato che l’odierno antisemitismo si sviluppa essenzialmente fra le fila del vecchio alleato morale e politico, che fare? Questa è una grande e tormentosa questione che tuttavia è destinata a sciogliersi da sola: mentre la memoria crea alleanze, l’alleanza non si regge sulla memoria, ma sul presentee. Quanto alla destra, che è l’oggetto di questo pensiero, l’autentico psicodramma che ha accompagnato la visita del suo capo italiano, Gianfranco Fini, in Israele, ci segnala che la questione non è per niente cerimoniale: si tratta di un autentico problema di identità.La destra vi giuoca la difficile questione del futuro della destra europea, dei suoi rapporti con la democrazia e con la questione interatlantica: come si vede, come si rispecchia nel futuro la destra di domani? Come una forza che, in tempi duri come quelli odierni, combatte al fianco delle democrazie contro le dittature o i movimenti violenti antidemocratici? Come una forza che non gioca più, affatto, come invece ha fatto, con l’antimperialismo e il nihilismo dei giovani d’oggi? Che si schiera invariabilmente contro il terrorismo? Che non si traveste per ricavare consenso, da superuomo in un mondo spregevole e corrotto ma si carica positivamente dei guai delle democrazie? Sarà davvero la destra, in prospettiva una forza chiara, moderata democratica? E’ pronta a spendersi in un’agone chiaro, in cui il terrorismo si chiama col suo nome e le dittature sono nemici da battere? In cui non profitta di sentimenti retrogadi e oscurantisti a scopi elettoral? Ecco:il rapporto con gli ebrei è la provetta in cui oltre alla capacità di ricordare, che è certo molto importante, e di pentirsi, che è altrettanto dirimente (e che impongono fra l’altro di smantellare le vecchie sciocchezze negazioniste) si trova a misurarsi il futuro della destra in un’Europa incerta, svuotata di valori, incapace di fronteggiare il terrorismo e alle dittature del mondo islamista che mettono il futuro di tutti a rischio, un Europa che non ha saputo fare di meglio per definire la propria politica internazionale che diventare antiamericana e antisraeliana ai limiti della psicosi, scivolando così nell’antisemitismo; dunque oggi la destra che ha spesso parlato in termini retorici e tronfi dell’Europa deve saper spogliarsi delle vesti del cavaliere mitologico per indossare quelle della modernità in un continente retrogado e interressato, che non resiste (almeno per quanto riguarda la parte franco tedesca e le sue diramazioni) alla tentazione di farne uno strumento egemonico all’interno delle sue istituzioni. Il danno di questo atteggiamento è enorme: è un dream palace, un palazzo dei sogni europei in cui l’Europa è il vaso di tutte le virtù, minacciata da trame americane e giudaiche, un continente che si giudica alieno dai guai del mondo mentre seguita a finanziare la costruzione dell’atomica iraniana o seguita a finanziare con fondi incontrollabili e usati in gran parte per scopi violenti l’Autonomia Palestinese. Un’Europa così non solo favorisce accogliendolo da fuori, ma nutre culturalmente il terrorismo.

La destra, proprio perchè è storicamente responsabile delle maggiori colpe dell’era contemporanea verso il popolo ebraico, più di ogni altro porta il fardello della indispensabile guerra all’antisemitismo che infesta il Vecchio Continente. Ma nelle condizioni attuali non è facile farlo, perchè il fatto che l’antisemitismo di oggi abbia posato il suo sguardo prima ancora sull’ebreo singolo su quello collettivo, lo Stato d’Israele, impone una strategia di battaglia che ha a che fare non solo con dichiarazioni di principio, con pellegrinaggi dolenti ancorchè coraggiosi, ma con concrete prese di posizione in politica internazionale: l’Europa è parte attiva dell’antisemitismo odierno, essere amici degli ebrei è un impegno molto maggiore che nel passato, vuol dire non soggiacere alla propaganda conscia o inconscia che fa di Israele ciò che il mondo arabo vuole che sia: un aggressore, uno stato di apartheid, uno stato che uccide giovani e bambini senza ragione, che viola il diritto internazionale ad ogni momento, che trama per conquistare il mondo. Mentre i serial televisivi in Egitto e Siria mostrano per puntate a puntate consecuitve (è successo durante questo ultimo Ramadan in Siria, e in Egitto un anno fa) gli ebrei che impastano le azzime col sangue dei bambini non ebrei e organizzano congiure mondiali secondo il prototipo dei "protocolli dei Savi di Sion", in Europa si sono creati nuovi autentici "blood libel", rappresentati nella vignetta che ha vinto la gara internazionale di caricatura a Londra, quella in cui Sharon nudo e mostruoso sgranocchia bambini palestinesi, e il sangue gli gocciola lungo il corpo. Quest’immagine è frutto di bugie di marca europea, come quello di Jenin: la falsa notizia, amplificata all’infinito che a Jenin l’esercito israeliano aveva compiuto una strage gigantesca, notizia che è poi stata smentita in sordina dai giornali di tutto il mondo, si capisce solo con il pregiduzio antisemita. Non vie era motivo plausibile che l’opinione pubblica internazionale prestasse fede ad una simile panzana, dato che l’esercito israeliano si è limitato nelle sue operazioni a combattere porta a porta pagando un altissimo prezzo di sangue in situazioni in cui invece molti avrebberio scelto l’uso di mezzi meno rischiosi. Chiaro che una guerra contro il terrorismo a volte conduce sfortunatamente alla morte dei civili fra cui i terroristi, che non sono un esercito regolare allineato su una linea di attacco o di difesa, si nascondono. Ma il mondo, in particolare l’Europa, voleva che Israele, gli ebrei, spargessero di nuovo per il loro istinto malefico il sangue dei gentili, ed ecco Jenin, come tanti altri episodi. All’inizio dell’Intifada apparve su tutti i giornali del mondo la foto di un giovane orribilmente insaguinato. La didascalia recitava: "Un ragazzo palestinese durante gli scontri":si trattava di un giovane ebreo, come dovette correggere la stampa internazionale. Questi e tanti altri episodi di pregiudizio sono stati accompagnati sulla stampa araba prima e poi su quella europea da vignette e battute antiusemite che non possono non aver scosso la destra e la sua memoria storica: gli ebrei nasuti, Gesù Cristo che teme di essere ucciso di nuovo dai soldati israeliani, i sacchi di denaro nelle grinfie adunche, i missili puntati dalla congiura giudeoplutomassonicaamericana, come hanno agito sulla psiche dell’uomo di destra? Non è qui che si forma il vero nodo che costituisce una svolta epistemologica ed etica possibile?

Ho visto nell’incontro a Gerusalemme fra la comunità ebraica e Gianfranco Fini, nelle facce e negli atteggiamenti imbarazzati ma contenti degli ebrei italiani ( o dei i loro figli e nipoti) fuggiti tanti anni fa in Israele o nel Mandato della Palestina dall’Italia delle leggi razziali, due fatali sentimenti: quello della verità di un incontro già scritto da anni di dialogo, e anche però quello di una dubbiosa preoccupazione. Ovvero: riuscirà la destra a restare fedele alla sua attestatzione odierna di amicizia? E nella destra: gli ebrei non sono forse per sempre legati al loro amore di sinistra?

Non c’entra la verifica dei sentimenti di pentimento e di scusa riguardo all’atteggiamento del fascimo verso gli ebrei di cui lungamente hanno parlato i giornali. La verità riguarda il percorso della destra, che per incontrare gli ebrei ha dovuto incontrare Israele come nazione degli ebrei. In altre parole, se Fini avesse potuto limitarsi a una visita ad Auschwitz per chiedere perdono dell’antisemitismo del passato, le cose sarebbero state più semplici: la strada del pentimento rispetto a un evento incommensurabile come la Shoah non avrebbe avuto parametri perchè l’Olocausto non concede spazi di comparabilità . Chi puoi dire se ti sei pentito tanto quanto richiede un evento di quelle dimensionio? Ma Israele è divenuta l’Hic Rodhus Hic Salta della battaglia contro l’antisemitismo, e questo rende lo schieramento molto più evidente, molto più concreto: e come lo è per la destra, lo è per qualunque altra forza politica, e anche per qualsiasi essere umano. Chi oggi sostiene, e questo per onestà bisogna dire che avviene soprattutto a sinistra, che l’odio antisraeliano non ha a che fare con l’antisemitismo ma solo con la critica alla politica di questo Paese, o addirittura solo con quella per il suo governo mente, spesso con furbizia, oppure inconsciamente. Il pregiuduzio antiemita odierno è infatti dimostrato chiaramente dal doppio standard per cui Israele è accusato quando tutti gli altri sono assolti (consideriamo fra i mille esempi lo straordinario caso della condanna dalla Comissione di Ginevra, lo scorso anni, di Israele come stato violatore dei diritti umani:una misura mai, e sottolineo mai, presa per nessuno, nè per la Cina, nè per l’Iraq, nè per la Cambogia...), o per cui le si dedicano biblioteche di risoluzioni di condanna dell’ONU quando non ci si occupa di stragi e di crimini politici incomparabilmente maggiori; per cui il suo catastrofico terrorismo non è neppure considerato tale (Israele nell’elenco dei Paesi colpiti da terrore non è elencato dalla maggior parte dei compilatori, di queste liste); il boicottaggio dei suoi scienziati nelle università e nei congressi mentre, che so, gli scienziati cinesi sono benvenuti; la demenziale comparazione col nazismo. Questa strada di esclusione e di negazione del diritto stesso di Israele all’esistenza fu aperta dalla politica sovietica specialmente a partire dal 1967: l’ebreo che vinceva la guerra dei Sei Giorni, che non si piegava a morire in silenzio così come il mondo gli ha richiesto in una storia trimillenaria, risultò un pericolo strategico per l’egemonia sovietica in Medio Oriente e un peso psiicologico eccessivo per tutta l’ideologia corrente. La sinistra si incamminava così su una strada che l’ha portata sempre più lontana dagli ebrei, a meno che non si voglia considerare un momento di vicinanza la retorica di qualche tragica marcia unitaria dietro i gonfaloni della memoria dell’Olocausto. IL 14 di giugno, alla fine della guerra,l’Unità scriveva che la nascita di Israele era il frutto "di un movimento tecnocratico e razionalista, solidamente appoggiato dalle banche americane, di..conquistatori nati, che si abbatte sul Medio Oriente".Romano Ledda imputava a Israele di avere "una natura ebraica" che impediva la coesistenza pacifica con gli arabi; Alberto Jacoviello definiva gli isralieliani "occupanti stranieri"..Dentro il PCI e intorno ad esso gli ebrei stessi sconfessarono il nuovo ebreo che vinceva la guerra, che aveva la sua casa, il suo Paese, la sua propria terra da difendere. La diaspora in gran parte si era accostata ancora di più alla sinistra quando Piero della Seta scriveva "Mi vergogno di essere ebreo" su Ha Keillah, il giornale ebraico di Torino.

Non ho mai creduto, testi alla mano, alla maggiore malleabilità dell’antisemitismo fascista: al contrario, la sua vischiosità, la sua dimensione di pura fotocopia opportunista dell’antisemitismo nazista mi crea sentimenti di orrore, di profondo disgusto. Non ho nessuna tenerezza per il piccolo borghese opportunista semifascista italiano. I fratelli di mia nonna Rosina Volterra deportati ad Auschwitz da Firenze furono venduti da qualche dipendente dei loro negozi di antiquario, da qualche vicino invidioso, probabilmente non da qualche antisemita ideologico; la cacciata di mia madre e di mia zia da tutte le scuole e di mio nonno Giuseppe Lattes dalla Banca Commerciale Italiana non fu degnato non dico di una protesta, ma neppure di un saluto; la scelta di Dino Lattes, fratello di mio nonno che aderì (come più tardi ha fatto mia madre) a Giustizia e Libertà mi sembra a tutt’oggi salvifica, da ogni punto di vista. Ma nel 67, quando la sinistra per la prima volta si trova di fronte l’ebreo combattente, incarnato dallo Stato d’Israele vincente: si rompono tutti i paradigmi diasporici, gli arabi poveri e sempre umiliati e battuti da un’imperialismo assassino e sfruttatore, come lo dipingeva l’URSS, vengono battuti per mano di un piccolissimo Stato immediatamente bollato come borghese e capitalista, longa manus dello strapotere americano..Fu allora che importanti scrittori come Natalia Ginzburg o Franco Fortini (mio zio, dal vero nome di Franco Lattes, che scrisse in un suo libro "I cani del Sinai" un panegirico antisraeliano di sinistra, in cui bollava me e la mia famiglia perchè io mi trovavo in un kibbutz durante la Guerra dei Sei Giorni) o persino Primo Levi, si staccarono da Israele, perchè, come scriveva la Ginzburg, fra l’ebreo piccolo e curvo dello shtetl e quello cittadino, contadino e soldato essa sceglieva certamente il primo, quello diasporico. Pochi furono i coraggiosi che denunciarono quello che stava succedendo: Umberto Terracini fu uno di questi, quando denunciò in una famosa lettera il 25 luglio sull’Unità che la sinistra "nega la legittimità di uno Stato Ebraico sul piano storico politico e il suo stesso diritto all’esistenza".

Questa negazione non è mai finita, anzi, oggi si è enormemente rafforzata: buona parte del mondo sogna di vedere sparire, in un modo o nell’altro, Israele, perchè nel suo "palazzo dei sogni" questo significherebbe un’irenico abbraccio con il mondo mussulmano.

La destra, per amore o per forza, ha dovuto compiere la strada opposta: il secolo d’Italia del 6 giugno 1967 titolava "Israele in una morsa di fuoco"; Nasser si fu definito da Michelini"un dittatore al soldo di Mosca";in generale le responsabilità di quella e delle altre guerre fu letta nell’ aggressività araba, il diritto all’esistenza di Israele fu legato al valore e alla passione del combattente israeliano che compiva il miracolo della vittoria contro la coalizione araba. Persino le riviste giovanili scrissero "Israele è anche il nostro futuro" mentre la destra radicale fascista si infuriava e definiva il MSI "Movimento Servi d’Israele". In generale, nel corso del tempo la simpatia della destra verso Israele si è consolidata e nel 1973 in uno sforzo di identificazione delle ragioni dio questa svolta la rivista l’Occidentale scriveva "Perchè Israele? Perchè Israele è Occidente: occidentali sono le sue città, occidentale lo spirito che le anima. Redimere il deserto dalla sua sterilità modificare la natura adattandola alle esigenze degli uomini, tutto questo è l’espressione di una cultura che ci accomuna". Rispetto ad allora, l’individuazione delle ragioni di una possibile vicinanza non è molto cambiata, solo che l’orizzonte di verifica e di attuazione di questa simpatia è diventato assai più drammatico. Non basta più dire "Occidente" oggi, l’Occidente è spezzato in due e per la destra europea il destino ideologico è ancora incerto. La guerra al terrorismo impone delle scelte faticose, le masse diseredate e fanatizzate dell’Islam estremo sono portatrici di contenuti antiglobali e antiamericani che si incontrano con quelli delle nostre masse giovanili, con la loro utilizzabile confusione. E in più, se la destra ha saputo capire la dimensione eroica di Israele e della storia del popolo ebraico in generale, questo è avvenuto perchè la sua epica ha contenuti che glielo consentono:essa ama il deserto, il confine, la guerriglia ideologica dei pochi, l’eroe incompreso. Ma non è più tempo per questo: essere soldati nella guerra contro il terrore è una conseguenza naturale di qualcosa che invece è estranea all’epica della destra, ed è la scelta più difficile per la destra stessa: il piano, semplice amore della democrazia. Per questo la sinistra e anche il mondo cattolico non sono dalla parte di Israele: perchè il loro rapporto con la democrazia non è chiaro. L’accusa di etnocentrismo è sempre dietro l’angolo per chi pensa che il Medio Oriente debba sviluppare cambiamenti immensi nei sistemi che lo regolano. Tanto più questo problema sussiste a destra. Ci vuole una costanza, una modestia, nel difendere la democrazia che è di per sè difettosa e limitata, che deriva solo da una dote: senso di identità. La destra divenne antisemita proprio perchè sovrappose ai numerosi tasselli mancanti della sua identità quella del nazismo razzista. Oggi, si spera che il processo di presa di coscienza sia tale da consentirle di amare gli ebrei, e questo non è ancor detto, anche se ha fatto molti sforzi. Lo stesso vale per gli ebrei, che si vanno lentamente spogliando dalle piume colorate della sinistra.
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