Lettera aperta a Tullia Zevi
in risposta alla sua intervista a Repubblica
Testata:
Data: 23/01/2004
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: Lettera aperta a Tullia Zevi
Cara Tullia,
ho letto su Repubblica del 16 gennaio una tua intervista, che affiancava e commentava i risultati di un sondaggio avente per oggetto l'antisemitismo e l'atteggiamento dell'opinione pubblica italiana nei confronti della politica israeliana.
Ti confesso che una tua frase mi ha sconcertato, perché non vi posso riconoscere la lucidità ed il competente, consapevole impegno morale del tuo pensiero.
Mi riferisco alla tua risposta in cui esprimi un giudizio sulla politica del governo israeliano: "Credo che vadano messi sullo stesso piatto della bilancia sia gli orrori compiuti dai kamikaze palestinesi sia le violente rappresaglie dell'esercito israeliano. Sono due mali ugualmente terribili".
Ho esitato, prima di scriverti in questa forma. Noi siamo stati colleghi nel consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per moltissimi anni, e sono ancora fiero di aver sostenuto la tua elezione alla presidenza. Abbiamo condiviso opinioni e decisioni in piena sintonia. Uno dei miei ricordi più vivi della tua presidenza riguarda l'epico alterco che ti vide in contrapposizione al presidente Pertini dopo un suo infelice discorso alla nazione in occasione del capodanno, alterco dovuto alla tua energica difesa di Israele.
Usando per te un termine inappropriato, posso affermare che per moltissimi italiani, ebrei e non, tu sei un'icona di qualità straordinarie, ivi inclusa l'indomita e battagliera assunzione di chiare posizioni ed opinioni.
Perché dunque non ti riconosco, non riconosco queste tue doti, in quella frase?
Innanzi tutto, per il contesto. Le tue parole dovrebbero commentare una ipotesi di collegamento fra una visione radicalmente critica delle posizioni del governo israeliano e la genesi di una forma politicizzata dell'antisemitismo. In realtà, invece, esse avvalorano la tesi che vorrebbe mettere sullo stesso piano (anche etico) gli attentati suicidi dei palestinesi e la repressione militare d'Israele.
In secondo luogo, l'ambiguo raffronto che tu proponi è in sintonia con l'altro, che certamente è lontano dai tuoi pensieri, che vorrebbe vedere negli israeliani (e negli ebrei) i nuovi criminali nazisti, e nei palestinesi i nuovi ebrei in quanto vittime di un feroce carnefice. Le tue parole evocano inevitabilmente quella che univocamente viene considerata una forma subdola di antisemitismo, e la legittimano su un piano morale.
Infine, scendendo al livello della concretezza di un ragionamento politico, contesto con molta fermezza che vi possa essere una pariteticità fra attentati che sono rivolti deliberatamente contro civili ed hanno per fine unico quello di uccidere più persone indifese possibile, meglio se bambini, ed azioni militari anche se brutali che hanno lo scopo di reprimere e contenere i focolai di quella violenza, e solo come effetto secondario colpiscono talora civili innocenti.
Possiamo, tu ed io insieme, condannare ogni forma di violenza, e sperare in una pace che consenta ai due popoli di vivere uno a fianco dell'altro, ma non posso ammettere (e credere) che tu non sappia riconoscere la fondamentale ed abissale differenza morale fra una violenza che si propone come scopo solamente la strage e l'annientamento di uno stato, ed una violenza che invece rappresenta una forma, forse eccessiva ma non illecita, di autodifesa.
Ti ricordo sempre con affetto e stima, e mi auguro di poter ancora condividere le tue opinioni anche in futuro.