Alcuni quotidiani di oggi, venerdì 16 gennaio '04, pubblicano i risultati del sondaggio Eurispes dal titolo "Le opinioni degli italiani sul conflitto israelo-palestinese e sul Medio Oriente" (che riportiamo integralmente). Un sondaggio effettuato su un campione di 1500 persone suddivise per orientamento politico il cui scopo è quello di dimostrare che le critiche al governo d’Israele non sono dettate dal pregiudizio antisemita. I risultati in realtà erano facilmente prevedibili e confermano che le maggiori critiche e accuse nei confronti di Israele vengono da sinistra. Vi sono alcuni aspetti contestabili però nelle domande rivolte agli intervistati, come infatti, a margine della presentazione, Mario Pirani ha sottolineato:"Il sondaggio presenta Sharon come un capro espiatorio che rappresenta tutto il male". In effetti in tutte le domande Sharon sembra essere stato l’unico primo ministro di Israele e, anche quando si parte da una prospettiva storica, non vengono citati altri personaggi politici israeliani. Una domanda in particolare ci è sembrata inopportuna e figlia della più squallida propaganda antiisraeliana: si tratta di quella che induce ad un parallelismo tra comportamento del governo israeliano nei confronti dei palestinesi e quello dei nazisti verso gli ebrei, una domanda senza dubbio pericolosa che porta a delle risposte che danno un segnale da non sottovalutare nell’ottica dello scopo del sondaggio.
D’altra parte nella premessa viene fatto un breve resoconto storico che tiene conto soltanto delle risoluzioni Onu non facendo alcun accenno alle 5 guerre degli arabi contro Israele né tantomeno al fallimento degli accordi di Camp David del 2000. Così facendo gli autori del sondaggio hanno estremizzato le domande e di conseguenza le risposte sono state più facili per chi ha voluto mantenersi politically correct. Esattamente quello che è avvenuto con il sondaggio dell'Unione europea.
Ma vediamo ora come alcuni giornali hanno riportato la notizia.
LA STAMPA:
A pagina 9 Giacomo Galeazzi dedica un lungo articolo alla vicenda, dal titolo: "Antisemitismo, allarme Eurispes: «In Italia un rischio-pregiudizio»".
Ci sembra un articolo esauriente che permette al lettore di farsi un'idea precisa del sondaggio.
Lo pubblichiamo qui di seguito integralmente.L’ombra lunga del pregiudizio razziale: tra i fantasmi del «complotto sionista» e della «lobby ebraica», la mappa dell’Italia a rischio antisemitismo. Più di un italiano su tre ritiene che gli ebrei controllino in modo occulto il potere economico-finanziario e i mezzi d’informazione. Quasi il 40% attribuisce la colpa degli attacchi-kamikaze in Medio Oriente alla «politica imperialista e aggressiva di Sharon». L’11% non crede che la Shoah abbia davvero provocato 6 milioni di vittime e il 3% nega addirittura l’Olocausto. Secondo il sondaggio effettuato dall’Eurispes su un campione di 1500 italiani, esistono «aree di possibile incubazione del pregiudizio nei confronti del popolo ebraico», anche se l’atteggiamento propriamente antisemita è molto marginale. L’indagine è contenuta in una delle 60 schede che compongono il Rapporto Italia 2004. Per quanto la quasi totalità (91,4%) non metta in discussione il diritto all’esistenza dello stato di Israele, gli italiani sono fortemente critici (53,7%) nei confronti della politica del governo israeliano sulla questione palestinese e si dichiarano contrari (77,8%) alla costruzione di un muro di separazione tra israeliani e palestinesi. Inoltre, ben il 35,9% del campione afferma che «il governo di Sharon sta compiendo un vero e proprio genocidio e si comporta con i palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei».
Malgrado inquietanti «campanelli d’allarme», gli italiani, a giudizio del presidente dell’Eurispes Gian Maria Fara, sanno separare la valutazione della politica dell’attuale governo di Tel Aviv dal giudizio sul popolo ebraico. Occorre, però, «tenere alti i dispositivi di vigilanza e di prevenzione di qualsiasi episodio di razzismo o di forte pregiudizio razziale». Via libera, quindi, ad ogni tipo di iniziativa culturale «in grado di alimentare la reciproca fiducia tra i popoli e le religioni».
Resta alta, in ogni modo, la soglia di attenzione per quel 34,1% degli italiani (corrispondente a circa 16 milioni di persone) convinto che gli ebrei controllino in modo occulto i media e l’economia. «È questa l’area più preoccupante dello studio svolto, che noi definiamo "di possibile incubazione del pregiudizio anti-ebraico" - precisa Fara - un’area che risulta per giunta essere distribuita in modo trasversale su tutte le aree politiche: sia a destra che al centro che a sinistra». E che tocca, in modo molto simile, tutte le fasce di età: al 34% la fascia tra i 18 e i 24 anni, al 37% quella tra i 45 e i 64. Un’altra nota stonata è costituita da quell’11,1% di intervistati persuasi che «l’Olocausto sia avvenuto ma non abbia prodotto così tante vittime come si presenta di solito».
Nel nostro paese, poi, è assai vasta l’area del dissenso rispetto alla politica del premier Ariel Sharon tanto che la netta maggioranza degli intervistati non sottoscrive l’affermazione secondo cui il governo israeliano nei confronti dei palestinesi sta seguendo l’unica linea politica possibile poiché è in gioco la sopravvivenza stessa dello stato d’Israele. Il rifiuto del conflitto si conferma sul conflitto in Iraq: per il 56,5% l’intervento anglo-americano è stato un «errore». Un italiano su quattro chiede il rientro immediato del contingente italiano in quanto «le nostre truppe non svolgono più nessuna missione umanitaria ma di fatto si ritrovano in guerra». Per risolvere la crisi in Iraq, gli italiani sono favorevoli al «coinvolgimento dei paesi arabi nella ricostruzione». L’obiettivo dell’indagine (intitolata «Opinione degli italiani sul conflitto israelo-palestinese e sulla questione mediorientale») era quello di verificare la presenza di «sentimenti antiebraici» in Italia dopo il rapporto dell’Osservatorio di Vienna contro il razzismo ed il discusso sondaggio dell’Eurobarometro di due mesi fa. I risultati del sondaggio dimostrano come la presenza diffusa di opinioni più o meno critiche nei confronti della politica governativa israeliana (testimoniata, ad esempio, dal 77,8% di italiani contrari al Muro di separazione con la Cisgiordania) non possa essere confusa, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, con posizioni che negano il diritto del popolo ebraico ad un proprio Stato. «L’antisemitismo è un fenomeno tragicamente negativo che ha accompagnato gran parte dell’umanità in diversi periodo storici: non dobbiamo per questo stracciarci le vesti - osserva il giornalista e scrittore Mario Pirani - nell’analizzarlo, però, dobbiamo liberarci da sovrastrutture e preconcetti. In particolare è giunta l’ora di staccarci dal "preconcetto Sharon", ovvero dall’opinione diffusa che fa di Sharon (sulla cui politica si può essere contrarissimi) il capro espiatorio di un’intera lettura dei fatti».
LA REPUBBLICA:
Miriam Mafai, in prima pagina, firma un editoriale dal titolo "Il virus antisemita" nel quale sostiene che non c'è molto da preoccuparsi. Infatti il dato a suo dire più importante è quello che "il 91% degli intervistati non mette in discussione il diritto all’esistenza di Israele". Si ringrazia di tutto cuore ! Cosa dire invece di quel 36% degli intervistati che condivide il parallelismo tra Sharon e nazisti? (tradotto: governo di Israele = maggioranza degli elettori israeliani = ebrei = nazisti). E’ un po’ semplicistico dire, come fa Miriam Mafai, che, siccome solo l’ 11% della popolazione nega la Shoah, il rischio antisemitismo non è grandissimo e deriva da un nefasto passato legato al fascismo. Vi sono altri aspetti da considerare ma evidentemente fa male dover guardare all’interno del proprio partito e della sinistra in generale, che in quanto pregiudizi vale quanto la destra e il centro.
Accanto al pezzo della Mafai c'è una breve intervista a Tullia Zevi, ex presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche,nel quale tra l'altro dice: "Credo che vadano messi sullo stesso piano sia gli orrori compiuti dai kamikaze palestinesi sia le violente rappresaglie dell'esercito israeliano. Sono due mali ugualmente terribili". Complimenti alla signora Zevi. Quand'è che la vedremo affacciata da un edificio di Ramallah con le dita a V abbracciata ad un signore con la keffiah ?
Ecco l' articolo di M.Mafai:Siamo un paese di antisemiti? Sì e no. Non si può sottovalutare il fatto che un terzo degli italiani sia convinto, come vuole un antico stereotipo, che gli ebrei "controllano in modo occulto" il potere economico e finanziario e i mezzi di informazione, ma non si può nemmeno sottovalutare il fatto che la quasi totalità degli italiani, esattamente il 91%, non mette in discussione il diritto all´esistenza dello Stato d´Israele.
Quest´ultimo sembra a me in verità il dato più importante, perché la legittimità o meno della esistenza dello Stato d´Israele è il vero segno discriminante, certamente il più pericoloso, dell´antisemitismo presente e crescente non solo nei paesi dell´area mediorientale, ma anche in alcuni paesi europei.
Siamo un paese di antisemiti? Sì e no.
L´indagine dell´Eurispes disegna una immagine contraddittoria degli umori e delle opinioni dei cittadini del nostro paese, che appaiono molto critici nei confronti della politica del governo di Sharon, ma altrettanto severi e critici nei confronti delle iniziative dei kamikaze palestinesi. C´è, insomma, una opinione pubblica diffusa che condanna la mancata attuazione delle numerose risoluzioni dell´Onu che chiedono inutilmente, da anni, il ritiro di Israele dai territori occupati, e che, con Amos Oz è convinta che esistono in Medio Oriente «due diritti ugualmente legittimi e fondati: il diritto alla sicurezza per Israele, il diritto ad uno Stato indipendente, senza insediamenti ebraici al proprio interno per i palestinesi».
Colpisce invece, a poco più di una settimana dalla celebrazione ufficiale della "Giornata della Memoria" il permanere di un´area non trascurabile di "revisionisti" o "negazionisti", di coloro cioè che sminuiscono la portata della Shoah o di coloro che addirittura la negano. Si tratta, tra gli uni e gli altri di una percentuale che complessivamente rappresenterebbe l´11% circa degli italiani, una percentuale vicina a quella che, negli anni passati, si raccoglieva attorno alla estrema destra, alla fiamma del Msi (e che, evidentemente, non ha ancora metabolizzato il cambiamento di posizione di Fini).
Ci aveva colpito, qualche settimana fa, il risultato di una inchiesta europea che indicava Israele come il primo pericolo per la pace. I dati che abbiamo sotto gli occhi correggono quell´affermazione: secondo i nostri intervistati la pace in Medio Oriente è minacciata oggi da una serie di fattori: il terrorismo islamico, la mancanza di una politica estera europea, la politica di Bush.
Tutte le inchieste demoscopiche hanno un margine di aleatorietà. Ogni commento a caldo dei dati, come quello cui siamo costretti a una prima lettura rischia di essere approssimativo e superficiale. A me sembra che questa indagine in qualche modo corregga quella, assai più preoccupante, che ci era stata offerta qualche settimana fa da una analoga ricerca a livello europeo. Significa questo che il nostro paese è immune dal virus dell´antisemitismo? Non del tutto ,evidentemente, se sopravvive l´antico stereotipo dell´ebreo che vuol dominare il mondo (un po´ Shylok, un po´ una immagine dei Protocolli di Savi di Sion). Non del tutto, e dunque è necessario non stancarsi nel combattere dovunque si manifestino atteggiamenti di questo tipo. Ma l´affermazione largamente maggioritaria della legittimità dell´esistenza dello Stato d´Israele su quel pezzo di terra insanguinata a me sembra, oggi, l´elemento più positivo, quello che può far sperare in un superamento definitivo dell´antisemitismo nel nostro paese. Un sentimento che sarà totalmente debellato il giorno in cui in quel lembo di Medio Oriente sarà realizzata la vecchia, ma sempre attuale e disattesa parola d´ordine che vuole "due popoli, due Stati".
IL RIFORMISTA:
A pag.2, Aldo Torchiaro si sofferma su alcuni errori di metodologia da parte degli autori del sondaggio. E' molto interessante poiché fa le pulci in modo accurato ad un sondaggio che è, sotto alcuni aspetti, assai discutibile.
Riportiamo il testo: "L'antisemitismo in una domanda"Di buone intenzioni, si dice, sono lastricate le vie dell'inferno. Dopo il rapporto dell'Osservatorio di Vienna contro il razzismo, lungamente dimenticato in un cassetto, ed il discusso sondaggio dell'Eurobarometro di novembre, un nuovo rilevamento si aggiunge alla poco fortunata serie.
Il tentativo dichiarato dall'Eurispes era quello di condurre una indagine sul «conflitto israelo -palestinese e la questione mediorientale», l'involontario risultato è un sondaggio sull'antisemitismo dal sapore un po' preconfezionato. Dal campione di mille e cinquecento italiani intervistati emerge una certa propensione all'antisemitismo, ci viene detto. L'allarme denuncia l'esistenza di aree più o meno estese nel nostro paese in cui starebbe prendendo piede la «possibile incubazione» del pregiudizio nei confronti del popolo ebraico. Prova ne sia che secondo l'11,1% degli italiani «l'Olocausto è esistito, ma non nei termini in cui viene indicato dagli ebrei», ma anche il fatto che sulla questione palestinese quasi tre italiani su quattro (il 74,5%) condividono l'affermazione secondo cui «il governo di Sharon sbaglia, ma sbagliano anche i kamikaze». Shoah e intifada vanno a braccetto, in un sondaggio che, curiosamente, non pone domande che prevedano di esprimere un giudizio anche sulla leadership palestinese. Il dottor Trento, che ha diretto la ricerca, ha spiegato che «una valutazione interna all'istituto statistico ha suggerito di non citare Arafat: ai fini del conflitto israelo-palestinese, lui e l'Anp sono del tutto ininfluenti».
Ed ecco che il 53,7% degli italiani si dichiara poco d'accordo con l'affermare che «il governo di Sharon fa le scelte giuste, perché deve difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi». L'area del dissenso degli italiani verso la politica israeliana sembrerebbe dunque rilevante: il 53,8% degli intervistati afferma di essere poco o per niente d'accordo con l'affermazione secondo cui «il governo di Sharon nei confronti dei palestinesi sta seguendo l'unica linea politica possibile poiché è in gioco la sopravvivenza stessa dello Stato d'Israele». Anche se, alla fine del sondaggio, si scopre che dopotutto la quasi totalità degli intervistati (il 91,4%) non mette in discussione il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele. Confondere la situazione in Medio Oriente con l'antisemitismo non rende mai un gran servizio alla verità. Lo dice chiaro e tondo Mario Pirani, quando interviene alla conferenza stampa che presenta i dati del rilevamento: «Il sondaggio è nel complesso importante», riconosce Pirani, «ma ci sono errori che andavano evitati. Una fastidiosa precipitazione chimica disegna il sondaggio al centro di una cornice di preconcetto generale».
Non paghi dalle risposte ottenute, gli statistici si avventurano su un terreno ancora più minato. Il 34,1% degli intervistati si scopre d'accordo con l'affermare che «gli ebrei controllano in modo occulto il potere economico e finanziario, nonché i mezzi di informazione». Viene però da domandarsi: come mai in una indagine conoscitiva sulla posizione degli italiani sul Medio Oriente, l'intervistatore finisce con l'incentrare le interviste sul teorema del complotto mondiale ebraico?
Singolarità segnalata a Gian Maria Fara, presidente dell'Eurispes, che sostiene di aver proposto – a mo' di provocazione – alcuni luoghi comuni dell'antisemitismo tanto per saggiare le risposte. Che sono puntualmente arrivate. Fino a concludere che viviamo con la «possibile incubazione» del pregiudizio nei confronti del popolo ebraico. Parafrasando Primo Levi: "Voi che leggete nelle vostre case, considerate se questo e’ un sondaggio".
Il Corriere della Sera dedica invece un trafiletto alla vicenda mentre altri giornali non ne parlano proprio.
Ecco il testo del sondaggio Eurispes:
L’OPINIONE DEGLI ITALIANI SUL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE E SULLA QUESTIONE MEDIORIENTALE
Roma, gennaio 2004
PREMESSA
L’ondata di antisemitismo che ha colpito l’Europa nell’ultimo biennio spinge a interrogarsi sull’oblio della storia, che interessa una parte certo minoritaria ma comunque crescente e significativa della popolazione. L’attentato a Instabul dello scorso 15 novembre, la profanazione dei cimiteri ebraici, i numerosi atti di vandalismo contro sinagoghe ed istituzioni ebraiche, le aggressioni fisiche e le intimidazioni verbali nei confronti di ebrei, riportano drammaticamente alla memoria gli avvenimenti più bui degli ultimi cinquant’anni e invitano ad un forte atto di denuncia nei confronti dei nuovi episodi antisemiti.
Alla base dei pregiudizi antisemiti vi è la convinzione dell’esistenza di un complotto ebraico a danno dell’umanità e che il popolo ebraico controlli il potere economico e finanziario, nonché i mezzi di informazione. Nell’ambito dell’estremismo di destra, è inoltre diffusa la cosiddetta "Menzogna di Auschwitz", in base a cui l’Olocausto non sarebbe mai accaduto e sarebbe una leggenda usata dal popolo ebraico per esercitare una pressione politica e morale sui governi occidentali. In tale ottica viene negata anche la necessità di uno Stato israeliano quale patria sicura per i sopravissuti della Shoah e per gli ebrei in generale.
Com’è noto, dopo la tragedia dell’Olocausto, la nascita dello Stato d’Israele divenne una necessità sancita da una risoluzione Onu nel 1947. La stessa risoluzione (n.181) prevede per la Palestina la costituzione di due Stati: quello israeliano e quello arabo-palestinese, nonché un regime internazionale per la città di Gerusalemme. Nel 1967 la risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza sancì all’unanimità il ritiro immediato delle forze armate israeliane dai territori occupati nel conflitto di quello stesso anno ed il riconoscimento della sovranità, della integrità territoriale e dell’indipendenza politica di entrambi gli Stati. Ancora, nel 1974, la risoluzione 3236 dell’Onu affermò il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla sovranità e all’indipendenza nazionale.
La mancata attuazione delle risoluzioni Onu si è accompagnata a un conflitto pluridecennale tra israeliani e palestinesi, che ha provocato migliaia di vittime da entrambe le parti: solo dall’inizio della seconda Intifada, il 28 settembre 2000, sono morti 2.704 palestinesi e 854 israeliani . In questo tragico contesto, l’Accordo di Ginevra riveste un altissimo valore simbolico – in quanto è stato firmato da esponenti politici, intellettuali e artisti palestinesi e israeliani – e politico, perché invita al riconoscimento di entrambi gli Stati sulla base di quanto sancito nella risoluzione del 1967 nonché del diritto reciproco di vivere in pace, liberi da minacce, atti di guerra, di terrorismo o di violenza. In base all’Accordo, i palestinesi riconoscerebbero Israele come Stato ebraico, nell’ambito di un patto che prevederebbe il ritiro israeliano sui confini anteriori alla "Guerra dei sei giorni" del 1967«(…) salvo aggiustamenti minori (pari al 2,5% di Cisgordania e Striscia di Gaza), che verrebbero compensati, in base al principio-guida della reciprocità, con il trasferimento di territori nel deserto del Negev. Il nuovo Stato palestinese sarebbe smilitarizzato ma dotato di una forte polizia, mentre il controllo dei luoghi santi di Gerusalemme e dei valichi di frontiera con Israele verrebbe affidato a una forza internazionale» .
Recentemente, il Rapporto dell’Osservatorio Europeo dei Casi di Razzismo e Xenofobia (EUMC) ha denunciato il diffondersi, in Europa e in Italia, di episodi di matrice antisemita, a partire dall’escalation del conflitto mediorientale nel 2000 (inizio della seconda Intifada). A metà del 2002 le attività di stampo antisemita hanno raggiunto il culmine, alimentate dall’acuirsi del conflitto mediorientale.
In questo contesto, il sondaggio "scandalo" realizzato da Eurobarometro lo scorso novembre per conto della Commissione Europea nei 15 Stati dell’Ue, secondo cui il 59% dei 7.500 intervistati ritiene che Israele sia lo Stato più pericoloso per la pace nel mondo, ha suscitato, com’è noto, ampissime ed aspre polemiche inerenti la presunta tendenzialità delle domande e la metodologia d’indagine; alcuni esponenti della comunità ebraica hanno inoltre denunciato il pericolo che le modalità di conduzione del sondaggio e di diffusione dei risultati potessero alimentare una nuova ondata di antisemitismo in Europa. Sebbene la rilevazione comunitaria non sia esente da alcuni errori metodologici – quali l’indicazione di individuare tra una lista di Stati, piuttosto che tra una serie di fattori o fenomeni, l’elemento più pericoloso per la pace nel mondo – non riteniamo che i risultati del sondaggio possano rimandare automaticamente a un atteggiamento negativo della popolazione europea verso l’esistenza dello Stato d’Israele o a sentimenti di ostilità verso il popolo ebraico.
È nostra convinzione che, nell’analizzare la portata del nuovo antisemitismo, occorra sgombrare il campo da letture del fenomeno che, lungi dal contribuire a spiegarne le cause, cedono a facili quanto errate semplificazioni, attraverso l’assimilazione di ogni giudizio critico nei confronti della politica governativa israeliana alle posizioni antisemite. Come affermato anche dal rabbino capo dell’ebraismo ortodosso della Gran Bretagna, Jonathan Sacks, non è possibile equiparare le critiche ad Israele all’antisemitismo: «Nessuno Stato democratico è al di sopra delle critiche, e Israele è uno Stato democratico».
L’accettazione dell’equazione in base a cui le critiche alla politica governativa israeliana rimanderebbero a posizioni antisemite presterebbe il fianco a strumentalizzazioni del fenomeno che non apportano alcun sostegno né alla lotta contro l’antisemitismo né alla soluzione del conflitto mediorientale. Tale equazione alimenterebbe inoltre uno dei topoi degli antisemiti, secondo cui la recriminazione sull’incremento dell’antisemitismo non sarebbe che una strategia funzionale alle ragioni del sionismo.
Concordiamo con Amos Oz, scrittore israeliano tra i firmatari dell’Accordo di pace firmato a Ginevra lo scorso 1° dicembre, quando sostiene la presenza in Medio Oriente di «due diritti egualmente legittimi e fondati: il diritto alla sicurezza e alla propria identità ebraica per Israele; il diritto ad uno Stato indipendente, senza insediamenti ebraici al proprio interno, per i palestinesi» .
In quest’ottica, vengono riportati i risultati di un’indagine campionaria che l’Eurispes ha condotto su 1.500 cittadini italiani al fine di verificare la presenza di sentimenti antiebraici in Italia e di raccogliere le opinioni dei cittadini italiani sulla politica governativa israeliana e il conflitto mediorientale.
L’INDAGINE CAMPIONARIA
La prima sezione del questionario d’indagine ha inteso sondare il grado di accordo del campione su un set di cinque affermazioni riguardanti la politica governativa del premier israeliano Sharon. Il primo item sosteneva la giustezza delle scelte governative di Sharon, in quanto dettate dalla necessità di difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi. Come mostra la tabella 1, la maggior parte degli intervistati (27,8%) si dichiara "poco d’accordo" con l’affermazione; circa un cittadino su quattro (25,9%), inoltre, manifesta completo disaccordo. Nel complesso, oltre la metà del campione (53,7%) si esprime criticamente nei confronti della politica governativa del premier israeliano. Non manca, tuttavia, una minoranza significativa di intervistati (30,9%) che, al contrario, si dichiara molto (6,8%) o abbastanza (24,1%) d’accordo con l’affermazione e che, pertanto, ritiene che le scelte governative israeliane siano dettate dalla necessità di difendersi dagli attacchi terroristici degli estremisti palestinesi. È opportuno evidenziare come oltre il 15% del campione non abbia desiderato o saputo esprimere un’opinione sull’item proposto.
Il secondo item – La colpa degli attacchi palestinesi è da attribuire alla politica imperialista e aggressiva di Sharon – riporta la tesi di quanti esprimono un giudizio estremamente critico nei confronti del governo israeliano e rovescia, in qualche modo, l’affermazione precedente, sostenendo che le scelte del premier israeliano siano piuttosto la causa che non l’effetto degli attacchi terroristici, in quanto centrate su una politica imperialista ed aggressiva nei confronti del popolo palestinese. Anche in questo caso, le risposte degli intervistati esprimono prevalentemente "poco accordo" (28,6%) con l’affermazione. Diminuiscono, rispetto all’item precedente, le opinioni esprimenti totale disaccordo (17,3%) mentre aumentano in maniera contenuta le percentuali di chi si dichiara molto (9,2%) o abbastanza d’accordo (27,7%). Complessivamente, dunque, più di un cittadino su tre (36,9%) attribuisce la colpa degli attacchi dei kamikaze palestinesi alla politica imperialista ed aggressiva di Sharon; la maggioranza del campione (45,9%) esprime però il proprio disaccordo con questa tesi mentre il restante 17,3% non sa o non desidera esprimere un giudizio.
Il terzo item sostiene invece l’opinione di chi si rifiuta di schierarsi da una parte o dall’altra, ritenendo che sbaglino sia i kamikaze palestinesi che il governo di Sharon. È la tesi di chi ritiene che né la fine del terrorismo né il riconoscimento dei diritti dell’uno e dell’altro popolo possano essere perseguiti tramite una logica di violenza e rappresaglie continue. Si tratta dell’affermazione che ha raccolto il maggior grado di consenso tra gli intervistati, nonché la minore percentuale di mancate risposte (11,1%). Una consistente maggioranza dei cittadini (41,6%) ha affermato di essere "molto d’accordo" e un buon 32,9% ha dichiarato di essere "abbastanza d’accordo". Nel complesso, dunque, circa i 3/4 del campione prendono apertamente le distanze sia dai kamikaze palestinesi che dalle scelte del premier israeliano. Appena il 5,4% degli intervistati esprime completo disaccordo con l’affermazione; il 9%, infine, afferma di essere poco d’accordo.
Il governo di Sharon, nei confronti dei palestinesi, sta seguendo l’unica linea politica possibile, poiché è in gioco la sopravvivenza stessa dello Stato d’Israele: questo item esprime l’opinione del premier Sharon e della destra oltranzista israeliana, in base a cui Israele sarebbe un paese in trincea, pressato da continui attacchi terroristici e accerchiato da paesi arabi ostili, e la cui difesa non può che passare attraverso il rafforzamento del dispositivo militare. «Dobbiamo agire con la massima determinazione, a Gaza, in Gisgiordania, ma anche in quei paesi che supportano attivamente i gruppi terroristi, perché in gioco è l’esistenza stessa d’Israele e nessuno Stato al mondo delegherebbe a non so chi la sicurezza dei propri cittadini. Nella guerra scatenata dai gruppi terroristici e dai loro mandanti, non solo Arafat ma anche gli ayatollah iraniani e i governanti siriani, Israele è l’aggredito, e non l’aggressore» . Secondo l’ala dura del governo israeliano, Israele, come gli Stati Uniti del dopo 11 settembre, è costretta a combattere una guerra senza confini al terrorismo islamico e agli Stati canaglia della regione: in primo luogo la Siria, che secondo il governo israeliano proteggerebbe e armerebbe i gruppi terroristici palestinesi, e l’Iran, che al sostegno operativo e finanziario dato ai gruppi integralisti palestinesi unirebbe il desiderio di divenire una potenza nucleare. Da qui il raid aereo israeliano del 5 ottobre in territorio siriano, contro un presunto campo di addestramento della Jihād islamica, e il piano di Sharon per un eventuale bombardamento preventivo della centrale iraniana di Bushehr, nel caso venisse in essa prodotto materiale utilizzabile a scopo bellico. Ebbene, l’affermazione che Israele stia seguendo l’unica linea politica possibile nei confronti dei palestinesi suscita le maggiori perplessità tra gli intervistati: quasi un cittadino su cinque (19,5%) non ha voluto/saputo esprimere il proprio accordo o disaccordo a riguardo. Oltre la metà del campione (53,8%) afferma invece di essere poco (31,4%) o per niente (22,4%) d’accordo; circa un quarto degli intervistati (20,2%) si dice abbastanza d’accordo, ed appena il 6,5% dichiara infine completo accordo.
L’ultimo item afferma che il governo di Sharon sta compiendo un vero e proprio genocidio e si comporta con i palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei: si tratta di un giudizio che porta all’estremo le critiche contro la politica governativa israeliana. Appare opportuno rammentare che, a settembre del 2003, 27 piloti dell’aeronautica militare israeliana hanno rifiutato di eseguire gli ordini e di sganciare missili e bombe su centri palestinesi abitati, considerandole azioni illegali e immorali. Le conseguenze delle azioni di prevenzione mirata – come sono definite le missioni volte a colpire terroristi palestinesi – su un centro abitato non si differenziano da atti terroristici: è quanto sostenuto non da esponenti di Hamas quanto dai piloti obiettori. Essi si sono aggiunti alle centinaia di soldati e ufficiali che da anni si rifiutano di agire contro il popolo palestinese, pagando la propria insubordinazione con l’accusa di tradimento, la sospensione dal servizio o il carcere. Benché il paragone con lo sterminio degli ebrei perpetrato dai nazisti sia fortemente azzardato, la presa di posizione dei piloti israeliani obiettori rende conto di come anche all’interno dello Stato israeliano vi siano opinioni estremamente critiche nei confronti della politica governativa israeliana.
La maggior parte dei cittadini esprime comunque completo disaccordo (25,7%) con l’affermazione e ritiene dunque che l’azione del governo di Sharon nei confronti dei palestinesi non possa essere in alcun modo paragonata allo sterminio subìto dal popolo ebraico. Insieme a coloro che dichiarano di essere poco d’accordo (22,5%), i cittadini che prendono le distanze da questa posizione costituiscono la maggioranza degli intervistati (48,2%). Benché sia ovvia la non paragonabilità tra la politica governativa nei confronti dei palestinesi e lo sterminio sistematico, le deportazioni di massa e l’orrore dei campi di concentramento subiti dal popolo ebraico, non mancano, tuttavia, coloro (oltre un cittadino su tre) che esprimono il proprio consenso nei confronti di questa affermazione e che dunque ritengono paragonabile il comportamento di Sharon con i palestinesi a quello dei nazisti contro il popolo ebraico che portò al loro sterminio: il 12,6% si dichiara molto d’accordo ed un altro 23,3% abbastanza d’accordo.
Tabella 1
In che misura è d’accordo con le seguenti affermazioni riguardanti il governo di Sharon?
Anno 2004
Valori percentuali
In che misura è d’accordo con le seguenti affermazioni riguardanti il governo di Sharon? Grado d’accordo Totale
Molto Abbastanza Poco Per niente Nessuna collocazione politica
Il governo di Sharon fa le scelte giuste, perché deve difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi 6,8 24,1 27,8 25,9 15,4 100,0
La colpa degli attacchi dei kamikaze palestinesi è da attribuire alla politica imperialista e aggressiva di Sharon 9,2 27,7 28,6 17,3 17,2 100,0
Il governo di Sharon sbaglia, ma sbagliano anche i kamikaze palestinesi 41,6 32,9 9,0 5,4 11,1 100,0
Il governo di Sharon, nei confronti dei palestinesi, sta seguendo l’unica linea politica possibile, poiché è in gioco la sopravvivenza stessa dello Stato d’Israele 6,5 20,2 31,4 22,4 19,5 100,0
Il governo di Sharon sta compiendo un vero e proprio genocidio e si comporta con i palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei 12,6 23,3 22,5 25,7 15,9 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
Lo scorporo delle risposte per area politica di riferimento consente di evidenziare la presenza di giudizi estremamente differenziati lungo il continuum sinistra-destra. È possibile osservare (tabella 2) che il disaccordo verso l’affermazione che difende le scelte del governo di Sharon, in quanto dettate dalla necessità di difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi, è estremamente diffuso sia tra i cittadini che si collocano a sinistra (tra questi, il 77,5% afferma di essere poco o per niente d’accordo) che al centro-sinistra (69,8%), rimane maggioritario tra gli intervistati di centro (48,1% contro il 33,1% esprimente un parere opposto) ma registra valori minoritari tra i cittadini politicamente orientati al centro-destra (39,3%) e a destra (40,5%). È soprattutto tra gli intervistati di centro-destra che le scelte del governo israeliano trovano consenso e sono ritenute la diretta conseguenza degli attacchi kamikaze: il 40,3% afferma di essere abbastanza d’accordo (contro l’11,7% dei cittadini orientati a sinistra) e il 12,2% molto d’accordo (appena il 2,4% e il 4,2% tra gli intervistati di centro-sinistra e sinistra).
Come abbiamo già avuto modo di osservare, la maggior parte degli intervistati rifiuta anche la tesi secondo cui i kamikaze sarebbero la conseguenza della politica imperialista e aggressiva di Sharon: afferma di essere poco o per niente d’accordo, infatti, il 54,8% dei cittadini di destra, il 60,2% di quelli di centro-destra e il 50,2% degli intervistati di centro. Anche tra i cittadini di centro-sinistra prevale il disaccordo (46,6% contro il 41% che ritiene, al contrario, che la colpa degli attacchi kamikaze sia da attribuire alla politica imperialista ed aggressiva di Sharon) mentre a sinistra l’affermazione trova un consenso maggioritario (54,5%).
Il dissenso verso una spiegazione univoca del conflitto, che consenta di giustificare ora i kamikaze ora la politica forte adottata dal premier israeliano verso il popolo palestinese, è maggioritario, dunque, tra gli intervistati di quasi tutti gli orientamenti politici. Ciò viene confermato anche dal grado di consenso mostrato dalla stragrande maggioranza dei cittadini all’affermazione che condanna tanto i kamikaze palestinesi quanto la politica governativa israeliana, indipendentemente dall’orientamento politico: esprime molto o abbastanza accordo nei confronti del suddetto item oltre l’81% dei cittadini di centro-sinistra e centro-destra e l’83,1% degli intervistati di sinistra. Tra i cittadini di centro e di destra, dove sono più numerose le mancate risposte, l’accordo scende rispettivamente al 69,3% e al 68,2%.
Fatta eccezione per i cittadini politicamente orientati a destra, è maggioritario tra tutti gli intervistati il dissenso verso l’idea che la linea seguita dal governo di Sharon nei confronti dei palestinesi sia l’unica possibile in quanto sarebbe in gioco la stessa sopravvivenza dello Stato d’Israele. Anche in questo caso la variabile politica gioca comunque un ruolo significativo nelle risposte degli intervistati: contro la linea dura adottata da Sharon si schierano oltre i 2/3 degli intervistati di sinistra e di centro-sinistra (rispettivamente, il 68,1% e il 70,8% del complesso) e poco meno della metà dei cittadini orientati al centro, mentre nel centro-destra gli intervistati si spaccano tra chi afferma di essere molto o abbastanza d’accordo con l’opinione secondo cui il governo di Sharon starebbe seguendo l’unica linea possibile per evitare la fine dello Stato d’Israele (44,9%) e chi, al contrario, si dichiara poco o per niente d’accordo (45,9%). A destra il 42,1% degli intervistati dichiara il proprio consenso alla linea adottata da Sharon, contro il 40,5% che si esprime contrariamente. Queste spaccature nel campione di destra e centro-destra potrebbero segnalare una certa fascinazione per il decisionismo di Sharon e per il suo "difensivismo aggressivo".
Rispetto al quinto e ultimo item, che sostiene la tesi secondo cui il governo di Sharon starebbe operando un vero e proprio genocidio nei confronti dei palestinesi, comportandosi come i nazisti si comportarono con gli ebrei, è possibile osservare come i cittadini dei diversi orientamenti politici si esprimano in modo speculare a quanto osservato per l’affermazione precedente. Nello specifico, esprimono il proprio disaccordo la maggioranza dei cittadini di destra (56,4%), centro-destra (71,5%), centro (54,3%) e centro-sinistra (46,9%), tra cui tuttavia è molto significativa anche la quota di chi ritiene opportuno il paragone con lo sterminio nazista (43,4%). Tra gli intervistati di sinistra è invece maggiormente diffusa l’opinione che il governo di Sharon stia operando un vero e proprio genocidio: esprime molto o abbastanza d’accordo con tale giudizio il 53,6% mentre si ritiene poco o per niente d’accordo il 37,1%. Tuttavia, sarebbe fuorviante individuare germi di antisemitismo nella parificazione tra la politica di Sharon e la persecuzione nazista. Chi afferma che il governo di Sharon sta compiendo un vero genocidio, come quello nazista, implicitamente riconosce la realtà storica dell’Olocausto, attribuendovi un valore negativo.
Tabella 2
In che misura è d’accordo con le seguenti affermazioni riguardanti il governo di Sharon? Per area politica di riferimento
Anno 2004
Valori percentuali
Affermazioni Grado d’accordo Area politica di riferimento Totale
Sinistra Centro-Sinistra Centro Centro-Destra Destra Nessuna collocazione politica
Il governo di Sharon fa le scelte giuste, perché deve difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi Molto 4,2 2,4 6,3 12,2 14,3 6,5 6,8
Abbastanza 11,7 17,0 26,8 40,3 34,1 23,8 24,1
Poco 32,4 34,4 33,9 27,6 22,2 22,5 27,8
Per niente 45,1 35,4 14,2 11,7 18,3 23,1 25,9
Non sa/non risponde 6,6 10,8 18,9 8,2 11,1 24,0 15,4
La colpa degli attacchi dei kamikaze palestinesi è da attribuire alla politica imperialista e aggressiva di Sharon Molto 18,8 10,1 7,9 7,7 5,6 6,7 9,2
Abbastanza 35,7 30,9 26,0 22,4 27,0 25,3 27,7
Poco 23,0 31,3 33,9 36,2 31,0 24,9 28,6
Per niente 14,1 15,3 17,3 24,0 23,8 15,6 17,2
Non sa/non risponde 8,5 12,5 15,0 9,7 12,7 27,5 17,3
Il governo di Sharon sbaglia, ma sbagliano anche i kamikaze palestinesi Molto 45,1 48,3 38,6 47,4 34,9 36,9 41,6
Abbastanza 38,0 33,0 30,7 34,2 33,3 30,9 32,9
Poco 6,6 7,6 10,2 8,7 14,3 9,3 9,0
Per niente 5,2 4,9 7,1 5,6 7,9 4,7 5,4
Non sa/non risponde 5,2 6,3 13,4 4,1 9,5 18,2 11,1
Il governo di Sharon, nei confronti dei palestinesi, sta seguendo l’unica linea politica possibile, poiché è in gioco la sopravvivenza stessa dello Stato d’Israele Molto 5,2 2,1 11,0 9,2 13,5 5,8 6,5
Abbastanza 13,6 14,6 21,3 35,7 28,6 18,0 20,2
Poco 32,9 36,1 33,1 29,1 23,8 30,5 31,4
Per niente 35,2 34,7 16,5 16,8 16,7 15,6 22,4
Non sa/non risponde 13,1 12,5 18,1 9,2 17,5 30,0 19,5
Il governo di Sharon sta compiendo un vero e proprio genocidio e si comporta con i palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei Molto 16,0 16,0 11,0 7,1 12,7 11,8 12,6
Abbastanza 37,6 27,4 19,7 15,8 20,6 19,8 23,3
Poco 18,3 26,4 28,3 28,6 18,3 19,6 22,5
Per niente 18,8 20,5 26,0 42,9 38,1 22,0 25,7
Non sa/non risponde 9,4 9,7 15,0 5,6 10,3 26,7 15,9
Fonte: Eurispes-Korus.
La quasi totalità degli intervistati non mette in discussione il diritto dello Stato d’Israele ad esistere. Nello specifico, il 65,4% risponde affermativamente alla domanda inerente tale diritto, il 26% ritiene che sì, lo Stato d’Israele debba esistere, ma accanto al riconoscimento di uno Stato palestinese, così come sancito dalla risoluzione Onu del 1947.
Nel complesso, dunque, il 91,4% del campione si esprime a favore dell’esistenza dello Stato israeliano, accanto o indipendentemente dal riconoscimento di uno Stato palestinese, mentre il 2,8% nega tale diritto ed il 5,8% non sa o non vuole esprimere un’opinione a riguardo.
Tali risultati mostrano in maniera evidente come la presenza diffusa di opinioni più o meno critiche nei confronti della politica governativa israeliana non possa essere confusa, almeno nella stragrande maggioranza dei casi, con posizioni negatrici del diritto del popolo ebraico ad un proprio Stato.
Tabella 3
Lei ritiene che lo Stato d’Israele abbia diritto d’esistere?
Anno 2004
Valori percentuali
Lei ritiene che lo Stato d’Israele abbia diritto d’esistere? %
Sì 65,4
Sì, ma accanto al riconoscimento di uno Stato palestinese 26,0
No 2,8
Non sa/non risponde 5,8
Totale 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
Lo scorporo delle risposte in base all’orientamento politico degli intervistati mostra come il diritto ad esistere dello Stato d’Israele sia riconosciuto dalla stragrande maggioranza dei cittadini, indipendentemente dall’area politica di riferimento. Tale diritto è riconosciuto, indipendentemente o accanto al riconoscimento di uno Stato palestinese, dal 96,9% dei cittadini di centro-sinistra, dal 95,4% di quelli di centro-destra, dal 93% degli intervistati politicamente orientati a sinistra, dal 92,9% dei cittadini di centro e dall’88,9% di coloro che esprimono un orientamento politico di destra.
L’esistenza dello Stato d’Israele dovrebbe accompagnarsi al riconoscimento di uno Stato palestinese secondo una quota percentuale di intervistati variabile dal 23% (destra) al 32,3% (centro-sinistra). Coloro che, al contrario si esprimono contro l’esistenza dello Stato d’Israele, estremamente minoritari tra tutti gli schieramenti politici, sono più numerosi tra gli intervistati di destra, dove costituiscono il 6,3% del complesso: una quota attribuibile probabilmente alla presenza di intervistati di estrema destra tra cui è noto, purtroppo, il consenso verso posizioni antisemite.
Tabella 4
Lei ritiene che lo Stato d’Israele abbia diritto d’esistere? Per area politica di riferimento
Anno 2004
Valori percentuali
Lei ritiene che lo Stato d’Israele
abbia diritto d’esistere? Area politica di riferimento Totale
Sinistra Centro-Sinistra Centro Centro-Destra Destra Nessuna collocazione politica
Sì 69,5 64,6 66,1 70,9 65,9 62,0 65,4
Sì, ma accanto al riconoscimento di uno Stato palestinese 23,5 32,3 26,8 24,5 23,0 24,7 26,0
No 2,8 1,0 3,1 2,0 6,3 3,1 2,8
Non sa/non risponde 4,2 2,1 4,0 2,6 4,8 10,2 5,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
IL PREGIUDIZIO NEI CONFRONTI DEL POPOLO EBRAICO
E IL TEMA DELL’OLOCAUSTO
Diversamente dalle posizioni xenofobe, centrate sulla convinzione che gli immigrati costituiscano una minaccia in ambito occupazionale, abitativo e dell’assistenza sociale, nonché sul piano della sicurezza e dell’identità culturale, i pregiudizi sul popolo ebraico sostengono che gli ebrei controllano in modo occulto il potere economico e finanziario, nonché i mezzi d’informazione di massa. La tesi del complotto ebraico contro l’umanità s’intreccia in certi casi con la versione cristiana dell’antisemitismo, secondo cui gli ebrei rappresenterebbero una forza del male in quanto responsabili della morte di Cristo . A tali pregiudizi si aggiungono inoltre posizioni revisioniste o negazioniste dell’Olocausto, che tendono a sminuire o, peggio, a negare del tutto lo sterminio del popolo ebraico.
Al declino dell’antisemitismo dopo la seconda guerra mondiale segue oggi il risveglio dei pregiudizi contro il popolo ebraico, che sembrano trovare diffusione crescente in molti paesi europei. Quale grado di penetrazione trova in Italia il sentimento di pregiudizio e di sospetto nei confronti del popolo ebraico? Per tentare di intercettare la presenza di nuclei di pregiudizio, è stato chiesto al campione di intervistati di esprimere il proprio grado di accordo su una serie di luoghi comuni e pregiudizi riguardanti il popolo ebraico nonché sulla tesi secondo cui l’Olocausto non è mai avvenuto.
Il primo item afferma che gli ebrei determinano le scelte politiche americane: il 30,4% del campione si dichiara molto (7,5%) o abbastanza d’accordo (22,9%), contro il 52,5% che, al contrario, afferma di essere poco (28,1%) o per niente (24,4%) d’accordo. In relazione all’area politica di riferimento, la tabella 6 mostra come il consenso verso l’item sia maggiormente diffuso tra gli intervistati di sinistra (il 39,5% si dichiara molto o abbastanza d’accordo) e di destra (38,9%). La tesi ha trovato rinnovato vigore durante l’acuirsi del conflitto mediorientale e in risposta alla politica governativa israeliana nei confronti dei palestinesi. L’accusa volta al premier israeliano Sharon di condurre una politica aggressiva e d’occupazione – condivisibile o meno ma legittima – si è accompagnata alle critiche rivolte al governo americano in merito all’incapacità o mancata volontà di contrastare la politica del premier israeliano nei confronti dei palestinesi. Come sostenuto anche nel dossier dell’Eumc, «la seconda Intifada ha messo in moto un meccanismo inatteso, nel quale i tradizionali pregiudizi antiebraici si mescolano a stereotipi di matrice politica». In questo senso è possibile spiegare non solo il diffondersi dei pregiudizi anti-ebraici tra gli estremisti di destra ma anche il loro attecchimento nell’area di sinistra, ad essi tradizionalmente estranea. In quest’ottica, le critiche che, com’è noto, vengono rivolte da sinistra al governo israeliano e statunitense, accusati di condurre una politica aggressiva e imperialista – non leggibili di per sé come posizioni antisemite, contrariamente a quanto si tende a sostenere strumentalmente da alcune parti – tendono a investire gli stessi ebrei, sostenitori o meno della politica governativa israeliana.
Il secondo degli item proposti riporta la tesi secondo cui gli ebrei controllerebbero in modo occulto i media e l’economia, che riecheggia almeno in parte i "Protocolli dei Savi di Sion" e la tesi dell’esistenza di un complotto ebraico internazionale per la conquista del mondo. Questo secondo item è di portata più grave rispetto alla precedente affermazione ("gli ebrei determinano le scelte politiche americane"), la quale riflette una visione degli equilibri politico-economici statunitensi certamente semplicistica, ma che non potremmo definire antisemita. La seconda affermazione, invece, contiene un riferimento alla presunta occultezza del dominio sui media e sulla finanza da parte degli ebrei; pertanto suppone l’esistenza di una strategia ebraica di controllo (se non proprio di sovversione) del sistema socio-economico internazionale. Oltre un terzo degli intervistati (il 34,1%) ha risposto di essere molto (9,2%) o abbastanza d’accordo (24,9%) con questa tesi. Sebbene la maggioranza del campione, pari al 47,9%, abbia al contrario dichiarato di essere poco (25%) o per niente d’accordo (22,9%) con l’affermazione, è evidente che, nel complesso, tali risultati mostrano la presenza di un’area di pregiudizio verso il popolo ebraico, nella quale può incubare il virus dell’antisemitismo nel nostro Paese. Sembra possibile affermare che anche le mancate risposte, pari al 17,9%, in questo contesto assumono una connotazione di ambiguità che appare opportuno non sottovalutare. L’analisi delle risposte per area politica di riferimento mostra che il consenso verso tale pregiudizio è meno diffuso tra gli intervistati politicamente orientati al centro (tra cui si dichiara molto o abbastanza d’accordo il 26,8% del campione) mentre registra una espressione maggioritaria tra i cittadini di destra (49,2% contro il 42,9% di coloro che si dichiarano poco o per niente d’accordo).
Come sopra osservato, ai pregiudizi contro il popolo ebraico si accompagnano, in certi casi, affermazioni tese a sminuire o negare la tragedia dell’Olocausto. Al fine di sondare l’eventuale presenza nel nostro Paese di queste posizioni, espressione estrema dell’antisemitismo, è stato chiesto agli intervistati di esprimere il proprio grado di accordo su tre item, relativi alla tragedia dell’Olocausto. Il primo afferma che si è trattato del più grande genocidio avvenuto nella storia dell’umanità. Come mostra la tabella seguente, la stragrande maggioranza degli intervistati si dichiara molto (52,6%) o abbastanza d’accordo (29,4%). Nel complesso, dunque, l’82% del campione riconosce lo sterminio degli ebrei come il più grande genocidio della storia. Tale percentuale raggiunge l’86,4% tra i cittadini di sinistra e l’89,6% tra quelli di centro-sinistra mentre scende al 72,2% tra gli intervistati di destra.
Nel complesso, il 14,7% del campione si dichiara poco d’accordo (9,8%) o per niente d’accordo (4,9%); il dissenso sale al 16,5% tra gli intervistati orientati al centro e addirittura al 26,2% tra gli intervistati politicamente orientati a destra. Nell’area di centro/centro-destra/destra, una crescente tendenza a parificare lo "sterminio di razza" perpetrato nei lager e lo "sterminio di classe" perseguito nei gulag potrebbe almeno in parte spiegare il dissenso verso la definizione della tragedia dell’Olocausto come un "unicum", ovvero come la forma storicamente più grave di genocidio.
Negli ultimi due item della sezione sono riportate la tesi revisionista, che pur non negando l’Olocausto afferma che esso non ha prodotto così tante vittime come si sostiene, e la tesi negazionista, che nega del tutto la tragedia dell’Olocausto. Entrambi gli assunti sono tradizionalmente utilizzati dall’estremismo di destra non solo per negare la necessità di una patria, e dunque di uno Stato, sicura per il popolo ebraico, ma anche per sostenere che gli ebrei sfruttino la condizione di vittime per influenzare la politica europea e statunitense a favore di Israele. Rispetto all’affermazione che l’Olocausto non avrebbe prodotto così tante vittime come viene sostenuto, i 4/5 degli intervistati (l’80,7%) affermano di essere poco (16,6%) o per niente (64,1%) d’accordo; il 7% si dichiara invece abbastanza d’accordo e il 4,1% addirittura molto d’accordo. Circa l’11% degli intervistati, dunque, sminuisce la portata dell’Olocausto. L’analisi per area politica di riferimento rileva che la tesi revisionista trova spazio soprattutto tra i cittadini di destra (17,4%) e di centro (17,3%), seguiti dagli intervistati di sinistra (12,7%), centro-destra (12,3%) e centro-sinistra (7,3%).
Ai revisionisti si accompagna una ristrettissima, ma presente, percentuale di negazionisti: il 2,7% del campione, infatti, dichiara di essere molto (1,4%) o abbastanza d’accordo (1,3%) con la tesi che nega l’Olocausto. Il consenso verso la tesi negazionista è più elevato tra i cittadini politicamente orientati al centro (5,5%) mentre si attesta intorno al 3% tra i cittadini delle altre aree politiche, eccetto tra gli intervistati di sinistra, dove non raggiunge l’1%. Tali dati rilevano come il nuovo antisemitismo trovi diffusione anche al di fuori dei tradizionali ambienti di estrema destra, all’interno dei cui siti è possibile trovare accuse di deicidio o stelle di David insanguinate .
Nel complesso, il 13,8% degli intervistati sminuisce la portata della tragedia dell’Olocausto o la nega del tutto. Sebbene si tratti di una minoranza contenuta di intervistati, essa appare dolorosamente elevata in rapporto alla gravità delle affermazioni sottoposte a giudizio, e invita a tenere alta la guardia contro la diffusione dell’antisemitismo nel nostro Paese. Al contempo, tale dato consente di evidenziare il profondo iato presente tra l’espressione di posizioni critiche nei confronti della politica governativa israeliana, sensibilmente e significativamente molto più elevate, e la presenza di un’area di possibile incubazione di pregiudizi e di sospetti nei confronti del popolo ebraico.
Tabella 5
In che misura è d’accordo con le seguenti affermazioni riguardanti il popolo ebraico?
Anno 2004
Valori percentuali
In che misura è d’accordo con le seguenti affermazioni riguardanti il popolo ebraico?
Grado d’accordo Totale
Molto Abbastanza Poco Per niente Non sa/non risponde
Gli ebrei determinano le scelte politiche americane 7,5 22,9 28,1 24,4 17,1 100,0
Gli ebrei controllano in modo occulto il potere economico e finanziario, nonché i mezzi d’informazione 9,2 24,9 25,0 22,9 17,9 100,0
L’Olocausto degli ebrei è stato il più grande genocidio avvenuto nella storia dell’umanità 52,6 29,4 9,8 4,9 3,3 100,0
L’Olocausto degli ebrei è avvenuto realmente, ma non ha prodotto così tante vittime come si afferma di solito 4,1 7,0 16,6 64,1 8,2 100,0
L’Olocausto degli ebrei non è mai accaduto 1,4 1,3 8,8 83,5 5,0 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
Tabella 6
In che misura è d’accordo con le seguenti affermazioni riguardanti il popolo ebraico? Per area politica di riferimento
Anno 2004
Valori percentuali
Affermazioni Grado d’accordo Area politica di riferimento Totale
Sinistra Centro-Sinistra Centro Centro-Destra Destra Nessuna collocazione politica
Gli ebrei determinano le scelte politiche americane Molto 8,5 9,7 4,7 9,2 7,9 6,0 7,5
Abbastanza 31,0 25,0 19,7 15,3 31,0 20,4 22,9
Poco 23,9 29,5 29,9 33,7 29,4 26,2 28,1
Per niente 24,9 24,7 29,9 30,6 21,4 21,3 24,4
Non sa/non risponde 11,7 11,1 15,7 11,2 10,3 26,1 17,1
Gli ebrei controllano in modo occulto il potere economico e finanziario, nonché i mezzi d’informazione Molto 7,0 10,8 7,9 10,2 15,9 7,6 9,2
Abbastanza 27,7 23,6 18,9 23,5 33,3 24,5 24,9
Poco 21,6 25,3 27,6 31,6 24,6 23,3 25,0
Per niente 28,2 29,9 26,0 19,4 18,3 18,9 22,9
Non sa/non risponde 15,5 10,4 19,6 15,3 7,9 25,6 17,9
L’Olocausto degli ebrei è stato il più grande genocidio avvenuto nella storia dell’umanità Molto 61,0 58,7 47,2 50,5 45,2 49,8 52,6
Abbastanza 25,4 30,9 31,5 33,7 27,0 28,7 29,4
Poco 8,0 5,2 11,0 11,2 13,5 11,3 9,8
Per niente 2,8 3,8 5,5 3,6 12,7 4,7 4,9
Non sa/non risponde 2,8 1,4 4,7 1,0 1,6 5,5 3,3
L’Olocausto degli ebrei è avvenuto realmente, ma non ha prodotto così tante vittime come si afferma di solito Molto 5,2 2,8 6,3 3,1 6,3 3,8 4,1
Abbastanza 7,5 4,5 11,0 9,2 11,1 5,5 7,0
Poco 12,7 16,7 17,3 22,4 15,9 16,0 16,6
Per niente 69,0 71,2 58,3 60,2 58,7 62,4 64,1
Non sa/non risponde 5,6 4,8 7,1 5,1 7,9 12,3 8,2
L’Olocausto degli ebrei non è mai accaduto Molto 0,0 2,8 3,1 2,0 0,0 0,0 1,4
Abbastanza 0,9 0,7 2,4 1,0 3,2 1,3 1,3
Poco 7,5 8,0 11,0 8,2 12,7 8,5 8,8
Per niente 88,7 85,8 78,0 87,8 79,4 80,9 83,5
Non sa/non risponde 2,8 2,7 5,5 1,0 4,7 9,3 5,0
Fonte: Eurispes-Korus.
È stato poi chiesto al campione di esprimere il proprio giudizio sulla costruzione del muro d’Israele, approvata nel maggio 2001 dal Consiglio dei Ministri israeliano e iniziata nel luglio 2002 . Gli obiettivi del muro, secondo quanto sostenuto dal governo israeliano, vertono sulla necessità di garantire la sicurezza degli israeliani dagli attacchi terroristici dei kamikaze palestinesi, nonché la maggioranza etnico-demografica degli ebrei nello Stato d’Israele, come sostenuto, ad esempio da Arnon Soffer, uno dei geografi che hanno lavorato al progetto. Di diverso parere i palestinesi e quanti, in Israele, si oppongono alla costruzione del muro. La barriera difensiva, lungi dal proteggere gli israeliani dagli attacchi dei kamikaze, alimenterebbe il terrorismo, negando ulteriormente gli elementari diritti del popolo palestinese. In secondo luogo, il muro comporterebbe l’annessione di parti rilevanti del territorio palestinese e lo smembramento della Cisgiordania in due zone, a loro volta separate da barriere supplementari, impedendo, di fatto, la possibilità di uno Stato palestinese.
Oltre i 3/4 del campione (77,8%) si sono espressi contro la costruzione del muro d’Israele. Il 10,8% ha invece dichiarato di essere favorevole al progetto, mentre l’11,8% degli intervistati non ha voluto o saputo esprimere un giudizio a riguardo. Lo scorporo delle risposte in base all’area politica di riferimento mostra la presenza di posizioni molto differenziate lungo il continuum sinistra-destra. È possibile osservare, infatti (tabella 8), come la percentuale di consenso verso la costruzione del muro cresca progressivamente da sinistra a destra. Nello specifico, appena il 3,8% dei cittadini politicamente orientati a sinistra si esprime a favore del muro; tale consenso raddoppia tra gli intervistati di centro-sinistra (7,6%), sale al 12,6% tra i cittadini di centro e al 16,3% tra gli intervistati di centro-destra, fino a raggiungere il 25,4% tra i cittadini di destra, tra i quali suscita probabilmente maggior appeal il governo forte, decisionista di Sharon, di cui il muro è espressione.
Tabella 7
Lei è favorevole alla costruzione del muro d’Israele?
Anno 2004
Valori percentuali
Lei è favorevole alla costruzione del muro d’Israele? %
Sì 10,8
No 77,8
Non sa/non risponde 11,4
Totale 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
Tabella 8
Lei è favorevole alla costruzione del muro d’Israele? Per area politica di riferimento
Anno 2004
Valori percentuali
Lei è favorevole alla costruzione del muro d’Israele? Area politica di riferimento Totale
Sinistra Centro-Sinistra Centro Centro-Destra Destra Nessuna collocazione politica
Sì 3,8 7,6 12,6 16,3 25,4 9,5 10,8
No 88,3 87,5 75,6 76,5 65,1 72,5 77,8
Non sa/non risponde 7,9 4,9 11,8 7,1 9,5 18,0 11,4
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
I PRINCIPALI FATTORI DI DESTABILIZZAZIONE DEL MEDIO ORIENTE
E IL RUOLO DEL CONTINGENTE ITALIANO IN IRAQ
Una sezione del questionario ha inteso raccogliere le opinioni dei cittadini italiani in merito ai fattori ritenuti più pericolosi per la pace in Medio Oriente. Come mostra la tabella seguente, il terrorismo islamico è indicato come l’elemento più pericoloso per una pacificazione del conflitto nella regione mediorientale per il 33,7% del campione. Al secondo posto si colloca la mancanza di una politica estera comune dell’Unione europea in Medio Oriente. Un ruolo più forte dell’Europa e la capacità dei paesi membri dell’Unione di stabilire una linea di azione organica, superando le divisioni interne che tanto spazio hanno giocato in merito al conflitto in Iraq, è auspicato infatti da un intervistato su cinque (20%).
A breve distanza, indicata come il fattore più pericoloso per la pace in Medio Oriente dal 19,5% del campione, la politica del Presidente Bush in Medio Oriente. La linea della guerra preventiva condotta dagli Usa contro il terrorismo internazionale e gli Stati canaglia della regione non sembra dunque rassicurare, quanto piuttosto preoccupare, buona parte degli intervistati. Una percentuale più contenuta del campione addebita la responsabilità principale della pace in Medio Oriente al conflitto tra moderati e fondamentalisti all’interno di alcuni paesi arabi (8,6%) o alla politica del premier israeliano Sharon (6,5%).
Tabella 9
Quali tra questi fattori ritiene più pericolosi per la pace in Medio Oriente?
Anno 2004
Valori percentuali
Quali tra questi fattori ritiene più pericolosi per la pace in Medio Oriente? %
Il terrorismo islamico 33,7
La mancanza di una politica estera comune dell’Unione europea in Medio Oriente 20,0
La politica di George Bush Jr. in Medio Oriente 19,5
Il conflitto tra moderati e fondamentalisti all’interno di alcuni paesi arabi 8,6
La politica di Sharon 6,5
Altro 1,4
Non sa/non risponde 10,3
Totale 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
L’analisi delle risposte per orientamento politico degli intervistati rileva importanti differenze d’opinione tra i cittadini che si collocano a sinistra o a centro-sinistra e coloro che fanno riferimento alle altre aree politiche. È possibile osservare, infatti, come tra i fattori ritenuti più pericolosi per la pace in Medio Oriente i cittadini di sinistra indichino, in prevalenza, la politica governativa statunitense in Medio Oriente (34,3%). Si tratta di un risultato abbastanza prevedibile, considerando la forte voce di protesta che, soprattutto a sinistra, si è levata contro la guerra in Afghanistan prima e in Iraq poi. Anche dagli intervistati di centro-sinistra la politica di Bush in Medio Oriente è individuata come causa principale dell’instabilità mediorientale, ma a pari merito con il terrorismo islamico. Entrambi i fattori sono infatti indicati da oltre un cittadino su quattro (26,1%) degli intervistati di tale area politica. Molto più nette le risposte degli intervistati che si collocano nelle altre aree politiche: il terrorismo islamico è il maggiore pericolo per la pace in Medio Oriente per ben il 41,6% dei cittadini di centro, il 47,2% di quelli di centro-destra e il 45,3% degli intervistati di destra. Sensibilmente più contenute, tra questi intervistati, le percentuali di coloro che ritengono la politica di Bush in Medioeriente il fattore più pericoloso. Da evidenziare, infine, come la necessità di una politica estera Ue più organica sia sentita dai cittadini di tutti gli orientamenti politici: la mancanza di una linea comune in Medio Oriente è indicata come il fattore più pericoloso per la pace in quella regione da una percentuale di cittadini variabile dal 16,8% (sinistra) al 24% (centro).
Tabella 10
Quali tra questi fattori ritiene più pericolosi per la pace in Medio Oriente? Per area politica di riferimento
Anno 2004
Valori percentuali
Quali tra questi fattori ritiene più pericolosi per la pace in Medio Oriente? Area politica di riferimento Totale
Sinistra Centro-Sinistra Centro Centro-Destra Destra Nessuna collocazione politica
Il terrorismo islamico 24,3 26,1 41,6 47,2 45,3 32,6 33,7
La mancanza di una politica estera comune dell’Unione europea in Medio Oriente 16,8 22,4 24,0 21,5 21,4 18,2 20,0
La politica di George Bush Jr. in Medio Oriente 34,3 26,1 11,7 9,0 10,1 17,3 19,5
Il conflitto tra moderati e fondamentalisti all’interno di alcuni paesi arabi 7,9 9,1 5,8 9,4 13,2 8,0 8,6
La politica di Sharon 8,2 10,4 4,5 3,4 4,4 5,7 6,5
Altro 1,1 1,3 3,9 1,3 0,6 1,2 1,4
Non sa/non risponde 7,4 4,5 8,4 8,2 5,0 17,0 10,3
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
Nella domanda successiva è stato chiesto agli intervistati se, al momento dello scoppio del conflitto in Iraq, fossero o meno favorevoli all’intervento anglo-americano. Questo ha suscitato, fin dall’inizio, un ampio dibattito che ha visto l’emergere di posizioni molto diverse, non solo nell’opinione pubblica, ma tra le diverse forze politiche della scena politica italiana e tra gli stessi Stati membri dell’Unione europea. Le divisioni tra Francia e Germania da una parte, contrarie all’intervento, e i paesi ad esso favorevoli (si pensi alla Spagna o alla stessa Italia), hanno portato a una spaccatura in sede comunitaria che ha avuto importanti riflessi anche relativamente ai rapporti con l’alleato americano. Nel nostro Paese, la contrarietà netta all’intervento anglo-americano ("senza se e senza ma") portata avanti dai partiti afferenti all’area di sinistra (Verdi, Comunisti italiani e Rifondazione comunista) si è accompagnata alla posizione di quanti, nel centro-sinistra, sarebbero stati favorevoli all’intervento se condotto sotto l’egida dell’Onu e a quella, governativa, sostenente la necessità dell’operazione.
In base a quanto rilevato dall’indagine campionaria, la maggior parte dei cittadini italiani (il 56,5%) era contraria all’intervento degli anglo-americani in Iraq al momento dello scoppio del conflitto. Una minoranza significativa di intervistati (38,3%) ha invece dichiarato di essere stato favorevole all’intervento mentre il 5,2% non ha espresso un’opinione a riguardo.
Tabella 11
Lei era favorevole all’intervento degli anglo-americani in Iraq al momento dello scoppio del conflitto?
Anno 2004
Valori percentuali
Lei era favorevole all’intervento degli anglo-americani in Iraq al momento dello scoppio del conflitto? %
Sì 38,3
No 56,5
Non sa/non risponde 5,2
Totale 100,0
Fonte: Eurispes-Korus.
I giudizi degli intervistati rispetto al conflitto in Iraq riflettono prevalentemente le posizioni assunte dall’area politica di riferimento al momento dell’intervento anglo-americano. La tabella seguente mostra infatti come tra gli intervistati di sinistra e di centro-sinistra la percentuale dei contrari alla guerra sia ampiamente maggioritaria: pari, rispett
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