La notizia principale sui giornali di oggi è quella dell’attentato compiuto da una donna palestinese che si è fatta esplodere al valico di Erez. Il servizio di Claudio Pagliara trasmesso sui Tg della Rai ieri sera era circostanziato ed esauriente, in particolare il ritratto dell’attentatrice, definita "carnefice", rispecchiava senza giri di parole la vera natura di coloro che compiono simili atti. Mentre i principali quotidiani accompagnano la notizia dell’attentato alla foto delle vittime e della stazione distrutta o a quella dell’attentatrice nel suo video testamento, l’INTERNATIONAL HERALD TRIBUNE, (l'edizione venduta in Italia è stampata a Bologna ed è venduta in tutte le edicole, si prodiga nel fare informazione scorretta. Infatti, in prima pagina, accanto alla notizia dell'attentato, campeggia la foto di un soldato israeliano con un fucile puntato verso una folla di palestinesi che evidentemente aspettano di passare il valico. E' ovvio che con immagini del genere il lettore, già portato ad una visione pregiudiziale nei confronti di Israele, Stato "militarista ed oppressore",farà più caso al soldato israeliano-con-fucile che non alla notizia. L'Int.Herald Tribune è l'edizione europea del New York Times.
Analizziamo ora i quotidiani in lingua italiana:
EUROPA:
a pag.2 Filippo Cicognani firma un articolo dal titolo "una madre di 2 figli si fa esplodere al valico di Eretz uccidendo quattro persone. Hamas loda il gesto e il portavoce di Arafat accusa il "muro dell’apartheid".E’ sempre più arduo il percorso della road map."
Già dal titolo si evincono le linee guida del pezzo che attribuisce agli israeliani le maggiori colpe della stagnazione della road map, come se la cessazione del terrorismo non ne fosse una delle prerogative. Insomma tanti bei giri di parole per deresponsabilizzare i palestinesi dell’accaduto.
IL RIFORMISTA
a pagina 7 dà una spiegazione socio-antropologica al fatto che il terrorista è una donna. Non è una novità (l'ultima era stata l'avvocatessa che si era fatta esplodere nel ristorante di Haifa. Un articolo di approfondimento interessante.
AVVENIRE
Graziano Motta si sofferma sulle conseguenze politiche dell’attentato e rileva come Abu Ala sia ormai di fatto esautorato dalla sua carica, un’analisi circostanziata e corretta come sempre.
REPUBBLICA
Leonardo Coen si addentra in una lunga descrizione della terrorista forse per far implicitamente accettare al lettore le motivazioni del suo gesto; nell’articolo non viene dato alcun rilievo alle reazioni degli israeliani all’attentato. Repubblica, un giornale che vende quasi quanto il Corriere della Sera, ancora una volta, si conferma il meno equilibrato quando si parla di Israele.,
LA STAMPA
Cronaca di Aldo Baquis, senza infamia e senza lode (se direbbe che Baquis non consideri il peso delle parole. Poi Fiamma Nirenstein analizza la nuova strategia di Hamas, che, decimato dalle operazioni di antiterrorismo, è costretto a ricorrere alle donne per compiere i suoi atti criminali. Pubblichiamo di seguito il pezzo per intero.
CORRIERE DELLA SERA
Davide Frattini a pagina 16, con un articolo preciso ed esauriente, smentisce chi aveva sostenuto l’esistenza di una tregua non scritta tra Hamas e Israele; in più dà spazio a tutte le reazioni all’attentato.
IL FOGLIO
A pagina 3, spiega come Abu Ala abbia perso il proprio potere e come Arafat detenga, in concertazione con Hamas, le redini del terrore. Quest’ultimo però continua a rafforzarsi; insomma di male in peggio. Lo pubblichiamo integralmente.LA STAMPA
I messaggi agghiaccianti
del «sacrificio» di Reem
Fiamma Nirenstein
Per lo sceicco Yassin l’uso di una mamma ventunenne è una forma
di escalation. Nel video una nota femminile: «Donerò il mio corpo»
GERUSALEMME
FORSE mai la geometrica, pignola precisione del terrore fu più esercitata che nell’attentato di ieri al check-point di Eretz. Gli elementi che vi sono contenuti, decrittati, sono una lettera di intenti sia dello sceicco Yassin, il capo di Hamas, sia delle Brigate Al Aqsa che fanno capo ad Al Fatah di Arafat: le organizzazioni hanno rivendicato l’attentato congiuntamente, hanno scelto come obiettivo il valico che è l’unico esempio di convivenza fra palestinesi e israeliani, hanno usato una donna religiosa, la ventunenne Reem Salih al-Riyashi, come bomba vivente. Questa esplosione risuona di cupi e precisi motivi.
Inanzitutto, l’attentato in sè, che segue di poche ore quello compiuto vicino a Ramallah in cui è stato ucciso Ro’i Arbel, padre ventinovenne di cinque bambini di cui tre gemelli neonati. L’escalation di terrore dopo un relativo periodo di silenzio (l’ultimo attentato aveva avuto luogo il 25 di dicembre) marca il desiderio delle organizzazioni terroristiche di mostrare vitalità anche dopo la decisa riduzione delle loro capacità in seguito all’operazione «Muro di difesa». Ma l’alleanza fra Hamas e Brigate mostra un doppio e spurio desiderio: da parte del gruppo integralista islamico, quello di candidarsi alla successione di Arafat nella pericolante Autonomia palestinese. E da parte delle Brigate, che non oserebbero mai agire senza almeno il tacito consenso del Raiss, si vede invece la determinazione a non farsi battere dalle ali dure seguitando a giocare sul piano della forza come su quello diplomatico. «Il Raiss ha concentrato tutto il potere - spiega il capo dell’intelligence dell’esercito, Aharon Zeevi - e Abu Ala ha rinunciato a fare politica». Così si può interpretare la mancata condanna dell’attentato da parte del primo ministro palestinese.
Secondo elemento: fare esplodere il passaggio di Eretz è come fare esplodere l’unica fonte di guadagno per la popolazione palestinese di Gaza. Di là ogni giorno passano quasi 20mila lavoratori palestinesi che entrano nella zona industriale, e 5000 che vanno al lavoro in Israele. La terrorista suicida si è introdotta proprio nella folla dei lavoratori col tesserino magnetico che certifica la loro condizione di dipendenti legali, con un datore di lavoro israeliano. Ha imboccato cioè la strada di scalzare la poca fiducia rimasta, il rapporto stesso con Israele, il poco reddito che sostiene la sua gente. Da parte di Gerusalemme la reazione è stata nuova: dall’ufficio del primo ministro si fa sapere che per ora i permessi non verranno sospesi. Questo indica che il governo, in considerazione della nuova situazione di grandi giochi mediorentali in cui gli Usa chiedono a Sharon buona volontà e pazienza, preferisce, finchè può, aspettare prima di compiere gesti drammatici.
Terzo elemento: la terrorista, per potere entrare dove stazionano i soldati di guardia, ha usato una scusa di carattere medico, dicendo che la macchina che il metal detector aveva suonato perché una delle sue gambe era stata operata e le era stata inserita una placca di metallo. Ha anche finto di cadere e i soldati corsi in suo aiuto così sono stati uccisi, proprio per averle creduto. Come si sa, sono state sollevate molte accuse nei confronti dei soldati israeliani perché hanno fermato ambulanze, hanno controllato donne in gravidanza, hanno rallentato trasporti di malati. Ecco quindi una nuova provocazione per il comportamento dei soldati e la premessa per un ulteriore rafforzamento della sorveglianza.
L’ultimo elemento distruttivo è l’uso di una donna, anzi di una madre-terrorista, così fieramente rivendicato dalla sceicco Yassin come una scelta di escalation militare. Per la mentalità mortifera di Hamas è segno di grande forza fanatizzare una giovane madre di due bambini piccoli; e soprattutto è un segnale di battaglia, una richiesta di ulteriori adesioni alle donne religiose il cui ruolo basilare è quello domestico e la cui partecipazione agli attentati è stata spesso oggetto di discussioni teologiche. Ma dopo i tanti arresti e le tante eliminazioni subite, Hamas si rivolge al suo «esercito di riserva». Il tono ardente, addirittura appassionato del messaggio registrato dalla terrorista secondo la tradizione degli «shahid», i martiri, ha un tocco specificamente femminile, quando la ragazza parla di «donare il proprio corpo», quando dice «quanto ho sognato di esplodere in Israele» e «volevo che parti del mio corpo volassero ovunque». Secondo Ehud Yaari, uno dei maggiori esperti del mondo musulmano in Israele, per le donne - come per gli uomini il premio è un harem di 72 vergini - è previsto un paradiso d’amore, naturalmente monogamico: se hanno avuto marito, è l’ultimo sposo che è loro destinato. Altrimenti, le attende l’ultimo martire sucida.
IL FOGLIO
Hamas uccide, l’ala di Arafat rivendica, Abu Ala non condanna
Gerusalemme. Una terrorista palestinese
si è fatta esplodere al valico di Eretz,
uccidendo quattro persone e ferendone
una decina. Tutti israeliani. E’ il primo attacco
suicida palestinese dal giorno di Natale.
Il valico di Eretz è una soglia fortificata
tra Gaza e Israele, è il luogo dove i militari
israeliani controllano che gli arabi
che entrano in Israele non siano imbottiti
di tritolo. Solo da qualche settimana i lavoratori
palestinesi avevano ricominciato
mettersi in fila per passare. Ventimila
ogni mattina. Quattromila per l’area industriale
in funzione dietro le fortificazioni.
Sedicimila per i bus diretti nelle città
israeliane. Con la riapertura del valico a
Gaza erano ripresi a circolare shekel e
dollari. Hamas non ha tardato a prendere
le contromisure. Contromisure studiate a
lungo, preparate con cura perché colpire
Eretz non è facile. Il gruppo terrorista ha
scelto una donna. La prima "ragazza bomba"
di Hamas con tanto di benedizione delfondatore e leader spirituale, Ahmed Yassin.
"Il jihad è un obbligo per uomini e
donne, questo è il nuovo sviluppo di una
resistenza destinata a continuare fino a
quando il nemico non lascerà la nostra
terra", ha annunciato lo sceicco paraplegico
rivendicando la strage.
Hamas ha raggiunto un risultato politico
e militare immediato: la chiusura sine
die del valico, e poco importa se ha provocato
il blocco dei salari per ventimila
famiglie palestinesi. L’attentato prova che
il rapporto dei servizi di sicurezza palestinese,
comparso una settimana fa sui
quotidiani israeliani, era corretto. Certo
non c’era neanche bisogno dei servizi di
Arafat per sapere che Hamas usa stragi e
kamikaze come armi politiche per far saltare
ogni tentativo o ipotesi di negoziato
con Israele. Con Israele non si negozia,
Israele va cancellato dalla carta geografica.
Non che vi fossero grandi negoziati sul
tavolo. Ma Hamas voleva far fallire ancheil semplice tentativo di mitigare le sofferenze
dei civili palestinesi, attuato da
Ariel Sharon su richiesta del capo di Stato
maggiore, Moshe Yaalon, che gli aveva
chiesto di garantire la sicurezza dei civili
israeliani senza strangolare la popolazione
araba.
L’Autorità Palestinese, ricaduta sotto il
totale controllo di Yasser Arafat, è tornata
alla contrapposizione frontale dei mesi
precedenti la road map. L’attentato di
ieri è stato rivendicato anche dalle Brigate
Martiri al Aqsa, braccio armato di Fatah,
cioè del partito di Arafat, e il primo
ministro Abu Ala non ha neanche voluto
condannarlo. Lo ha definito l’inevitabile
conseguenza degli attacchi e delle restrizioni
imposte dagli israeliani che – ha detto
– "generano escalation da entrambe le
parti". L’indifferenza di Abu Ala non ha
sorpreso: "Ha rinunciato a governare
l’Anp, si è arreso ad Arafat. E il rais continua
a trasferire denaro alle brigate alAqsa", ha scritto in un rapporto alla Knesset
il generale Aharon Zeevi, responsabile
dell’intelligence dell’esercito. Il rapporto
segnala l’anarchia dilagante nei territori
palestinesi e preannuncia un imminente
ritorno delle bombe umane di Hamas.
Per vendicare i nove militanti caduti
di recente a Rafah, spiegava Zeevi, ma
anche per ribadire il ruolo militare di Hamas
in contrapposizione ad al Fatah e all’Autorità
Nazionale Palestinese. Quel
ruolo, negli ultimi tempi, sembrava essersi
ridimensionato. Dopo la grande caccia
israeliana ai leader di Hamas, culminata
con i tentativi d’eliminazione di due capi,
qualcuno nei territori palestinesi sussurrava
di una tregua segreta, di un accordo
siglato con emissari americani per metter
fine agli attentati nelle città israeliane e
guadagnarsi in cambio la cancellazione
dalle liste del terrorismo. Con la strage di
ieri Hamas ha fatto capire a tutti di esser
di nuovo in piena attività.