Sul sito di NextOnLine - Strumenti per l'innovazione, Rita Di Leo, docente di Politica Comparata l’Università "La Sapienza" di Roma, scrive l'articolo che riproduciamo più avanti.
L'avremmo criticato punto per punto, come costume di Informazione Corretta, ma, leggendolo, ci siamo chiesti se non era più utile lasciarlo leggere ai nostri lettori senza un commento da parte nostra, non essendoci un concetto che meriti un apprezzamento.
L'autrice è docente universitaria, area rifondazione comunista. Nulla di nuovo sotto il sole, si dirà. Tutto vero, ma ci si conceda una osservazione: con dei "docenti" così, dei quali si deve sottolineare anche la crassa ignoranza, sarà inutile chiedersi perchè chi esce da certi corsi universitari si trovi poi con la mente chiusa e la mancaza di capacità critica.
Non è una lettura gradevole, ma è una testimonianza dei tempi che viviamo. Forza e coraggio.
Chi ha subito una violenza diventerà violento. Cosi insegna la psicanalisi, scienza inaugurata da un ebreo. E cosi dimostra Sharon
Le cause del conflitto medio-orientale sono estranee a una gran parte del mondo. Il conflitto, infatti, non tocca interessi economici globali. Alla sua origine non vi sono contese tra anonime transnazionali corporation per lo sfruttamento del petrolio, dell’uranio, dei diamanti o di altre risorse naturali dei territori ex coloniali. Per gli abitanti del Sud Est Asiatico, per i giapponesi, i cinesi, gli indiani si tratta di una piccola contesa territoriale che sta mettendo in forse la capacità degli Stati Uniti, global cop, di farsi rispettare nel suo protettorato Israele. La pensano così anche gli arabi moderati, clienti-mercanti sinora meno pretenziosi di Tel Aviv.
Sono gli intellettuali e i politici in Europa e una minoranza di intellettuali negli Stati Uniti a sentirsi implicati in un dramma che riguarda sic et simpliciter il comune passato europeo. Per molti europei il coinvolgimento nel conflitto è inevitabile e divide le generazioni. Gli studenti, i giovani manifestano a favore dei palestinesi proprio come nel passato altri studenti e giovani fecero per i vietnamiti: fanno le loro prime esperienze politiche schierandosi per le vittime del momento. Alla loro età è più o meno quello che devono fare. Sono i loro padri che stanno vivendo il trauma di vedere gli ebrei di Israele nel ruolo di persecutori. Li vedono compiere i medesimi atti che gli ebrei di Europa avevano subito nel loro secolare ruolo di vittime inermi.
La psicanalisi, una scienza resa tale da ebrei, spiega che colui che ha subito una violenza, diventerà un violento. Dunque nulla di imprevedibile: Sharon era prevedibile. E del resto il generale Sharon è ricomparso dopo altre guerre, forse altrettanto violente, che all’epoca, però, non avevano avuto un impatto così sconvolgente sull’opinione pubblica, semplicemente perché l’opinione pubblica era stata poco e male informata.
Infatti il coinvolgimento attuale è la conseguenza di quello che questa volta i mezzi di comunicazione di massa fanno vedere. Nel passato non era accaduto. La copertura mediatica dei conflitti precedenti, e anche delle altre Intifade era realizzata con qualche manipolazione a favore di Israele. Per esempio, ebbe una fugace apparizione sui quotidiani e sugli schermi l’immagine del soldato israeliano che all’epoca della prima Intifada, spezzava il braccio del ragazzo palestinese, catturato dopo un lancio di pietre. Altre immagini erano certo disponibili ma nei raffinati documentari della BBC, non nei telegiornali quotidiani. Quelli erano pieni dei colloqui di pace tra i leader delle due parti, generosamente gestiti dagli Stati Uniti, solo che gli incontri prima o poi fallivano e sempre per colpa dei palestinesi. Sull’ultimo incontro a Camp David nel luglio 2000, sono scorsi fiumi di rimproveri: il presidente Clinton, quasi già ex presidente, s’era adoperato allo spasimo per convincere il premier laburista Barak a concessioni straordinarie e all’ultimo momento il presidente Arafat rifiuta: ha quasi ottenuto Gerusalemme est e insiste a considerare prioritaria la questione del ritorno dei profughi. La stampa occidentale sottolineò l’irresponsabilità del capo palestinese. La vittoria elettorale del falco Sharon e gli eventi politici successivi sono stati, poi, fatti ricadere in gran parte su quel rifiuto.
Quando, però, é scoppiata di nuovo l’Intifada, e di nuovo si sono avuti attentati palestinesi e rappresaglie israeliane, l’Europa ha preso atto di quello che stava accadendo: il premier Sharon aveva deciso di azzerare la forza e l’autorità dell’amministrazione palestinese e la leadership di Arafat. Le aspettative europee di pace in Medio Oriente erano vanificate dal nuovo conflitto. Con determinazione l’esercito israeliano distruggeva le infrastrutture amministrative dell’autorità palestinese costruite, dopo gli accordi di Oslo del 1992, per iniziativa e a spese dell’Unione Europea. Molte organizzazioni non governative europee da anni operano nei campi profughi palestinesi e vi lavorano giovani europei, figli e nipoti di altri europei che negli anni cinquanta e sessanta del novecento erano andati nei kibbutz israeliani a dare una mano a donne e anziani mentre gli uomini erano a combattere. La situazione si è rovesciata con aspetti paradossali.
Nel 2002 mass media e telegiornali europei si sono messi a raccontare, riprendere con le telecamere e commentare l’offensiva bellica israeliana per come la vedevano i giornalisti sul posto. E gli europei hanno potuta guardare in tv kamikaze e carri armati parallelamente in azione: i giovani sono diventati filo palestinesi, i loro padri sono entrati in crisi. In crisi piena è il rapporto tra l’Unione Europea e l’attuale governo di Israele, il quale nella persona di Sharon è pronto a dire ad alta voce quello che gli israeliani di origine europea pensano da sempre sul ruolo dell’Europa. Per saperlo basta rileggere "Le origini del totalitarismo" di Hanna Arendt, una ebrea assimilata con molti dubbi sia sulla strategia dell’assimilazione sia sulla scelta d’isolarsi in Palestina dentro a uno stato di tipo europeo. Il leit motiv dell’opera é il rifiuto dell’Europa verso il popolo di Spinoza, Marx e Einstein, un rifiuto costante nel tempo sino all’epilogo nazista. I rimproveri sono duri e ripetuti nel suo epistolario con amici altrettanto importanti.
L’Europa ha preso tanto dagli ebrei e quando essi si sono decisi a farsi europei li ha sterminati. Il rancore per gli europei si mischia al dolore da parte di chi compie un grande gesto di coraggio e viene punito. Il coraggio era stato quello di restringere la propria sfera religiosa al privato e di comportarsi da laici nel mondo cristiano. A farlo erano state le èlites uscite dai ghetti urbani e dai villaggi di Singer, esse agivano come avanguardie di una secolarizzazione ormai avviata e che fu invece stroncata dai nazisti e dai loro collaborazionisti in ogni parte d’Europa. Da allora il processo che ogni ebreo d’Europa si sente legittimato a fare all’Europa è diviso in due metà, nella prima che riguarda l’epoca delle prime persecuzioni, della cacciata dalla Spagna, della chiusura nei ghetti le accuse sono oggettive, hanno a che fare con i diritti dell’essere uomo. Nella seconda metà del processo che riguarda l’epoca dopo Napoleone, e soprattutto i decenni ultimi dell’ottocento e i primi del novecento, le accuse sono specifiche e si riferiscono a tutto quello che gli ebrei europei hanno fatto per i paesi in cui erano nati, e per cui avevano lavorato, inventato, creato, combattuto e al risultato ottenuto. Porte in faccia e un pezzo di Palestina, comprata dagli ebrei ricchi agli sceicchi arabi ricchi e denominata dall’ONU, Stato di Israele.
Nel senso comune degli ebrei, di quelli andati in Israele e di quelli rimasti, gli eventi attuali addebitabili agli israeliani hanno all’origine il comportamento dell’Europa nei confronti degli ebrei europei negli anni centrali del novecento. Il senso di esclusione dal paese d’origine (tanto amato così come è descritto ne "L’infanzia berlinese" di Walter Benjamin) è stato pari a quello di estraniazione nel paese d’approdo, nel deserto della Terra promessa. Stretti tra l’ostilità araba e il primo protettorato inglese, gli ebrei si sono dovuti improvvisare una propria identità di stato-nazione, un approccio sacrilego rispetto ai propri testi sacri, un approccio che veniva dalla cultura dei paesi in cui erano nati i primi leader israeliani, gli ebrei con lineamenti polacchi, tedeschi, russi, austriaci. Anche Ariel Sharon viene dall’Europa come il padre della patria Ben Gurion.
L’identità israeliana fu creata sul modello di quella europea del periodo della fuga dall’Europa, uno dei periodi peggiori della storia europea, ripudiato dagli europei nel mezzo secolo successivo con la costruzione dell’Unione Europea. Intanto e invece lo stato-nazione Israele si è consolidato secondo il prototipo del passato europeo. La scelta era quasi obbligata perché compiuta da uomini che si erano formati nelle università e nei partiti europei. Si è trattato dunque di un’altra assimilazione, nella prima il singolo aveva tentato di farsi accettare dall’ambiente dominante ostile, nella seconda lo stato Israele ha lottato per dominare l’ambiente ostile. Come era nel suo dna europeo tracciò confini, creò discriminazioni tra sé e gli altri, imparò a offendere i deboli, a fare compromessi con i forti. I deboli erano e sono gli arabi, i forti erano gli inglesi e sono oggi gli Stati Uniti. È stata ininterrotta la sequenza di conflitti, attentati e guerre che hanno segnato sinora l’integrazione di Israele in Palestina, decisa da europei e americani come atto di riparazione verso i "loro" ebrei e imposta agli arabi come l’ennesimo atto di arbitrio dei bianchi imperialisti. Un arbitrio che aveva a sua legittimazione formale la Bibbia e il comune padre Abramo. Nella sostanza lo Stato di Israele è sempre stato considerato una testa di ponte degli interessi bianchi nelle terre arabe. Ed è da qui che cominciano le incomprensioni tra europei e israeliani.
Gli europei, quelli nati dopo lo sterminio nazista, e che magari erano andati a lavorare nei kibbutz israeliani, ed erano in sintonia con le esigenze di sicurezza degli ebrei in terra di Palestina, assistono increduli alla riproposizione di un pezzo del proprio peggiore passato. E si chiedono se era proprio prevedibile e inevitabile. È un rospo terribile da ingoiare la realtà che vede lo Stato di Israele a cinquanta anni dalla sua nascita, subire una situazione per cui ragazzi palestinesi ammazzano ragazzi israeliani e poi ordinare rappresaglie simili a quelle dei francesi in Algeria, degli inglesi in Sudafrica, dei tedeschi in Europa. Solitamente la responsabilità degli eventi va a chi è più istruito, più civile, più ricco. Ed Israele è tutto questo ed è per questo che poteva inventarsi qualcosa di meglio che imitare l’europeo imperialista e razzista. Serviva una qualche invenzione politica strabiliante perché gli ebrei scacciati dall’Europa riuscissero a vivere in pace con gli arabi vittime anch’essi di coloro che decidono le sorti del mondo. Serviva un’invenzione geniale e da chi aspettarsela se non dal popolo più geniale della terra, capace di scoprire la penicillina e di costruire la bomba atomica?
Serviva una strategia politica geniale dopo tanto genio profuso nelle arti e nelle scienze. Non è venuta e gli ebrei israeliani sono ricorsi alla normale violenza di uno normale stato che difende il suo popolo dai suoi nemici. Che il suo popolo siano gli ebrei tornati in Palestina dopo duemila anni e i suoi nemici siano i palestinesi che non si erano mai mossi dalla Palestina è una vera e propria cabala. Una cabala che l’Europa del passato ha in gran parte voluto e che l’Unione Europea di oggi potrebbe tentare di affrontare se gli israeliani glielo consentissero. Al momento Israele sta sbattendo la porta in faccia agli europei come gli europei fecero con i "loro" ebrei. Nel mezzo secolo trascorso molti sono stati i cambiamenti nei paesi europei e per Israele tenerne conto è il recupero delle proprie radici che sono ad Amsterdam, a Praga, a Vienna, non a Ramallah. Sono le radici di Hanna Arendt, la quale sosteneva che la pace e il futuro di Israele dipendevano dalla sua capacità di costruire uno stato laico e all’avanguardia.
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