Riportiamo l'articolo sulla conferenza yemenita, organizzata anche da Emma Bonino, fondatrice della Associazione "Non c'è pace senza giutizia".«Capisco che il sangue fa più notizia, che non ci sono conflitti geopolitici da esaltare e il solito antiamericanismo da raccontare. Però dispiace constatare che si parla tanto di promuovere la democrazia nel pianeta, e quando lo si fa veramente nessuno pare importarsene». È amareggiata, la cittadina del mondo Emma Bonino, dice che forse la stampa italiana «è prigioniera dei suoi cliché e della sua deformazione». Ma la leader radicale è allo stesso tempo soddisfatta. Ha trascorso l'epifania nello Yemen, e rimarrà a San'a, la capitale dello Stato asiatico, fino a lunedì. Ovviamente, non è in vacanza, ma nel pieno di un «sorprendente iper-lavoro» causato da uno sfiancante «caos logistico» dopo che ha preso improvvisamente quota la conferenza su «Democrazia, diritti umani e corte penale internazionale», organizzata a partire da sabato dal governo yemenita e da Non c'è pace senza giustizia, l'ong di cui è fondatrice. «Dai duecento delegati inizialmente previsti, siamo già arrivati a oltre quattrocento», dice con soddisfazione la Bonino. Per comprendere l'importanza dell'appuntamento va ricordato che nella tre giorni yemenita si ritroveranno ministri e parlamentari di ventisette paesi asiatici e africani; rappresentanti di organizzazioni non governative del mondo arabo, dei paesi limitrofi, europee ed americane; la regina Ranja di Giordania; il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi; il segretario generale della Lega araba Amr Mussa; quello dell'Organizzazione per la Conferenza islamica Abdelwahed Belkeziz. La Corte penale internazionale sarà invece rappresentata dal procuratore generale Moreno Ocampo e dal giudice Neroni Slade, l'Onu dall'assistente segretario generale Danilo Turk, il Regno Unito dall'Attorney general lord Goldsmith. «Per l'Italia verrà il sottosegretario Mantica», anticipa la Bonino, soddisfatta per l'impegno anche economico del nostro governo e di altri singoli paesi europei. Semmai, si aspettava di più da Javier Solana e dalla Ue: «La rappresentanza di Bruxelles è sotto tono, spero ci ripensino all'ultimo momento».
Esaurita la lista dei presenti, arriva il momento di parlare dei contenuti della conferenza. Dice la Bonino che l'obiettivo immediato è uno: «Ottenere la ratifica della Corte penale internazionale da parte di alcuni paesi nei quali la stessa ratifica si è inceppata all'ultimo momento, dopo che hanno anche partecipato ai lavori di preparazione in ambito Onu. Per ora registriamo che il tanto discusso Yemen ha già iscritto il tema al primo punto dei lavori parlamentari». Ovviamente, il riconoscimento della Corte «rientra in un discorso più ampio, che è quello sulla promozione nel mondo della democrazia». Principio, questo, che «non s'affaccia solo in Yemen, dove il multipartitismo già c'è, ma in molti punti dell'area. Penso al Marocco, dove è stata approvata una carta dei diritti delle donne più progressista di quanto si aspettassero le stesse femministe. E che dire delle elezioni locali in Arabia Saudita, la trasformazione della monarchia del Bahrein da ereditaria in costituzionale, l'avvio alla pace in Sudan?» Paesi in cui la rule of law sta affermandosi goccia dopo goccia, «e ai quali dobbiamo dare una mano». E siccome esiste una sola forma di democrazia, i principi da cristallizzare sono sempre gli stessi: «Libere elezioni, libertà di espressione politica e di opinione, indipendenza del sistema giudiziario, tutela della proprietà privata». Semmai va valutato come realizzare lo stato di diritto, e attraverso quale percorso, perché «la democrazia è un sistema fragile e complesso, può andare avanti ma anche indietro. Persino in Occidente serve un check and balance (controllo e bilanciamento) continuo».
Quanto agli arabi, la loro voglia di democrazia è testimoniata dall'accorrere a San'a, «nonostante a organizzare l'evento fossero un governo povero di mezzi, lo Yemen, e una ong rispettata ma che rappresenta ben poco se messa a confronto, ad esempio, con l'Onu o la Banca mondiale. Noi incentivi non ne abbiamo dati». Segnali importanti, dunque, che è «opportuno cogliere». Certo, alcune dichiarazioni d'intenti «sono soltanto cosmetiche». Ma alla Bonino non interessa: «L'importante è spingere per fare andare avanti chi è ancora frenato. Rischiando un po', ne sono consapevole. Ma se nessuno rischia, come si pensa di promuoverla questa benedetta democrazia?». Senza considerare, poi, che un primo successo verrà sicuramente incassato: «Mettere tutti insieme, intorno a un tavolo, giornalisti, governanti, oppositori, società civile, intellettuali». Tanto che la Bonino è cautamente ottimista per un ulteriore obiettivo: «Concludere i lavori con la Dichiarazione di San'a, una dichiarazione di impegno sui diritti». Se però ciò avverrà, «dipenderà solo da loro: noi ci limitiamo a offrire un'occasione. Magari litigheranno e basta. So già, ad esempio, che qualcuno tirerà in ballo i soliti slogan sulla Palestina e l'Iraq che impediscono i processi democratici. Ma ricordo sempre con piacere il delegato arabo che una volta si alzò e disse: che c'entra la Palestina con l'arresto degli omosessuali?».
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