Un editoriale in stile pre-Folli
Perchè Ferrari non passa a Repubblica o all'Unità ?
Testata: Corriere della Sera
Data: 07/01/2004
Pagina: 1
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: Sharon e la forza d'urto che serve alla pace
Oggi, 7 gennaio '04, Antonio Ferrari, su un editoriale del Corriere in prima pagina, ci fornisce una perla di disinformazione pregiudiziale (stile Corriere pre-Folli) su Israele ed il suo primo ministro Ariel Sharon, che viene descritto come un leader ondivago ed inconcludente il cui unico obiettivo è il proprio tornaconto personale:

La maggioranza degli israeliani accetta lo Stato palestinese, vuole un accordo definitivo e una pace garantita. La stessa maggioranza è compatta, addirittura in crescita nel sostenere il primo ministro Ariel Sharon, che finora ha fatto ben poco, anzi quasi niente per riattivare il negoziato e giungere a un serio compromesso. La chiave di questa evidente contraddizione è una sola: gli israeliani confidano nel premier più per ciò che potrebbe fare che per quello che ha fatto e sta facendo.
Prerogativa per la riapertura del dialogo era ed è la fine degli atti terroristici, strano che Ferrari non lo sappia. La mancanza di una leadership forte nella controparte capace di agire in modo chiaro rende attualmente il negoziato impossibile. La maggioranza degli israeliani vuole la pace ed ha scelto Sharon per farla, se questi non ne sarà capace ne sconterà le conseguenze politiche alle prossime elezioni.
(...) A Sharon si può credere o non credere. Le ragioni per diffidare non mancano, visto che non ha fatto nulla per aiutare il primo ministro Abu Mazen, che nel mondo palestinese è ritenuto un riformatore credibile, e ancora meno il suo successore, il più flessibile Abu Ala.
Quando c'era Abu Mazen, Sharon ha compiuto alcuni passi importanti nei sui confronti, ma dall'altra parte è mancato il corrispettivo. Ad Aqaba vi era una forte identità di vedute tra l'amministrazione americana ed il premier che vedevano in Abu Mazen l'alternativa più plausibile al corrotto e colluso regime di Yasser Arafat, il quale successivamente ha però avuto la meglio,eliminando, lui sì non Sharon, Abu Mazen. Dicendo il contrario Ferrari mente.
Ma l'impegno, ribadito solennemente dal premier israeliano nel discorso di lunedì, di credere nella Road map e di voler procedere presto allo smantellamento di alcuni insediamenti, è un segnale che non va ignorato, anzi va incoraggiato. Certo, Sharon non rinuncia al Muro, non abiura i piani di separazione, ed è pronto a iniziative unilaterali che hanno già provocato l'irata reazione di Arafat (...)
Tutte le iniziative che Ferrari elenca non sono in contraddizione tra di loro, anzi, sono complementari. L'obiettivo comunque è il medesimo: arrivare a dare una qualche sorta di situazione di pace allo Stato di Israele, disimpegnandosi dai palestinesi e favorendo così la nascita del loro Stato.

(...) Tuttavia, a spingere all'azione Sharon può aver contribuito, in misura decisiva, l'irrigidimento di Washington. La decisione del presidente Bush di inviare nella regione l'ex segretario di Stato James Baker vale molto più di una generica pressione. (...) Ora, sarà anche vero, come sostengono alcuni analisti, che la rielezione di Bush piace più agli arabi che a Israele, perché un presidente degli Usa, al secondo mandato, è più libero di agire e quindi più refrattario a subire i condizionamenti della lobby ebraica americana. (...)
Sharon, quando lo ha ritenuto necessario, non ha esitato a contraddire l'alleato americano; è evidente che le pressioni diplomatiche abbiano il loro effetto ma solo se assecondano progetti futuribili. In America ci sono molte "lobby" ed ognuna influenza la Casa Bianca, l'uso del termine lobby ebraica, così come fa Ferrari, ci sembra un'espressione alquanto infelice.
Tuttavia, ridurre tutto a mero tatticismo non basta. Forse al premier israeliano, che vuol essere ricordato come uomo di pace, manca ancora il coraggio politico di osare quel che osò Yitzhak Rabin. Sapendo che, nel Medio oriente, il coraggio può costare la vita.

Rabin aveva un grande sogno che si è poi sgretolato col succedersi degli eventi. Non considerare dieci anni di storia contemporanea per un giornalista è molto grave. Ma forse Ferrari è uno di quei classici nostalgici che guardano con diffidenza a qualsiasi cambiamento,tanto è forte il pregiudizio verso Israele.

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