La strategia per la pace di Sharon
se fallirà la Road Map
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Data: 17/12/2003
Pagina: 18
Autore: Aldo Baquis - Graziano Motta
Titolo: Sharon pronto: Via da Gaza tutti i coloni - Israele, piani di sgombero dei coloni
Riportiamo due interessanti articoli che riguardano l'apertura di Sharon verso l'abbandono di quegli insediamenti che più mettono in pericolo la sicurezza di Israele, nell'ottica di una separazione dai territori.

Il primo è di Graziano Motta, come sempre informato e corretto, su Avvenire di oggi a pagina 18, con il titolo: "Sharon pronto: Via da Gaza tutti i coloni"

Sharon ha deciso: in mancanza di un’intesa con Abu Ala sull’applicazione della Road map, ovvero persistendo la stasi del dialogo di pace, ordinerà lo sgombero degli insediamenti dei coloni nella Striscia di Gaza e di alcuni fra quelli della Cisgiordania che sono molto isolati e quindi di difficile difesa. L’annuncio verrebbe dato domani dal primo ministro alla conferenza sulla sicurezza nazionale apertasi ieri a Herzlya. Una indiscrezione in tal senso del quotidiano Maariv è stata confermata da uno dei più vicini collaboratori di Sharon, il vice del consiglio ed ex sindaco di Gerusalemme Ehud Olmert. Questi ha detto alla conferenza che i provvedimenti «interesseranno alcune decine di migliaia» di coloni. E ha precisato che «gli avamposti illegali degli insediamenti devono essere rimossi dal terreno senza ricorrere a furbizie» per consentire con il governo palestinese e con l’amministrazione Bush un esame delle reali possibilità di attuare la Road map. Ma se questa prospettiva dovessero risultare impraticabile, ha proseguito Olmert, Israele dovrebbe decidere unilateralmente l’evacuazione di parecchi villaggi e riassestare le forze militari e di sicurezza su nuove linee.
Naturalmente Olmert si è detto convinto che la resistenza dei coloni che saranno colpiti dall’ordine di sgombero sarà molto forte – le avvisaglie si sono già manifestate, con l’erezione di tende in alcune località ove sono chiamati a confluire quanti intendono opporsi al loro sgombero – e in proposito ha detto: «Tanto la resistenza sarà consistente, tanto più la comunità internazionale comprenderà il sacrificio che siamo pronti a fare». Quanti all’interno del partito Likud e in seno al governo di coalizione si oppongono al progetto di Sharon e di Olmert ammoniscono che le misure unilaterali saranno percepite dai palestinesi come un segno di debolezza e quindi non miglioreranno per nulla lo stato della sicurezza, anzi saranno un incentivo per l’aumento del terrorismo.
Ricordano in proposito cosa avvenne nel 2000 con il ritiro unilaterale dei soldati dalla «fascia di sicurezza» del Libano meridionale, disposto dall’allora primo ministro e leader laburista Barak: vi sono installati i guerriglieri fondamentalisti Hezbollah che, con il sostegno finanziario e militare dell’Iran e logistico della Siria, sono divenuti una minaccia concreta per la Galilea e tutto il nord del paese. Sharon sostiene che «comunque guariamo la situazione, non potremo restare a lungo nella Striscia di Gaza».
Ritiene pure che nell’impossibilità di ottenere la cessazione della rivolta armata dai gruppi fondamentalisti, Abu Ala sarà costretto entro sei mesi a dimettersi.
Proprio per scongiurare questo scenario ieri è arrivata a Gaza una delegazione egiziana per ritentare di convincere i capi di Hamas e Jihad a proclamare una tregua provvisoria nelle operazioni di guerriglia e negli attentati. Il fallimento di questo obiettivo nei recenti colloqui del Cairo, ha indebolito la posizione di Abu Ala.
Da parte sua il capo dei servizi di sicurezza Avi Dirter ha sollecitato Sharon a completare subito la costruzione della barriera di separazione dai Territori nei tratti «non controversi». Dirter ha poi sostenuto che «l’Iran è la più grave minaccia strategica per Israele, essendo lo Stato terroristico numero 1 del mondo e il più forte sostenitore delle organizzazioni terroristiche palestinesi».
Il secondo è una cronaca della conferenza del centro antiterrorismo di Herzlya, firmata da Aldo Baquis, pubblicata dalla Stampa a pagina 11:
"Israele, piani di sgombero dei coloni"

Il movimento dei coloni ha gridato ieri all'eresia dopo che il vicepremier Ehud Olmert (Likud), in un convegno dedicato alla sicurezza di Israele, ha avvertito che il suo governo potrebbe essere costretto in un futuro non lontano «ad abbandonare decine di insediamenti isolati e a sgomberare decine di migliaia di coloni». Una dichiarazione strabiliante in bocca a un uomo fino a poco tempo fa considerato portabandiera delle correnti più nazionaliste. Alludendo a queste parole, e a un’intervista in cui il premier Ariel Sharon si è detto contrario al prolungarsi dell’occupazione militare in Cisgiordania, Zeev Hever, uno dei dirigenti storici del movimento dei coloni, ha osservato che questo tipo di smobilitazione «equivale alla distruzione del sionismo. Si tratta di dichiarazioni molto gravi, sintomo a mio giudizio di una malattia mentale».
La nuova linea politica di Olmert, verosimilmente concordata con lo stesso Sharon, nasce dalla sensazione che il terrorismo palestinese sia divenuto un fenomeno endemico e dalla totale sfiducia verso la leadership dell'Anp di Yasser Arafat il cui obiettivo - secondo il generale Moshe Yaalon, capo di Stato Maggiore - «è far scomparire a lungo termine Israele, combinando il terrorismo con l'impatto di fenomeni demografici».
Il «ticchettio dell'orologio delle nascite di bambini arabi» allarma non poco Olmert. Entro pochi anni, fra il Giordano e il Mediterraneo ci saranno più palestinesi che ebrei. Se Israele vuole restare fedele al proprio carattere democratico ed ebraico è necessario - secondo Olmert - compiere un profondo ridispiegamento in Cisgiordania e arroccarsi al di qua della lunga barriera di separazione con i palestinesi. Il che significa, a conti fatti, lo sgombero di decine di colonie.
In occasione del convegno sulla sicurezza dello Stato ebraico a Herzlya, il capo dello Shin Bet (i servizi segreti interni) Avi Dichter ha accettato di comparire in pubblico e ha elencato le molte minacce incombenti: in primo luogo quella dei kamikaze palestinesi, che hanno provocato da soli il 55% delle 900 vittime subite da Israele in tre anni di Intifada. Fatte le proporzioni, è come se la Francia o la Gran Bretagna avessero avuto novemila morti, e gli Usa 37 mila.
Fra tante preoccupazioni, gli incubi notturni di Dichter vanno anche ai terroristi ebrei, che hanno mostrato di non avere remore: hanno compiuto e progettato attacchi contro scuole, rubato armi a soldati riservisti uccidendo almeno sette palestinesi. Se fossero con le spalle al muro, potrebbero realizzare un progetto apocalittico: tentare di spazzare via con la dinamite la Moschea di Al Aqsa (terzo luogo santo all'Islam) e il Duomo della Roccia, a Gerusalemme Est. Il conflitto israelo-palestinese (violento, certo, ma finora circoscritto) rischierebbe di estendersi a dismisura: «Tredici milioni di ebrei - afferma Dichter - dovrebbero vedersela in tutto il mondo con miliardo di musulmani».
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