Politica israeliana
da Ben Gurion al Likud un obiettivo comune: la pace
Testata:
Data: 09/12/2003
Pagina: 7
Autore: un giornalista
Titolo: Anche Israele parla di successione. Olmert vira a sinistra
Alcune considerazioni relative alla politica interna israeliana in un articolo pubblicato sul Riformista di martedì 9 dicembre 2003.

Gerusalemme. Ehud Olmert, numero due del premier Ariel Sharon, tutto ha fatto nella sua vita meno che spacciarsi per una colomba: quand’era sindaco di Gerusalemme è stato l’artefice dell’enorme espansione a est della città, crescita che oggi rappresenta uno dei principali ostacoli alla divisione della sovranità tra israeliani e palestinesi; e, approdato al governo nazionale, ha sempre dato voce all’ala più intransigente del Likud, il suo partito. La politica però è l’arte del possibile, e Olmert –che chi lo conosce descrive come scaltro e smaliziato- ha deciso che il ruolo del falco non gli si addice più. Così a sorpresa, ha tirato fuori dalla giacca un vecchio discorso del padre socialista della Patria, David Ben Gurion, e lo ha fatto proprio. Poi ha rilanciato sostenendo che Israele deve separarsi dai palestinesi anche a costo di tracciare unilateralmente un confine e di ritirarsi.
Quello che Olmert ha deciso di citare non è un discorso qualunque, ma quello con cui il fondatore dello stato –più di mezzo secolo fa- avvertiva che Israele doveva scegliere: se ambire ad annetter tutta la terra biblica, e condannarsi a comandare su una popolazione composta in maggioranza da non ebrei, o se rinunciare a una parte della terra per salvaguardare la propria ebraicità e la propria natura democratica. Ben Gurion non aveva dubbi, la strada da percorrere era la seconda, ma molti in questi anni hanno pensato il contrario (o perlomeno che Israele dovesse cercare di espandersi il più possibile e porsi solo successivamente il problema del rapporto con la popolazione araba). E tra questi c’era Olmert. Non a caso la sua svolta ha suscitato scalpore e un intenso dibattito. E, anche, qualche rinnovata speranza.
Gli analisti, tuttavia, non si stupiscono più di tanto. Perché in Israele stanno succedendo in questi mesi due cose: innanzitutto, la popolazione comincia a dubitare della bontà della politica aggressivaa del governo, che finora non ha dato alcun risultato; e di conseguenza, comincia a dubitare della capacità di guida di Ariel Sharon, le cui quotazioni sono al ribasso. In quella che appare come una delle prime e più significative mosse della prossima guerra di successione, Olmert ha deciso così di provare ad occupare il fianco sinistro del Likud, quello di chi pacifista non è ma capisce che forza e dialogo sono elementi che vanno miscelati con cautela. Anche perché il fronte opposto, quello dei duri e puri schierati sempre e comunque in difesa dei coloni, è già solidamente presidiato dall’ex premier Benyamin Netanyahu.
A provocare questo sommovimento non è solo la debolezza personale di Sharon,. È anche lo stato comatoso del partito laburista che –malconcio per le ultime batoste elettorali e dilaniato dalle guerre intestine- non sembra minimamente in grado di cavalcare il malcontento. Se il futuro sarà comunque targato Likud, dunque, è dentro al Likud che dovrà aprirsi il dibattito sui destini del paese. L’uscita "pacifista" di Olmert non è che la prima di una serie di sterzate che –è facile prevederlo- sarà molto lunga.
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