In Francia l'opinone pubblica inizia a rendersi conto del crescente antisemitismo, un fenomeno non nuovo che ha portato nel 2001 a più di 400 attacchi contro ebrei e sinagoghe e moralmente pesa nel paese della "Libertè, Egalitè, Fraternitè".
Gli episodi sono strettamente collegati all'evolversi dell'Intifada che porta molti giovani estremisti ad identificare gli ebrei con Israele, l'America e tutti i mali del mondo; questa visione è incoraggiata anche dalla politica di Chirac, spropositatamente filopalestinese che, non più tardi di un mese fa lo ha convinto ha porre il veto ad una condanna dell'UE verso le esternazioni antisemite del premier malese Mahtir.
Ecco l'articolo sull'antisemitismo francese. E' firmato da Massimo Nava e pubblicato sul Corriere della Sera di martedì 9 dicembre 2003.PARIGI — Il Gran Rabbino di Francia, Sitruk, invita gli ebrei a non portare la kippah o a nasconderla sotto un più discreto cappellino. Per dare meno nell'occhio, evitare insulti, sarcasmo, spintoni sul metrò, a scuola, per la strada. A volte succede di peggio, come nel prestigioso liceo « Montaigne » , nel pieno centro di Parigi, dove un ragazzino è stato preso di mira dai compagni, umiliato al punto da non aver nemmeno il coraggio per chiedere di cambiare classe. Botte e minacce dall'inizio dell’anno.
Così avviene nel quotidiano delle scuole di periferia, dove gli allievi ebrei — e in molte zone i francesi bianchi — sono minoranza rispetto ai figli degli immigrati maghrebini. Pestaggi, intimidazioni, che spesso i genitori, per paura, nemmeno denunciano.
Qualche sera fa, alcune famiglie ebree si sono riunite in una cena di solidarietà, per raccogliere fondi finalizzati all'apertura di scuole ebraiche che possano accogliere un crescente numero di domande di trasferimento. « Lo chiedono studenti e anche insegnanti. Il clima è ormai molto pesante anche nelle università » dice Jean Jacques Wahl, presidente dell'Alleanza israeliana universale, l'associazione che gestisce le scuole ebraiche francesi.
L'antisemitismo nelle scuole è fatto anche di linguaggi e espressioni, uno slang giovanile che traduce ai danni del coetaneo ebreo volgarità o battute scherzose di solito indirizzate ad altri bersagli.
Come ha documentato Barbara Lefebvre, insegnante di storia, in un libro dal titolo emblematico
I territori perduti della Repubblica, non suscita indignazione il dire « fare l'ebreo » , che nel nuovo gergo significa non prestare una matita oppure imbrogliare. Diventa complicato anche discutere di Einstein, in quanto ebreo.
Il linguaggio dei giovani è spesso rivelatore di tendenze e comportamenti. Storpiare la lingua francese è stato un segnale di ribellione, contro il mondo degli adulti o contro lo Stato che non arriva in periferia. Oggi il linguaggio è anche espressione della deriva etnica e religiosa che condiziona le ultime generazioni.
Il fenomeno è meno esplorato della violenza fisica, registrata nei rapporti sull'antisemitismo che serpeggia in Europa o di più eclatanti incendi di sinagoghe, scuole e profanazioni di cimiteri. In realtà, vigilanza delle autorità francesi e indignazione dell'opinione pubblica hanno fatto diminuire i casi più gravi rispetto agli anni scorsi. « Oggi assistiamo alla banalizzazione dell'insulto, del genere ' sporco ebreo', diffuso anche fra ragazzini. Le statistiche non rappresentano un clima di ostilità e malessere quotidiano. Gli ebrei hanno paura, non sentono solidarietà » dice Marc Knobel, ricercatore al Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche francesi.
Il clima nelle scuole si riflette nelle famiglie. La migrazione verso istituti confessionali è il primo passo verso il progetto di trasloco di tutto il nucleo. Sono almeno duemila all'anno gli ebrei che lasciano la Francia.
Un esodo, non sempre definitivo, verso Stati Uniti e Canada, in parte compensato da quanti lasciano Israele per ragioni economiche e di sicurezza, accompagnato da pendolarismo di uno dei due genitori. La cifra è considerata fisiologica rispetto a una comunità di oltre seicentomila membri, in buona parte laica e generalmente integrata.
« Tuttavia l'inquietudine esiste, soprattutto nelle aree più povere e abitate da immigrati, dove l'ebreo viene considerato un capro espiatorio — dice Moïse Cohen, presidente del Concistoro di Parigi — Prima l'antisemitismo era legato all'estremismo di destra, oggi è anche la conseguenza di un clima culturale che indica in ebrei e americani le cause della povertà e dei mali del mondo » .
Nei quartieri periferici, bande di giovani immigrati si identificano con la causa palestinese. Attaccano la polizia, incendiano auto e commissariati, delimitano il territorio e, a scuola, insultano gli ebrei. « Vietato l'ingresso a spie, omosessuali ed ebrei » è stato scritto fra i palazzoni della « banlieue » .
L'intifada è arrivata in Francia. « Ci sono giovani che considerano gli ebrei come il governo israeliano e non più come cittadini francesi. Le aggressioni sono considerate una risposta alla politica d'Israele. Basta leggere volantini e scritte negli atenei » dice Beatrice Pasquier, portavoce dell'Unione degli studenti ebrei.
« Chi colpisce gli ebrei colpisce la Francia » . Il presidente Jacques Chirac ha tuonato indignazione, mobilitando il governo verso azioni repressive e iniziative di rieducazione. Nelle scuole della République è cominciata la campagna all'insegna della tolleranza, contro ogni forma di razzismo.
Ma la Francia di oggi fa i conti con rivolte e fenomeni sociali che sono speculari all'antisemitismo.
L'islamofobia — bandiera dell'estrema destra — cattura consensi nell'opinione pubblica spaventata da terrorismo e immigrazione clandestina. La domanda di sicurezza e repressione cresce in parallelo con processi di autoidentificazione etnica e religiosa della più grande comunità musulmana d'Europa, i cinque milioni di immigrati di seconda e terza generazione, in maggioranza con passaporto francese.
Se la disoccupazione è doppia che nelle altre classi sociali e l'ascensore dell'integrazione è ancora fermo ai piani bassi, è purtroppo inevitabile che i giovani « beurs » fischino la Marsigliese allo stadio, non credano più al principio dell' « egalité » , riproducano forme d'intifada nelle periferie, identifichino l' « avversario di classe » nell'ebreo e, più in generale, nella società francese bianca.
Arresti, pestaggi, incendi di moschee sono la superficie di un clima pesante che fa dire a Latifa Abed, 38 anni, due figli, attivista sindacale: « Basta il nome che porto per essere guardata con sospetto.
Non ho mai fatto il ramadan e non porto il velo, eppure... » . La Commissione nazionale per i diritti dell'uomo rileva un aumento di aggressioni contro musulmani e denuncia, al pari delle organizzazioni ebraiche, il nuovo vento culturale contro i musulmani — saggi, pamphlet e romanzi di successo, siti Internet — che fa innalzare barriere difensive all'interno del territorio francese. Il buio della ragione dei nostri giorni, alimentato da guerre e terrorismo, produce ricatti ideologici, falsi sensi d'appartenenza, divisioni emotive fra Occidente e barbarie. La moltiplicazione di ragazze che portano il velo a scuola, la recente scoperta di asili islamici clandestini, la richiesta di scuole private per musulmani sono quotidiani mattoni ai nuovi muri dell'intolleranza.
La deriva comunitarista è cementata dalla tradizione che si eleva a diritto, come gli orari differenziati nelle piscine, l'assistenza sociale estesa alla poligamia, il rifiuto di ricevere cure da personale maschile negli ospedali. Le minoranze fanatiche hanno buon gioco nell'alimentare proselitismo e aggressività: una ragazzina di 12 anni, espulsa da scuola perché porta il velo, diventa una martire e un pretesto per aggredire chi porta la kippah.
Fra antisemitismo e islamofobia, la Francia vive così il paradosso di una doppia sconfitta.
Ha innalzato a religione laicità e integrazione nei valori della Rivoluzione e le vede travolte dalle disparità sociali.
Si è opposta alla guerra in Iraq e deve combattere in casa propria i veleni dello scontro culturale e religioso da cui voleva tenersi al riparo. Oggi prova ad aggrapparsi alla medicina che le è più congeniale: le leggi dello Stato.
Vengono proposte, in parallelo, quella che proibisce l'ostentazione di simboli religiosi e quella sulla « discriminazione positiva » per agevolare i gruppi più svantaggiati. La prima rischia di accentuare la deriva confessionale. La seconda potrebbe irrigidire i custodi dell'identità nazionale minacciata. Ma anche far guadagnare consensi al centrodestra, nel caso in cui — come ha detto il ministro degli Interni, Nicolas Sarkozy — venisse nominato un prefetto musulmano. Purché arresti chi picchia un ebreo.
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