Sull'accordo di Ginevra, un trattato non governativo firmato ieri, è stato dedicato ampio spazio sui quotidiani di oggi, martedì 2 dicembre 2003. Partiamo dal FOGLIO con un'analisi politica seria su Ginevra che va controcorrente all'entusiasmo dei facili sognatori nostrani. Questo il titolo: "Ginevra e l'antipatto".Roma. La ricerca di un accordo onorevole di pace è sempre una cosa seria, ma se a una cerimonia pretenziosa e gonfiata come quella di ieri a Ginevra, che sembrava la terza via mondiale, se mai qualcuno se la ricorda ancora, con una folla di ex tutto, presidenti, primi ministri, ministri degli Esteri, attori e intellettuali vari, l’albero di ulivo sul palco, Francesco Rutelli e Massimo D’Alema in gran spolvero, e una teoria di Nobel per la Pace portati in giro fra Roma, l’Aids e il Medio Oriente come madonne pellegrine, se a questa iniziativa, dimenticato il circo, si vuol dare un valore superiore a quello della buona volontà, del contributo, se volete della pressione sulle parti intitolate alla vera trattativa, allora non vale, allora non solo non aiuta la pace, la rende ancora più difficile. Qualcuno avrà pur notato che Shimon Peres,
che è Nobel per la Pace, che è capo dell’opposizione al governo di Ariel Sharon, si è ben guardato dal partecipare alla commossa brigata; il fatto è che ritiene l’intera vicenda banalmente il suggello alla nascita di un nuovo partito di estrema sinistra, che sarà guidato da Yossi Beilin, che già si è costituito il 30 novembre, che ha il solo scopo di spaccare in due un Labor già
in grande difficoltà politica ed elettorale.
Non c’è Shimon Peres ma Richard Dreyfuss
Qualcuno avrà pur notato che niente di scritto è stato messo in mano ai partecipanti palestinesi che pure lo avevano chiesto a Yasser Arafat, come investimento ma pure come garanzia di sopravvivenza, visto che gli sparano in casa e li chiamano traditori, e che la cosiddetta delegazione ufficiale di quella parte, è partita a titolo meramente individuale; che il suo capo, Jibril
Rajoub, da Ramallah si è ormai spostato a Londra, dimessosi o rimosso dalla carica inutile di consigliere per la Sicurezza di Arafat, e che le "spese mediche" nella capitale inglese gliele paga il rais, ma a Ramallah ha gioco facile a indicarlo come un buffone, e una buffonata la storia di Ginevra. Mentre si celebra la quale, restano fermi i colloqui seri, il primo ministro Ahmed Qurei (Abu Ala) pone condizioni anche solo e semplicemente per accettare di incontrare Ariel Sharon, di disarmo e smantellamento del terrorismo, che pure un ex premier, Abu Mazen, solo sei mesi fa promise, non si parla più. Ieri l’esercito israeliano all’attacco di Hamas non ha certo inteso svileggiare la sacra cerimonia virtuale di Ginevra, solo fare il lavoro per fermare terroristi
di Hamas, che il governo di Qurei si guarda bene dal fare. Colin Powell e Kofi Annan hanno plaudito all’iniziativa, che, vale la pena di ricordarlo, scaturì dalla frustrazione del fallimento di Camp David tre anni fa, quando, lo confermano i testimoni ufficiali come l’americano Dennis Ross, fra i negoziatori palestinesi, come Yasser Rabbo, era autentica la volontà di accordarsi, e fu solo Arafat a impedirglielo imbrogliando le carte a ogni fase; Colin Powell si è spinto fino a inviare come suo rappresentante il console americano a Ginevra, e quando ha capito il nuovo trucco che gli stava giocando il vecchio diabolico rais, si è attaccato al telefono con l’egiziano Hosni Mubarak perché intervenisse e impedisse la figuraccia di una cerimonia bilaterale, con i palestinesi rimasti a casa. Ma Colin Powell e Kofi Annan non nascondono così il fallimento precoce e insalutato della tanto decantata "road map", che è una loro creatura, concepita insieme agli europei, eppure anche Javier Solana ieri si sentiva felice e sollevato dalla commedia di Ginevra, e insieme ai russi; così comportandosi, viene definitivamente sepolta. Jimmy Carter presiedeva, ed è una garanzia che le cose non vadano in porto, basterà ricordare la missione dell’ex presidente più inetto che l’America abbia avuto, in Corea del Nord, quando rassicurò che laggiù mire nucleariste non ne avevano.
Carter presiedeva con un attore molto liberal come Richard Dreyfuss, quello che
in "Primary Colors" era l’avversario repubblicano, e dunque lui non lo faceva solo cattivo, lo faceva fetido e infame, naturalmente; tutt’e due si sono contesi la frase mantra della serata, è che "la pace è una cosa troppo seria per lasciarla ai governi, la gente è per la pace, i leader politici sono l’unico ostacolo". Per fortuna nelle stesse ore l’inviato americano incontrava il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz, e si provavano a rimetterla in piedi la povera road map.
Fiamma Nirenstein, con La Stampa, propone un'interessante analisi sulle reazioni in Israele all'iniziativa di Beilin: "Beilin vuole svendere la sovranità di Israele".
Peccato che l'inviato della Stampa a Ginevra Paolo Passarini scriva "il governo di Tel Aviv". Passarini, per favore !
C'è poi l'occhiello al pezzo di Nirenstein "i nemici dell'accordo: Sharon, Al Fatah e gli islamici", tutti sullo stesso piano! Come sempre gli esteri della Stampa non si smentiscono. Foto e titolazioni alè, il più possibile pregiudizialmente a danno dell'immagine di Israele.
Ecco l'articolo di Fiamma Nirenstein:
E adesso che il mondo ha avuto qualche ora di ricreazione dal conflitto israelo-palestinese con la cerimonia della firma della pace di Yossi Beilin e di Yasser Adeb Rabbo a Ginevra restano la realtà del conflitto e le molte critiche, sia in campo israeliano che dalla parte palestinese. La realtà quotidiana comporta la fatica del lavoro diplomatico di costruire un incontro fra Sharon e Abu Ala, la spola dell’inviato americano Burns perché si riprenda a parlare, in quella sede, di Road map; comporta la mediazione egiziana al Cairo dove sta per svolgersi un difficile incontro fra tutte le organizzazioni palestinesi per stabilire i termini di un cessate il fuoco: l’accordo deve piacere a Hamas, Jihad, Brigate di Al Aqsa, ma soprattutto a Abu Ala, ovvero ad Arafat, il Raíss senza il quale nulla è possibile.
La realtà è fatta anche della sotterranea convinzione da parte del Dipartimento di Stato Americano, che si prepara a invitare Beilin e Abed Rabbo a Washington, che una forte opposizione a Sharon, un forte imbarazzo creatogli in campo internazionale, aiuti la pace della zona, anche se Bush non la pensa così.
La realtà tragica è anche l’operazione di Ramallah di ieri che ha demolito la casa di un terrorista che aveva totalizzato una ventina di organizzazione di attentati e che preparava il prossimo con armi letali che sono state trovate, ma anche la tragica uccisione di un bambino di nove anni nel corso dell’azione militare proprio nelle ore della cerimonia di Ginevra. In questo clima l’operazione Ginevra morde come il fuoco, suscita approvazione o furie terribili che fanno innalzare all’aereoporto all’ora della partenza dei delegati israeliani un cartello che dice «non tornate». Quanto alla parte palestinese, si è sparato sulla casa di Abed Rabbo, si è aggredito fisicamente i firmatari in partenza, e lo hanno fatto sia uomini di Hamas che del Fatah.
Le critiche in Israele sono di tre tipi: ideologiche, strategico-pratiche, morali. Ygal Karmon, che dirige il Memri, l’istituto che tutti i giorni legge e decifra la stampa e le tv arabe, dice: «Si ha la sensazione di un puro gesto patologico, un’assuefazione accecata ai riflettori che la pace punta su chiunque la nomini. Ti emozioni perchè un gruppo di palestinesi dice di riconoscere il diritto di Israele a esistere? ma allora ti sei dimenticato tutto quello che è accaduto con l’accordo di Oslo, dove fu promesso di rinunciare al terrorismo, di usare per questo le cinquantamila armi che Rabin consegnò, di rinunciare all’incitamento e quant’altro... Le concessioni territoriali, il ritorno a confini indifendibili, l’abbandono del Monte del Tempio, tutto questo potrebbe esser discutibile, certo, se avessimo mai avuto un segno di sincerità dopo che avevamo già lasciato tutte le città palestinesi a Arafat! Ma ne abbiamo avuto solo guerra! Eppure come un’innamorata abbandonata, Beilin ha bisogno di credere, di sentirsi al centro del coro di approvazione che la pace, anche solo menzionata porta con sè». Amnon Lord, un altro scrittore e commentatore israeliano, è più pratico: «Oltre a cedere, al di là degli insediamenti abbandonabili, tutte le zone di valore strategico, e anche tutti i luoghi della nostra storia più basilare, il documento prevede una terza forza internazionale che deve sorvegliare Israele. Il risultato, sarà che il terrorismo riceverà protezione mentre noi perderemo la nostra autonomia come stato: quando secondo il documento, il Monte del Tempio si troverà sotto la piena sovranità palestinese che "deve assicurare che non lo si usi per attività ostili" la mia casa a Gerusalemme sarà giusto sulla linea del fuoco, e la presenza internazionale non fermerà la determinazione araba alla conquista di tutta la terra; solo mi toglierà la sovranità».
L’altro tema controverso è la questione dei profughi, che, nonostante sia la più sbandierata, «non è di fatto espressa in maniera decisiva - dice il viceprimoministro Ehud Olmert - non si chiama il diritto al ritorno con il suo nome, e a domande dirette sull’argomento mai i firmatari palestinesi rispondono di avervi rinunciato. Ma soprattutto ciò che risulta stupefacente è che sia stato negoziato un accordo in una democrazia da un personaggio che non ha avuto deleghe da nessuno, un cittadino privato che ha potuto usufruire di aiuti economici e pubblicità da parte di un paese straniero per creare semplicemente un movimento politico antigovernativo cui viene dato il titolo di accordo. E’ una manovra di screditamento del nostro paese da parte della sinistra».
Anche Sharon è arrabbiato, e l’ha detto più volte. Solo Arafat, nella sua onnipotenza, si è potuto permettere di dissentire (il Fatah è ufficialmente contro) e di consentire, mandando Rajub, nello stesso tempo. E’ la tecnica usata anche negli anni 90, quando ripetendo lodi alla «pace dei bravi» Arafat trasformò Oslo in un disastro.
EUROPA dedica la sua prima pagina all'accordo di Ginevra appena firmato. Già il titolo ("Il giorno che fa infuriare i falchi. E fa tacere l'Italia") delinea la presa di posizione decisa del quotidiano, che mette sullo stesso piano Sharon e la Jihad.
Il giornale della Margherita presenta l'iniziativa di Ginevra come "l'accordo di pace tra esponenti della sinistra israeliana e dei moderati palestinesi, interpreti delle rispettive società civili": molto strano visto che secondo un sondaggio di Haaretz solo il 31% degli israeliani è favorevole, ma probabilmente (ed evidentemente) Europa dà più credibilità a Jimmy Carter: "sono il 53 per cento degli israeliani ed il 56 per cento dei palestinesi" ma non cita le sue fonti. Il perchè è comprensibile vista la presenza di Rutelli alla cerimonia.
Ecco il testo:Quaranta pagine per regolare il conflitto israeliano-palestinese. Ma non è un documento firmato da capi di governo. È un’iniziativa della società civile. Eppure sscita forti reazioni e calorose adesioni, più della stessa road map. Il presidente israeliano Ariel Sharon la considera un affronto. Nei Territori e nella Striscia di Gaza manifestazioni di protesta di hamas e jihad accusano di "tradimento" i firmatari palestinesi, con minacce di pubblica esecuzione. Ma il segretario di stato Colin Powell la considera con interesse, e coì Tony Blair, Jacques Chirac e Tony Blair. E naturalmente il centrosinistra italiano, rappresentanto a Ginevra da Francesco Rutelli e Massimo D’Alema.
L’iniziativa da Ginevra, l’accordo di pace tra esponenti della sinistra israeliana e dei moderatori palestinesi, interpreti delle rispettive società civili, è da ieri un documento; non ufficiale cioè non governativo, "virtuale" finché si vuole, ma col peso di un passo destinato a lasciare una profonda impronta e conseguenze pratiche importanti.
Yasser Arafat, che non è certo privo di fiuto politico, prima si è opposto, poi ha messo in atto le sue solite trame, e infine vi ha aderito, inviando a Ginevra un suo rappresentante.
L’accordo di Ginevra è soprattutto la dimostrazione della volontà di agire della società civile, quando i governi non riescono a trovare un accordo, la prova che sono molti gli israeliani e i palestinesi a volere la pace. «Sono il 53 per cento degli israeliani e il 56 per cento dei palestinesi», ha detto Jimmy Carter.
Punto chiave dell’accordo di Ginevra, e in questo si distingue dalla road map è l’articolo 2 del testo. «Nessuna rivendicazione futura potrà essere fatta dall’una o dall’altra parte».
La superficialità dei sostenitori italiani del piano di Ginevra, che lo strumentalizzano anche a fini politici, ha il suo culmine con le dichiarazioni di D'Alema che al tg dice "finalmente un piano di pace!"; Non si ricorda D'Alema, ad esempio, di Oslo e della storia del conflitto degli ultimi 15 anni? Non fu forse un premier laburista a vedersi chiudere la porta in faccia allorchè sembrava si fosse trovata una soluzione?
Riportiamo le sue dichiarazioni uscite su REPUBBLICA, nell'articolo di Pietro Veronese, dal titolo: "La rabbia di Rutelli e D'Alema: Italia tagliata fuori dal negoziato".Questa è la città delle mille bandiere. Già sede della Società delle Nazioni, l´antenato dell´Onu, e oggi di importanti agenzie delle Nazioni Unite, secolare luogo di mediazione e negoziato diplomatico, Ginevra è internazionale e pacifica per vocazione. Ma tra i tanti colori che sventolano intorno all´«iniziativa di pace» tra israeliani e palestinesi, vistosa è l´assenza di quelli italiani. Tony Blair ha mandato un messaggio, Chirac ha fatto lo stesso. Consensi sono venuti dal sudafricano Mandela e perfino dal polacco Walesa. Dall´Italia solo silenzio.
Questa la denuncia di Francesco Rutelli e Massimo D´Alema, presidenti della Margherita e dei Democratici di sinistra, venuti a portare il pieno sostegno del centrosinistra all´iniziativa ginevrina e a denunciare l´indifferenza, forse l´ostilità del governo di Roma. «Eppure il sentimento dominante in Europa non è questo», attacca Rutelli. «L´Europarlamento ha dichiarato a schiacciante maggioranza - 385 sì, 9 no e 37 astenuti - il proprio appoggio all´accordo di Ginevra. I popolari hanno votato sì. La delegazione di Strasburgo presente qui è guidata dal capogruppo liberaldemocratico Graham Watson. I conservatori dei paesi scandinavi seguono questa iniziativa con estrema attenzione. La Commissione di Bruxelles è impegnata a favore: Prodi ha mandato un suo rappresentante speciale, Javier Solana ha preso una posizione netta. Questo è il giudizio maggioritario in Europa: se c´è un´anomalia è l´Italia. Tanto più vistosa in quanto in questo semestre di presidenza avremmo dovuto rappresentare tutta l´Unione».
D´Alema rincara. «Apprezzo l´iniziativa del recente viaggio di Fini in Israele, ma l´Italia sta pagando per questo prezzi altissimi. Proprio nel giorno in cui l´amministrazione Bush ha deciso di limitare il credito aperto ad Israele, il nostro è stato, per bocca del vice presidente del Consiglio, l´unico governo al mondo ad appoggiare la costruzione del muro di separazione dai territori. Un tempo eravamo il paese dell´«equivicinanza» tra i due campi. Oggi siamo in prima linea a sostenere la destra israeliana più estrema. Il rifiuto di venire in Italia da parte del segretario della Lega araba è il segno che non siamo più un paese di dialogo. E questo è molto grave».
Rutelli: «Il governo continua a parlare di un «piano Marshall per il Medio Oriente», ma i piani Marshall sono per la ricostruzione, riguardano il dopoguerra. La verità è che oggi, a causa delle nostre scelte di politica internazionale, non siamo più adatti a svolgere alcun ruolo di mediazione». D´Alema segnala che tutti gli esponenti della maggioranza che vanno in visita in Israele, che abbiano responsabilità governative o istituzionali, non incontrano alcun esponente dell´Autorità palestinese, non soltanto il suo presidente Yasser Arafat, nei confronti del quale c´è un veto del governo di Israele. «L´unico che si sforza di vedere anche i palestinesi è il ministro degli Esteri Frattini». «Eppure», aggiunge ironico l´ex presidente del Consiglio, «quando io ero a capo del governo e Ariel Sharon era il capo dell´opposizione israeliana, lo ricevetti a Palazzo Chigi».
Il presidente dei Ds polemizza anche contro chi accusa di antisemitismo i critici del governo Sharon: «Non capisco. Se chi critica Berlusconi è anti-italiano, allora il mondo sarebbe pieno di nemici del nostro paese. Noi parliamo con tutti gli esponenti politici israeliani. A suo tempo incontrai il premier Netanyahu, feroce avversario politico della pace di Oslo. Rutelli ha visto Sharon nel corso della sua recente visita a Roma». Infine una replica gelida alle accuse di antisemitismo rivolte alla sinistra italiana da Fini: «Rutelli viene da una militanza politica che è stata sempre filo-israeliana. Quanto a noi, è vero che la sinistra è stata soprattutto filo-palestinese. Ma su queste questioni abbiamo avviato una riflessione già vent´anni fa. Abbiamo una storia un po´ più lunga di Fini».
In relazione al recente viaggio di Fini in Israele e alle sue dichiarazioni sulla barriera difensiva D'Alema commenta: "siamo in prima linea a sostenere la destra israeliana più estrema" dimostrando ancora la sua ignoranza sulla politica e la società israeliana, visto che la barriera difensiva trova un consenso trasversale all'interno dell'opinione pubblica.Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla redazione de La Stampa, del Foglio, della Repubblica e di Europa. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita. lettere@lastampa.it ; rubrica.lettere@repubblica.it; lettere@europaquotidiano.it; lettere@ilfoglio.it