Il benvenuto ufficiale a Fini in Israele
Al di là delle polemiche, delle interpretazioni, ecco il pensiero vero degli Italkim d'Israele
Testata:
Data: 30/11/2003
Pagina: 1
Autore: Sergio Della Pergola
Titolo: Messaggio di Sergio Della Pergola all'On.Fini
Fra i tanti commenti al viaggio dell'On.Gianfranco Fini in Israele, c'è un messaggio che vale la pena di leggere con attenzione. Per le parole nobilissime che esprime, per la sincerità che contiene, per l'onestà con la quale esprime posizioni largamente condivisibili. E anche per la stima che il Prof.Sergio Della Pergola, a nome degli israeliani di origine italiana, esprime al vice presidente del consiglio. Un messaggio sincero, che non nasconde nulla nè del passato nè del presente. Ma che dà a Fini quello che gli va riconosciuto: il coraggio.
Segue il testo integrale del testo del Prof.Sergio Della Pergola:

Messaggio rivolto dal Prof. Sergio Della Pergola
In rappresentanza delle organizzazioni degli ebrei italiani in Israele
Israel Goldstein Youth Zionist Village - Centro Luigi Einaudi, Gerusalemme
25 Novembre 2003


In occasione della visita dell'On. Gianfranco Fini in Israele

Signor Presidente Fini,
Signor Ambasciatore d'Italia Terzi di Sant'Agata,
Signor Cohen, Direttore del Centro Einaudi - Goldstein
Signore e Signori,

A nome della comunità degli Italiani in Israele vorrei esprimere il nostro benvenuto e apprezzamento all'On. Gianfranco Fini per la Sua visita al Centro Luigi Einaudi in occasione dell'inaugurazione della nuova sala dei computers. Il luogo in cui ci troviamo testimonia, a Gerusalemme, dei valori di un grande liberale italiano, uno dei principali artefici della Repubblica costituzionale e democratica sorta dalle macerie della seconda guerra mondiale. Fa parte del Centro Einaudi la sala Raffaele Cantoni, combattente nella lotta di Liberazione, deportato ma miracolosamente sfuggito dal vagone che lo portava ad Auschwitz, poi, nella sua carica di Presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, uno dei maggiori protagonisti della ricostruzione dell'ebraismo italiano nel dopoguerra.
La visita in Israele del Vice-Presidente del Consiglio, On. Fini, è indubbiamente un avvenimento di alto profilo storico che va analizzato e compreso nelle sue diverse dimensioni etiche, politiche e storiche. In quest'occasione vorremmo invitarLa, Signor Presidente, a condividere una nostra non facile ma, riteniamo, necessaria riflessione sul significato della Sua odierna visita di Stato, e sulle memorie e speranze che essa evoca. La comunità degli ebrei italiani in Israele non si è ritrovata unanime di fronte alla Sua visita, e sull'opportunità di questo incontro, ma ha deciso infine a favore dell'essenzialità del dialogo. Persone che ricoprono cariche direttive nell'ambito della nostra comunità hanno scelto di non essere presenti personalmente. Con queste mie brevi considerazioni, in rappresentanza delle organizzazioni ebraiche italiane in Israele, vorrei cercare di riassumere la complessità dei problemi in uno spirito non rinunciatario ma costruttivo, con lo sguardo al passato, al presente, ma anche al futuro. Su questi temi, nessun altro può rappresentare la particolare sensibilità della nostra comunità, non i nostri confratelli in Israele o in Italia, e nemmeno – in questa particolare congiuntura – le ragioni di stato dell'autorità di governo israeliana.
Il Vice-Presidente Fini rappresenta una delle massime cariche istituzionali dello Stato italiano, e in quanto tale, è ospite non solo legittimo ma benvenuto del governo di Israele. La posizione politica dell'Italia è oggi, all'interno dell'Unione Europea e nel mondo, una tra le più vicine allo Stato d'Israele. Ne sono dimostrazione le recenti frequenti visite di esponenti ai massimi vertici della Repubblica, dal Capo dello Stato Ciampi al Presidente del Senato Pera, dal Presidente del Consiglio Berlusconi al Presidente della Camera Casini. L'Italia ha compiuto sforzi evidenti e proficui nel mantenere una posizione politica equilibrata e moderatrice, in particolare durante quest'ultimo semestre di presidenza dei paesi dell’Unione Europea.
Esprimiamo qui nuovamente, attraverso la persona dell'On. Fini, la nostra commossa solidarietà ai carabinieri, ai soldati, e ai civili italiani uccisi in Irak nel compimento di una missione di pace. La mano che colpisce in Irak è la stessa che colpisce a Istanbul, a Riad, a Bali, e a New York l’11 settembre 2001. E' la stessa mano che colpisce i cittadini di Israele in una ininterrotta catena di atti di terrorismo, nella quale sono caduti anche membri della nostra comunità, e che causa il coinvolgimento della società di questo paese in una dura reazione della quale sono purtroppo a volte vittime anche persone innocenti.
La società occidentale ha a lungo cercato di ignorare e ancora non ama riconoscere l'evidente unità di intenti che accomuna queste manifestazioni di terrorismo e d'intolleranza. Noi vorremmo che la società civile in Europa si mobilitasse nel condannare la barbaria infame del fondamentalismo, e nel combattere con coraggio la battaglia per la difesa dei valori di democrazia e di civiltà che sono comunque patrimonio comune dell'Italia e di Israele. Nell’infelice sondaggio dell’Unione Europea sulla gestione della crisi irakena, gli Italiani sono la nazione che meno di tutte, in Europa, ha identificato in Israele un pericolo per la pace nel mondo. Altri recenti sondaggi ci mostrano, peraltro, che gli spettri e i pregiudizi dell’antisemitismo sono sempre presenti, anche in Italia, in forma esplicita e latente. Se è vero che è principalmente da una crassa e diffusa ignoranza che nasce gran parte del pregiudizio e dell’odio antiebraico, esiste tuttavia una pericolosa commistione nell'opinione pubblica fra i problemi che riguardano lo Stato d’Israele e la percezione delle comunità ebraiche in Italia e nel mondo. A creare questa deplorevole confusione ha contribuito un’informazione elettronica e stampata ossessivamente unilaterale, improntata spesso a una mistura di ignoranza e parzialità. L’intreccio di interessi politici ed economici, e le passioni viscerali che stanno a monte di questa campagna diffamatoria meriterebbero una lunga analisi. Falsi amici e finti compagni di strada si sono adoperati con cinismo in quest'opera quotidiana di disinformazione, di diseducazione, e di delegittimazione. I tristi risultati sono di fronte a noi e, da angolature politiche paradossalmente diverse, ci rammentano da vicino campagne diffamatorie antisemite svolte in altri tempi da giornali come il Tevere o il Popolo d’Italia o lo Sturmer.
Notiamo con soddisfazione che negli ultimi tempi si sono levate molte voci, e fra queste chiarissima quella dell'On. Fini, che hanno stigmatizzato questo stato di cose e hanno cercato di introdurre un maggiore equilibrio nelle comunicazioni di massa. E ricordiamo anche che l'Italia presiederà tra breve la Task Force europea sull'Educazione e la Commemorazione dell'Olocausto.
La visita del Presidente Fini è anche quella del leader di un grande movimento politico italiano. Se la grande maggioranza tra di noi riconosce nelle contingenze attuali l’importanza della visita dell'Uomo di Stato italiano al Paese nel quale viviamo e al quale siamo intimamente legati, non vi è fra di noi ebrei italiani in Israele unanimità di posizioni e di interpretazioni riguardo ai significati della visita del dirigente di partito. Il movimento politico di Alleanza Nazionale nasce dalla radice del Movimento Sociale Italiano, che a sua volta nasce dall’eredità del disciolto Partito Nazionale Fascista. Per coloro che vissero gli anni del fascismo, le discriminazioni subite furono ignominose; le ferite nell'intimo degli affetti familiari furono irreparabili per la generazione che le subì direttamente e per quella successiva.
Coloro, e sono molti fra di noi, che dovettero abbandonare l'Italia e trovare rifugio nella Palestina degli anni '30 e degli anni '40, dimostrarono con la grande forza della loro fede di non volersi arrendere di fronte alla perdita di tutto ciò che vi era di più caro nell'amata Patria italiana, e di sapere invece ricostruire un nuova vita e una nuova società modello nella Terra dei Padri. Per molti di noi, cresciuti nell'Italia del dopoguerra, il processo di formazione e di maturazione della nostra identità ebraica è stato indissolubilmente legato alla condanna del fascismo e alla militanza antifascista. Su che base, dunque, è possibile dialogare con il nostro odierno illustre Ospite?
E’ con grande sincerità che diamo atto all'On. Fini, dirigente del movimento politico di Alleanza Nazionale, di avere sviluppato nel corso degli ultimi anni un processo di crescita e di riflessione, personale e per il suo partito, che si è manifestato in gesti di grande coraggio e rilevanza politica. Volentieri riconosciamo quegli atti di limpida onestà che molto hanno contribuito a chiarire l’atmosfera del rapporto fra l'Italia e gli ebrei, e fra il passato e la sua memoria nel presente. La visita dell'On. Fini alle Fosse Ardeatine, il suo viaggio ad Auschwitz, la sua visita alla Risiera di S. Sabba, la sua condanna delle leggi razziali e della repressione dei diritti civili da parte delle massime gerarchie del regime fascista, e in seguito il suo sforzo di riforma ideologica all’interno del suo movimento politico sono sintomi importanti di una maturazione approfondita e coscienziosa tuttora in corso. Il suo impegno nell'ambito della Convenzione Europea, nella quale egli milita a favore del riconoscimento di un contributo fondatore di matrice giudaica e cristiana, comprova la grande attenzione prestata alle dimensioni etico-culturali della nuova Europa. Le sue dichiarazioni recenti sul problema delle migrazioni dimostrano una visione sociale democratica e lungimirante, oltre che – a nostro parere – una corretta lettura analitica della questione.
E’ particolarmente notevole e degna di rispetto la sua pubblica dichiarazione di presa di coscienza delle responsabilità dell’Italia nelle tragiche vicende della persecuzione antiebraica. E’ stato giusto, coraggioso e anticipatore il voler riconoscere una corresponsabilità del collettivo italiano, anziché demandare ad altri quei tragici torti. E in realtà, per la prima volta abbiamo udito un alto esponente politico italiano assumere questa coraggiosa posizione pubblica. In passato, è sempre stato facile incolpare "altri" delle pagine più buie della storia italiana – fossero essi forze di occupazione tedesche, o supposti usurpatori della legalità del potere. Non solo: negli ultimi decenni la Shoah è stata non di rado strumentalizzata nel perseguimento di altri obiettivi politici, o comunque è stata ridimensionata da letture che ne hanno travisato i tragici veri contenuti. L'esplicita assunzione di una responsabilità diretta nei confronti del passato, e il conseguente atto pubblico di scusa, costituiscono, invece, una garanzia nei confronti di un futuro nel quale mai più dovranno o potranno verificarsi le stesse tragiche cadute. L'uscita volontaria da Alleanza Nazionale delle sezioni più oltranziste del partito, e ancora recentemente l'espulsione dal partito di elementi estremisti potrebbero costituire un ulteriore elemento tranquillizzante.
Ma restano ancora delle ombre che chiedono di essere eliminate perché quella lunga marcia di avvicinamento possa dirsi completata. Si tratta, in primo luogo, di verificare i punti di riferimento e gli elementi di continuità e di discontinuità fra le ideologie politiche del passato e del presente. Nelle dichiarazioni programmatiche di Fiuggi, noi troviamo una lista di personalità della politica e della cultura che rappresenterebbero il Pantheon del nuovo movimento. In proposito, nel suo importante volume su La destra e gli ebrei, scrive Gianni Scipione Rossi che vi è
"una caratteristica, il pluralismo culturale, che il postfascismo conserva con orgoglio anche dopo la nascita di Alleanza Nazionale. «Nella cultura politica della Destra – si legge nelle tesi di Fiuggi – sintesi dei movimenti intellettuali ispirati al realismo, […] dunque, c'è posto per il decisionismo di Schmitt e le elaborazioni del sociologismo politico di Pareto, Mosca e Michels, per l'antistatalismo di don Sturzo e la critica alla partitocrazia, per il pragmatismo di Rensi e il relativismo di Tilgher, per le aperture umanistiche di Giovanni Gentile e le suggestioni "sociali" di Spirito, per Prezzolini e Papini, Marinetti e Soffici, Evola e d'Annunzio». E' un patrimonio culturale, quello di AN, «formato di molte cose», che «ci fa essere comunque figli di Dante e di Machiavelli, di Rosmini e di Gioberti, di Mazzini e di Corradini, di Croce, di Gentile ma anche di Gramsci», perché «nulla si separa, nulla si distrugge nella formazione di una memoria storica e culturale»."
Ora, chiaramente, i concetti di inseparabilità e di indistruttibilità delle fonti dell'identità politica, e anche alcuni dei nomi ora citati suscitano molte riserve e perplessità. Ma vi è un nome che rappresenta lo spartiacque fra ciò che può essere tollerabile se non legittimo, e ciò che comunque non può esserlo, fra ciò che può essere conservato, sia pure a titolo di reperto museale, nella memoria politica collettiva, e ciò che va rigettato senza possibilità di compromessi. Il nome è quello di Julius Evola. Evola non può essere considerato semplicemente un esponente del pluralismo auspicato dalla nuova grande destra costituzionale. Si tratta di uno dei grandi teorici dell'ineguaglianza e della gerarchia fra gli uomini, intesi come "razze dello spirito" ancor più che come "razze del sangue". Evola è uno degli esponenti più determinati, esaltati, insidiosi e vili dell’odio nei confronti dell’ebreo considerato abbietto e inquinante in quanto individuo, e in quanto membro di una comunità organizzata. E tale odio ossessivo finisce per manifestarsi coerentemente anche nell'additare Israele come il nemico delle nazioni. Sono queste le dottrine allucinate che hanno generato le conseguenze tragiche per la vita di decine di migliaia di persone di cui i nostri fratelli in Italia e noi qui, loro rappresentanti in Israele, siamo stati testimoni. E le successive professioni di inconsapevolezza delle conseguenze da parte dell'autore di tanto scempio non possono essere prese se non come una tardiva beffa.
Sul piano istituzionale, la Repubblica di Salò rappresentò la coalescenza fra dottrina e potere, sia pure avendo al timone l'occupante tedesco. La Repubblica Sociale Italiana fu di fatto una sinistra parodia del vecchio regime fascista. Vuole il caso che esattamente 60 anni fa, in questi giorni di Novembre, fossero emessi l'infame Decreto di Verona e l'Ordine di Polizia n. 5. Non ci può essere stata forza interna moderatrice che possa giustificare le scelte di campo fatte da quegli Italiani che in quelle circostanze si misero al servizio dei nazisti e ne avallarono e misero in atto il regime di terrore. Il problema della responsabilità collettiva, se vale per l'Italia tutta in generale, come ha detto coraggiosamente l'On. Fini, vale a maggior ragione per la Repubblica Sociale Italiana. Ma su quest'ultimo tema non crediamo di avere ancora sentito un pronunciamento di rigetto esplicito, inequivocabile e definitivo, e se ci è sfuggito qualcosa, non guasterà udirlo nuovamente.
Notiamo infine, per inciso, che nel quadro dello sforzo in atto volto a riscrivere la storia italiana sotto nuovi profili si rischia di cadere in grossolani equivoci. Chi ha voluto di recente rievocare con nostalgia la battaglia di El-Alamein sappia che, al di là del valoroso comportamento dei singoli soldati italiani, se quella battaglia fosse terminata con diverso esito, nessuno di noi sarebbe qui oggi ad accogliere i nostri distinti ospiti perché, sfondato il fronte britannico, nulla avrebbe salvato la Palestina ebraica dalla distruzione da parte tedesca, e con essa sarebbe svanita ogni speranza di salvezza per il popolo ebraico.
Di fronte a questi inquietanti intrerrogativi, siamo ben consapevoli che non spetta a noi dare suggerimenti a una importante compagine politica italiana, a buon diritto autonoma nel cercare la propria definitiva collocazione nell'arco democratico europeo. Crediamo sia invece più importante e utile cogliere l'occasione dell'odierna visita per rivolgerci a individuare insieme quelle vie di collaborazione concreta fra la Repubblica Italiana e lo Stato d'Israele che, con l'apporto costruttivo della comunità ebraica in Italia e di quella italiana in Israele, potranno conseguire obiettivi di utilità comune. Ed è su questo futuro che puntiamo le nostre speranze.
Si tratta innanzitutto di porre un blocco all'antisemitismo e all'antiisraelismo dilagante, operando un'azione educativa in profondità che impedisca l'isolamento della comunità ebraica e poi, inevitabilmente, la sua aggressione fisica. Gli eventi alla Sinagoga di Roma del 1982 sono una testimonianza drammatica di come questo sceneggiatura sia effettivamente possible.
• Nel contesto istituzionale europeo, l'Italia può giuocare un ruolo di guida nella lotta all'antisemitismo attraverso l'attività legislativa e attraverso gli organi tecnici preposti ai programmi scolastici.
• Nella scuola pubblica italiana, vanno verificati attentamente i libri di testo sui quali si formano le nuove generazioni di Italiani, e nei quali esistono tuttora e, crediamo, in misura crescente storture e manipolazioni della storia del popolo ebraico e dello Stato d'Israele. In questo senso, l'accordo culturale fra Italia e Israele prevedeva una commissione mista italo-israeliana che sarebbe opportuno mettere in moto.
• Fatta salva l'autonomia delle università in Italia, sarebbe anche utile effettuare un'indagine conoscitiva dei programmi di corso attinenti a Israele, il conflitto Medio-orientale, l'ebraismo, e delle bibliografie rilevanti, e incoraggiare un dibattito aperto su questi temi.
• Nel quadro delle garanzie di vigilanza sulle telecomunicazioni, va prestata attenzione ai contenuti del reportage che tanto danno ha causato all'immagine di Israele e, per traslato, a quella dell'intera compagine ebraica.
Un secondo campo di azione concerne la composizione definitiva delle pendenze morali relative alla persecuzione nazi-fascista.
• I Governi italiani dal dopoguerra non hanno saputo assumersi la piena responsabilità di fronte ai cittadini ebrei circa le conseguenze della persecuzione, anche perché nel quadro del trattato di pace l'Italia ha esonerato la Germania da tali responsabilità. Ciò comporta ancora la necessità di iniziative pratiche nei riguardi di singoli.
• Non è stata data fino a oggi in Italia piena e concreta applicazione alle molte leggi legiferate nel dopoguerra concernenti il reinserimento degli ebrei nella vita sociale e civile. In particolare, molti di coloro che persero il lavoro e che non erano funzionari pubblici, o che furono spogliati di beni di proprietà, non hanno ricevuto indennizzi e neppure parole di riconoscimento.
• Fra gli esempi di leggi esistenti, è ancora necessario promuovere lo snellimento delle procedure nelle commissioni presso il Ministero delle Finanze per il riconoscimento degli assegni di benemerenza a favore dei perseguitati razziali, tema sul quale è gia stato registrato un importante progresso grazie all'attivo intervento dell'Ambasciatore d'Italia Giulio Terzi.
• Occorre trarre le conclusioni e tradurre in fatti concreti l'ampio lavoro compiuto dalla Commissione d'inchiesta presieduta dall'On. Anselmi "per la ricostruzione delle vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni dei cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati".
Infine, un terzo livello di azione concerne le prospettive di avvicinamento e di collaborazione fra l'Unione Europea e lo Stato d'Israele. Al di là dell'ipotesi forse solo teorica dell'adesione di Israele all'Unione Europea come paese membro a titolo pieno, un esempio potrebbe essere un'associazione di Israele al Parlamento Europeo, oltre allo sviluppo delle iniziative in corso riguardanti l'allargamento dei rapporti fra l'Unione Europea con i paesi rivieraschi del Mediterraneo.
Nel concludere questo saluto all'On. Fini, vorremmo ribadire che certamente dall'11 settembre 2001 è in corso un conflitto globale sulla difesa dei principi della società civile, pluralistica e democratica in cui l'occidente è coinvolto altrettanto se non più di quanto non sia lo stesso Stato d'Israele. In questa battaglia di principi noi ci troviamo schierati sullo stesso fronte. Se al di là della collaborazione per raggiungere gli obiettivi comuni, al di là del sincero apprezzamento per l'appoggio che Lei, Signor Presidente, ci offre in un contesto politico generalmente ostile, al di là dei sentimenti di buon vicinato, vi potrà essere in futuro anche amicizia, questo dipenderà dagli ulteriori sviluppi di pensiero e di azione politica nei quali l'On. Fini giocherà certamente un ruolo determinante.
E' con questo auspicio che Le rivolgiamo un caloroso augurio di successo nella Sua missione in Israele.