L'editoriale di Angelo Panebianco, che riproduciamo integralmente, presenta due motivi di interesse. Il primo è l'analisi sul presente-futuro di AN e la destra democratica in Italia. Dopo che la vedova Almirante, per criticare le posizioni di Fini ha dichiarato "... in Israele sembrava uno di loro", crediamo che nessuno più possa avere dubbi sul passato di AN e quali sentimenti tutta una parte di AN abbia provato (provi ?) nei confronti dell'antisemitismo. Fini si attenda giorni durissimi all'interno del suo partito. Il nervo che coraggiosamente ha portato allo scoperto è purtroppo ancora molto sensibile su questo tema. Non crediamo che il comportamento di Fini a Gerusalemme sia stato dettato dal caso.
Le parole e gli atti coraggiosi che l'hanno contraddistinto li usi ora per far capire nel modo più chiaro possibile ad AN che certe posizioni non hanno più alcuna legittimità. Un embrione di Rifondazione fascista c'è già. Anche se si ingrossasse un po' non ci sarebbe da preoccuparsi. A sinistra è andata esattamente così. Ma noi crediamo che in politica il coraggio paghi, e non ci stupiremmo se l'AN di Fini, sempre che gli impegni e la parola data vengano mantenuti, aumentasse i suoi consensi elettorali. Non siamo invece d'accordo con Panebianco quando scrive".. è parso bizzarro che Fini, per compiacere i propri interlocutori in Israele, sia arrivato al punto di assumere sulla vicenda di El Alamein una posizione che finiva (certo involontariamente) per contraddire anche la limpida presa di posizione del presidente Ciampi di pochi mesi or sono"
Noi riteniamo che è stata la posizione di Ciampi ad essere per lo meno ambigua, non quella di Fini. Il presidente della Repubblica ha giustamente elogiato il comportamento dei soldati italiani ad El Alamein. Sebbene sconfitti, si sono meritati, a differenza dell'alleato tedesco, gli elogi dei "nemici" inglesi. Ma detto questo, con altrettanta chiarezza si sarebbe dovuto dire che la sconfitta italo-tedesca ad El Alamein è stata una benedizione per le sorti della seconda guerra mondiale. Per Hitler, El Alamein è stato il segnale che le sue truppe non erano invincibili. Secondo motivo di sconfitta per Hitler, il progetto di sterminare tutti gli ebrei di Palestina, come programmato e dato per scontato dal patto con il suo alleato,il gran Muftì di Gerusalemme, veniva cancellato dalla vittoria di Montgomery. Che questo fatto lo si sia ricordato in Israele, mentre Ciampi non ne abbia fatto alcun cenno, depone semmai bene per Fini e non per Ciampi.
Ci dispiace che Panebianco, sempre così attento ai risvolti anche meno conosciuti della storia, non abbia valutato l'aspetto positivo che quella sconfitta ha portato con sè.
Ecco l'articolo di Angelo PanebiancoLa strada che porta a mutare davvero pelle i partiti politici la cui origine affondi nelle ideologie totalitarie del Ventesimo secolo è lunga, dolorosa e disseminata di conflitti. Come è stata lunga e dolorosa, e pagata anche con una scissione, la marcia di allontanamento del partito dei Ds dal comunismo. Perciò lo strappo di Fini in Israele non «conclude» un processo ma lo apre. E' vero quanto Fini dice, ossia che le sue dichiarazioni di oggi sono in linea con quanto iniziato nel 1995 al congresso di Fiuggi. Ma è vero anche che Fiuggi, come molte dichiarazioni successive, venne verosimilmente vissuto da tanti militanti più come imposto dallo stato di necessità (lo scotto da pagare per rendere competitivo il partito) che come obbligo, politico e morale, di una resa dei conti con il passato. Come indicavano le manifestazioni di fedeltà ai vecchi simboli in cui certi settori della base del partito indulgevano. E come dimostrano oggi il caso della Mussolini o i proclami di battaglia di Storace. In realtà, Fini, uomo intelligente, si deve essere reso conto che senza passare sotto le forche caudine di uno scontro interno, pur con tutti i rischi che ciò comporta, non c'era verso per lui di sottrarsi alla condanna che colpisce i leader delle formazioni post-totalitarie, quello di restare perennemente, sulla scena nazionale e internazionale, leader di secondo piano. Se a sinistra il vizio d'origine dei Ds, la loro provenienza dal comunismo, spiega perché, fino ad oggi, non abbiano mai potuto presentare un proprio uomo come candidato premier alle elezioni, a destra qualcosa di simile valeva anche per Fini. Senza un'accelerazione della trasformazione del partito, Fini sarebbe stato perennemente condannato a un ruolo di spalla, di gregario, nei confronti di quel Berlusconi a cui pure deve l'inizio della sua avventura quale «leader democratico». E il suo partito con lui.
L'operazione, però, per dare i frutti politici che nel medio termine Fini legittimamente si aspetta (nel breve termine è più facile che ci siano prezzi elettorali da pagare), richiede attenzione a due aspetti.
Richiede, in primo luogo, di evitare quelle forzature che possano farla apparire, agli occhi di elettori e militanti, come eccessivamente strumentale e opportunistica. Per esempio, è parso bizzarro che Fini, per compiacere i propri interlocutori in Israele, sia arrivato al punto di assumere sulla vicenda di El Alamein una posizione che finiva (certo involontariamente) per contraddire anche la limpida presa di posizione del presidente Ciampi di pochi mesi or sono. Il secondo aspetto, collegato al primo, è che per un partito la cui memoria storica sia legata a un passato totalitario il rischio non è tanto quello che l'operazione «tagliare i ponti col passato» non riesca: se i leader si impegnano, col tempo l'operazione non può che riuscire. Il vero rischio è il nichilismo: un partito che ha avuto un’identità ideologica forte può ritrovarsi alla fine senza identità, senza credere più in nulla.
Non sembra molto plausibile l'idea che quella identità possa essere sostituita da una specie di gollismo all'italiana. Che ci si fa con il «gollismo», ancorché italico, ad esempio, quando l'intento, come nel caso di Fini, non è quello di contrastare l'integrazione europea ma di favorirla? Molto meglio sarebbe imprimere una più decisa svolta in senso liberal-conservatore (per esempio, farla finita con lo statalismo economico e sociale, che è la vera, e più importante, eredità missina tuttora presente in An) e puntare alla fusione fra Forza Italia e An. Con lo scopo di far nascere un grande partito conservatore che, in capo a qualche anno, possa porsi anche il problema della successione a Berlusconi.
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