Ottima la copertina sul terrorismo
Complimenti a Stefano Folli
Testata: Corriere della Sera
Data: 16/11/2003
Pagina: 1
Autore: Folli - Olimpio - Allam - Rosaspina
Titolo: cinque articoli
Stefano Folli, in prima pagina, firma l'editoriale dal titolo: "Tanti attacchi, un solo disegno".
Nella sinagoga di Milano, ieri, l’incontro di preghiera previsto per i caduti italiani in Iraq si è esteso: la preghiera e il dolore, mescolati insieme, hanno abbracciato anche le vittime del doppio attentato anti- ebraico di Istanbul. I giorni di lutto si susseguono, lo sgomento cresce. Le bombe sul Bosforo sembrano un messaggio all’Europa: colpiscono la Turchia nel momento in cui si protende verso l’Unione. La Turchia che è pure — non dimentichiamolo — l’unico Paese musulmano amico di Israele.
Anche a Nassiriya c’è chiarezza nella barbarie: colpire l’Italia equivale a ferire l’Europa. A segnalare che è l’Europa, non più solo l’America, sotto assedio. Si può discutere sulle inevitabili ambiguità della nostra presenza militare laggiù, si deve riflettere sul confine sottile tra « occupazione » e « missione di pace » , ma nessuno può negare che carabinieri e soldati siano in Iraq per aiutare quel popolo a risorgere dalla sua desolazione. Forse diciannove di loro sono stati uccisi proprio perché animati da vero spirito di tolleranza, interpreti di una speranza di convivenza tra mondi, etnie e religioni diverse: ipotesi la cui premessa è la sconfitta del terrorismo. Allo stesso modo si tenta di destabilizzare la Turchia che vuol farsi liberale, che abolisce la pena di morte e rifiuta l’integralismo.
Ormai nella logica e anche nella dinamica ( il camion imbottito d’esplosivo, l’autista suicida, il fanatismo) gli attentati si assomigliano tutti: nel deserto iracheno, alle porte d’Europa o nelle strade di Gerusalemme. In tutti questi luoghi la pace non è un dato acquisito, ma un obiettivo altissimo al quale si deve pagare, purtroppo, un prezzo non indifferente. La Chiesa italiana ha colto questo nesso. L’attentato alle sinagoghe di Istanbul riguarda tutti, ebrei e cattolici. E il Papa, abbracciando la vedova del brigadiere Coletta, ha abbracciato idealmente tutte le vittime del terrorismo.
Dai giorni di lutto, carichi di emozione, può nascere un nuovo senso di identità nazionale? E’ una domanda che corre. Alle finestre si vedono tanti Tricolori, magari accanto alle bandiere della pace. E l’Italia si è riconosciuta nella dignità con cui il presidente Ciampi, negli Stati Uniti, ha interpretato il lutto ma anche l’orgoglio della nazione. Finora nelle diverse case politiche prevale la misura, nonostante alcuni distinguo, ed è una novità da non sottovalutare. Lo stesso Berlusconi stavolta ha trovato il giusto tono di equilibrio. Lasciamo stare l’espressione « amor di patria » , che può dispiacere a qualcuno. Ma segnaliamo con rispetto la determinazione di quei carabinieri che dall’Iraq mandano a dire: « Non è il momento di tornare a casa, restiamo e onoriamo i nostri morti » .
Ecco il vero volto dell'Iran: Guido Olimpio lo spiega bene a pagina 5 con questo titolo: "Allarme a Londra, 007 iraniani spiavano i centri ebraici".

Si presentavano come « studenti universitari » iraniani, ma invece di passare il tempo sui libri giravano per Londra a fare fotografie e riprese. E poiché non avevano il profilo dei turisti hanno finito per destare qualche sospetto. Così il controspionaggio britannico ha cominciato un controllo a distanza scoprendo che gli studenti erano in realtà degli agenti segreti in missione. Il loro compito era quello di fare una ricognizione di sinagoghe e centri ebraici in previsione di una campagna d’attentati.
Oltre venti persone sono state fermate e interrogate dagli 007, due sono state espulse. Le autorità hanno anche rivelato di essere in possesso di intercettazioni di telefonate tra l’Iran, dove sono al sicuro alcuni leader di Al Qaeda, e i loro uomini in Europa. In particolare, i servizi d’ascolto, hanno captato più volte lo stesso inquietante messaggio: « Abbiate fede, non vi preoccupate, ci sarà un grande colpo » .
L’attività degli iraniani ha seguito quello di una cellula algerina, che voleva uccidere esponenti della comunità ebraica inglese usando veleni e altre sostanze tossiche. Anche questo gruppo era legato ad Abu Mussab Al Zarkawi, considerato uno dei capi operativi per Europa e Medio Oriente.
Le rivelazioni sugli iraniani si sono incrociate con l’imminente visita di George W. Bush a Londra. Le autorità hanno reagito adottando misure di sicurezza senza precedenti in quanto, secondo numerosi fonti, la possibilità di un attentato è ritenuta alta. Per proteggere l’ospite americano, il governo ha disposto l’impiego di cinquemila agenti che si uniranno ai 700 uomini in arrivo dagli Stati Uniti.
Scotland Yard teme, tra l’altro, l’azione di un kamikaze solitario, più difficile da individuare e scoprire.
Uno speciale team studia, da settimane, varie ipotesi operative ed ha scambiato informazioni con le polizie dei paesi alleati. Londra — ribattezzata « Londostan » — è infatti il punto di riferimento operativo e propagandistico per numerosi gruppi mediorientali sparsi in Europa.
Riportiamo anche il secondo articolo di Guido Olimpio, sempre a pagina 5, dal titolo: "Dietro ai «Cavalieri» dell’orrore, Al Qaeda muove i fili della rete"
Il Fronte islamico dei cavalieri del Grande Oriente. Un piccolo gruppo sunnita, strutturato in cellule indipendenti denominate « Agisci secondo il tuo giudizio » , in grado di operare senza alcuna gerarchia ed avendo in mente un solo ordine: l’idea del « Grande Oriente » . Una formazione turca senza leader, ideale per essere usata e infiltrata. Una buona sigla per firmare la strage di Istanbul.
LA COPERTURA — Gli investigatori sospettano che il Fronte sia stato usato come copertura dalla nebulosa internazionale del terrore. Quella che si forma e si disfa a seconda delle opportunità operative. Simpatizzanti locali organizzati e pilotati da mujaheddin più esperti, usciti dai campi d’addestramento gestiti dai seguaci di Osama.
Questa è la tattica della Al Qaeda post- 11 settembre. Anzi potremmo dire che la rete di Bin Laden, intesa come organizzazione, non esiste più, ma è stata sostituita da un arcipelago di fazioni. A legarle ciò che resta di Al Qaeda. Un adattamento strategico che non ha compromesso la potenza di fuoco. Lo dicono le stragi di Djerba, Bali e Giakarta ( Jemaa indonesiano), Mombasa ( Al Ittihad somalo), Casablanca ( La Giusta Via, salafiti).
I CAVALIERI — La rivendicazione dell’attentato è accolta con scetticismo dalle autorità. Perché ritengono che il Fronte non abbia la capacità di azioni così spettacolari. Fondato nell’ 85, ha nella sua agenda la costituzione attraverso la lotta armata di una Federazione islamica. Il suo leader, Salih Izzet Erdis, detto « il Comandante » , è in carcere dal 1998 insieme a decine di complici. L’attività militare è affidata a cellule di 3- 5 persone che dovrebbero muoversi in base alle condizioni. Grande impegno è dedicato alla propaganda con la pubblicazione di riviste e libri.
IL GIORDANO — L’inchiesta sulle bombe in Turchia potrebbe portare l’antiterrorismo sulle piste dell’apparato di Abu Mussab Al Zarkawi. Giordano, dopo aver frequentato i campi in Afghanistan, ha creato un proprio gruppo attivo tra Europa e Medio Oriente, portandolo poi nell’alveo ideologico di Al Qaeda. Un meticoloso lavoro di intelligence ha scoperto un intenso movimento di estremisti, vicini ad Al Zarkawi, attraverso la Turchia. Si trattava dei cosiddetti volontari spediti ad addestrarsi con i curdi pro- Osama di Al Ansar.
Una decina di loro - partiti dall’Italia - sono stati fermati dalla polizia turca nel periodo maggio- luglio. Sono poi emerse tracce di trasferimenti di denaro dall’Europa in favore dei combattenti in attesa in Turchia. Ankara per qualche mese ha tollerato, poi dopo i primi attentati in Iraq, ha stretto le maglie.
Risposta degli estremisti: un attacco contro l’ambasciata turca a Bagdad.
L’arena di Istanbul fornisce poi vantaggi ambientali preziosi per i criminali.
Molte fazioni oltranziste - dai ceceni agli egiziani - dispongono di « antenne » sul Bosforo. Una presenza che si trasforma in supporto. Le vie dei traffici ( clandestini, armi, droga, navi ombra) permettono di spostare tutto ciò che serve per un attentato. La miriade di formazioni locali ( Hezbollah, Cavalieri, curdi) offre una sponda logistica.
LA RETE — Una traccia che potrebbe diventare, nelle prossime ore, qualcosa di più. Gli uomini di Al Zarkawi hanno costruito una piccola ma efficiente rete logistica con alcuni capisaldi: Amman, Damasco, Beirut, Istanbul. Hanno colpito in Giordania assassinando a sangue freddo un diplomatico americano, hanno in mente di « fare qualcosa » in Europa. Non manca la capacità tecnica. Nei campi di Al Ansar nel Kurdistan hanno imparato a preparare ordigni, in quelli dei separatisti ceceni l’uso di camion- bomba. Il secondo elemento che porta l’attenzione su questo « ambiente » , come lo definiscono gli esperti, è la scelta dell’obiettivo. I luoghi di culto ebraici. A Djerba, nell’aprile 2002, hanno devastato un’antica sinagoga. Un colpo messo a segno usando un terrorista suicida tunisino che viveva in Francia e che aveva tra i suoi complici un convertito europeo. Una micro cellula attivata - dicono le intercettazioni - dal manager di Al Qaeda, Khaled Sheikh Mohammed. I simboli dell’ebraismo sono di nuovo nel mirino, a maggio, a Casablanca. Riecco lo schema con i soliti « ingredienti » . Un nucleo di giovani provenienti da quartiere di diseredati, cinture da kamikaze preparate con materiale di fortuna, un attacco indiscriminato davanti al ristorante di un ebreo marocchino e persino nel cimitero israelita. Due interrogativi: chi ha finanziato l’attentato? C’è un mandante segreto? Gli 007 parlano di 50 mila dollari arrivati dall’estero e della possibilità che un complice di Al Zarkawi abbia svolto il ruolo di coordinatore.
LA REGIONE — Alle analogie operative si legano quelle di teatro. Un elemento più interessante per le intelligence che per le polizie. Nella loro spietata manovra eversiva, i terroristi insistono nel seminare morte nei Paesi ritenuti vicini all’Occidente o comunque capaci di fare da ponte. Guardiamo la mappa segnata dalle bombe: Tunisia, Marocco, Arabia Saudita, Giordania, Turchia.
Una strategia articolata su due fronti paralleli. Il primo è all’interno dei confini degli Stati stessi affidato a estremisti di vario colore. Il secondo è l’Iraq dove i radicali si associano alla resistenza anti- coalizione. Il tentativo è di « dirottare » o comunque mettere il marchio sulla nuova bandiera dell’Islam.
Per chi pretende — come Osama — di essere l’ispiratore della Jihad mondiale il delegare le missioni a fazioni affini ha un indubbio vantaggio propagandistico. I lampi delle esplosioni in regioni diverse danno l’idea di una offensiva a ondate, di qualcosa di pianificato a lungo termine, di una serie di massacri con un’unica regia. Anche se non è sempre così. In maggio tra gli attentati di Riad e Casablanca ve ne è stato uno grave in Cecenia. Pochi giorni fa hanno ucciso in Arabia, poi a Nassiriya. In mezzo ci sono stati un tentativo riuscito ed uno fallito da parte dei separatisti ceceni.
I NEMICI — Infine l’ideologia. Le dozzine di comunicati attribuiti ai vari portavoce di Al Qaeda ruotano, in modo ossessivo, attorno al principio di Jihad contro « crociati ed ebrei » . Un’eredità del manifesto redatto da Osama Bin Laden in persona, una vera dichiarazione di guerra. Per molto tempo i critici interni ad Al Qaeda — e non era raro imbattersi in qualche documento — avevano rimarcato l’assenza di attacchi contro obiettivi israeliani o ebraici. Cosa ha mai fatto Osama contro i « sionisti » ? La replica è arrivata.
Magdi Allam, a pagina 6, parla degli ebrei in Turchia. Questo il titolo: "L’Islam e gli ebrei in Turchia. Attacco al modello ottomano"
Istanbul come Djerba e Casablanca. I terroristi islamici hanno voluto colpire un modello di convivenza tra musulmani ed ebrei. Che proprio in Turchia, all'epoca dell'impero ottomano, raggiunse picchi salienti di tolleranza ed efficienza. Testimoniato dalla presenza di circa 400 mila ebrei, molti dei quali fuggiti dall'inquisizione cattolica in Spagna dopo la « reconquista » nel 1492. E, più recentemente, dalla persecuzione dei nazisti in Germania. Le autobomba contro le sinagoghe di Istanbul confermano ancora una volta come l'antiebraismo sia il più solido collante ideologico in grado di cementare l'unità degli estremisti islamici. Non è un caso che nel 1998 Osama Bin Laden diede vita al « Fronte internazionale islamico per la Guerra santa contro gli ebrei e i crociati » .
Una sigla che è un programma d i odio e di violenza razziale e confessionale.
La storia della convivenza tra ebrei e musulmani in Turchia può essere rappresentata da una vicenda reale dei giorni nostri. Il Corriere
aveva raccontato, lo scorso 3 settembre, la testimonianza di frate Antuan, un giovane turco musulmano convertito al cattolicesimo e che si appresta a diventare sacerdote nell'ordine dei Cappuccini proprio qui in Italia. Ebbene ieri, dopo aver ascoltato le tragiche notizie degli attentati di Istanbul, ha voluto ricordarci un fatto emblematico. « Quando ero ancora musulmano, ho potuto studiare all'università grazie a una borsa di studio concessami da Uzeyir Garih, un ricco imprenditore ebreo » dice frate Antuan. Garih era il presidente dell'Alarko Holding, un colosso con interessi nei campi delle costruzioni, dell'energia e della produzione tessile. « E' un uomo che ha dedicato la sua vita per il bene dei turchi.
Ha fatto molto per promuovere il successo dei giovani, indipendentemente dalla loro religione — prosegue frate Antuan — mi diceva: noi ebrei siamo in Turchia da 500 anni. Ci sentiamo più turchi degli altri turchi. Io non ho dubbi che questo sia il sentimento condiviso dall'insieme della comunità ebraica » .
Ebbene, il 25 agosto 2001, Garih è stato assassinato da un estremista islamico mentre usciva da un cimitero musulmano dove si era raccolto in preghiera davanti alla tomba dello sceicco Küçük ( Piccolo) Hüseyin Efendi, un « santo « venerato dalla comunità mistica sufi dei Nasqbandi e a cui lo stesso Garih era devoto. Frate Antuan ammette che « Garih non mi ha aiutato soltanto a studiare ma anche a fare la scelta di vita che mi ha portato a cambiare la mia religione.
Mi diceva: ' Fai quello che pensi sia giusto e ciò ti renderà felice. In un modo o nell'altro servirai lo stesso il nostro Paese » . Fa proprio riflettere la singolare storia di questo ricco ebreo che aiuta i connazionali musulmani, prega sulla tomba di un « santo » musulmano prima di essere ucciso da un fanatico islamico.
Al pari di Garih molti ebrei hanno legato indissolubilmente la loro vita alla storia della crescita e del progresso della Turchia. Intanto prendiamo atto della loro importante consistenza numerica. Si calcola che tra il 1520 e il 1530 a Istanbul ci fossero 1.647 famiglie ebraiche a fronte di 9.517 famiglie musulmane. A Salonicco, all'epoca parte dell'impero ottomano, le famiglie ebraiche erano più del doppio di quelle musulmane, 2.645 a fronte di 1.229. Salonicco era la città con il maggior numero di ebrei in Europa.
Nel XVI secolo tutta la pubblicazione ebraica veniva stampata tra Istanbul e Salonicco. Di fatto la Turchia sorpassava la Polonia come centro culturale dell'ebraismo mondiale.
Nel XIX secolo anche gli ebrei, al pari dei greci e degli armeni, furono sottoposti al sistema del millet, le comunità protette che, in cambio di una tassa, avevano diritto a organizzarsi in modo autonomo sul piano delle leggi in materia di questioni religiose e di statuto personale. Gli ebrei divennero una millet sotto l'autorità del Hahambashi, il rabbino capo, stabilito e riconosciuto con decreto imperiale ottomano. Di fatto le comunità straniere e le minoranze confessionali sono state le protagoniste del cambiamento sociale e della modernizzazione della Turchia. In un elenco del 1912, compaiono i nomi di 40 banchieri attivi a Istanbul. Tra loro 12 erano greci, 12 armeni, 8 ebrei e 5 europei. Un analogo elenco di agenti di cambio comprende 18 greci, 6 ebrei, 5 armeni e neppure un turco. Il contributo culturale degli ebrei fu rilevante nella medicina, nel teatro e nella stampa. Furono probabilmente gli stampatori ebrei, che di fatto monopolizzavano il mercato a causa del divieto religioso a utilizzare i caratteri turchi e arabi, a stampare le prime copie del Corano in turco quando nel 1727 un firmano imperiale revocò tale divieto.
Oggi gli ebrei in Turchia non superano le 30 mila unità. L'esodo di massa si è avuto in concomitanza con le discriminazioni esplose alla nascita degli Stati nazionali dopo la disgregazione dell'impero ottomano e la successiva creazione dello Stato d'Israele. Tuttavia la Turchia, insieme al Marocco e alla Tunisia, hanno continuato a caratterizzarsi come isole di pacifica convivenza tra la maggioranza musulmana e la minoranza ebraica. Non è un caso che uno degli obiettivi prioritari della folle e sanguinaria strategia del terrore di Bin Laden sia di sabotare questa convivenza. Ciò è quanto si proponeva con gli attentati contro la sinagoga di El Ghriba sull' isola tunisina di Djerba ( 11 aprile 2002, 19 morti) e contro sedi e simboli ebraici a Casablanca ( 16 maggio 2003, 43 morti tra cui 13 kamikaze islamici). In entrambi gli attentati è stato accertato un legame tra i kamikaze islamici, estremisti occidentali convertiti all'islam e dirigenti di Al Qaeda che hanno offerto addestramento militare e indottrinamento ideologico. Anche i sanguinosi attentati alle sinagoghe di Istanbul confermano la realtà tentacolare di Al Qaeda, una struttura in cui le singole cellule distribuite nei più disparati Paesi godono di una sostanziale autonomia sul piano organizzativo e operativo, mantenendo un legame con il vertice sul piano ideologico e decisionale.
Ma soprattutto confermano la natura aggressiva, non reattiva, di questo terrorismo islamico. A tutt'oggi si sentono voci che vorrebbero far credere che gli ebrei vittime degli attentati di Istanbul, Djerba, Casablanca, o anche gli italiani uccisi a Nassiriya, sarebbero la conseguenza della presenza militare americana in Iraq o dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi.
Dovrebbe essere invece chiaro che questo terrorismo ideologicizzato, pregiudizialmente ostile agli ebrei e all'Occidente, persegue una strategia indipendente di violenza e di morte finalizzata ad annientare i « nemici » . E tra i « nemici » figurano anche tanti musulmani.
Riportiamo l'articolo di Elisabetta Rosaspina, pubblicata a pagina 7 dal titolo: "Israele accusa il «terrorismo verbale»"

Come se fosse successo qui. La stessa sofferenza, la stessa paura, e il sordo risentimento per chi ha voltato le spalle a Israele. Il doppio attentato alle sinagoghe di Istanbul è l’incubo quotidiano di un Paese che non smette di temere il peggio. E’ il tormento di un governo che non sopporta più di essere criticato: « Il mondo occidentale deve tenere presente che l’atteggiamento negativo verso Israele conduce a pericolosi sviluppi, non solo qui, ma anche nel resto del mondo » , ammonisce il portavoce, Avi Pazner. La « casa degli ebrei » trema sotto l'onda d'urto della doppia terribile esplosione, di cui conosce troppo bene gli effetti, l'odore, l'orrore. Come se fosse successo qui, a Gerusalemme, o a Netanya o a Tel Aviv.
Israele sa che cosa bisogna fare in questi casi: esperti di terrorismo, di pronto soccorso, di conforto psicologico, di esplosivi, hanno infilato il passaporto nella borsa degli attrezzi e sono saliti sull'aereo per Istanbul, anche se Ankara aveva inizialmente declinato l'offerta di aiuto. Offrono sangue gli uomini di Magen David Adom, la Croce Rossa Israeliana, partono infermieri, psicologi, assistenti sociali, giovani ebrei turchi immigrati in Israele e che ora si offrono come interpreti per i quattro poliziotti israeliani, due della scientifica e due della divisione criminale, e per i sette volontari di Zaka, pietosi compositori di corpi smembrati, a quest'ora già atterrati in Turchia: « Mi hanno telefonato centinaia di persone, oggi. Anche gente che non sentivo da anni — dice Yaacov, giovane funzionario di banca originario di Istanbul — .
E' successo a Shishli, il mio tempio, quello in cui ho studiato la Torah, quello che frequentano tuttora i miei vecchi amici. E' morta la guardia di sicurezza, che era uno dei migliori amici di David, mio fratello. Conosco molti dei feriti e tutti gli altri almeno di vista. Posso immaginare tutto quello che è avvenuto, come se fossi stato con loro » . Yaacov avrebbe voluto partire subito, correre in aiuto anche se non è un medico o un poliziotto.
Ma il passaporto era in banca, la banca era chiusa, l'aereo dei soccorsi è decollato senza di lui e ora, incollato alla tivù, Yaacov cerca le facce degli amici fra i volti insanguinati dei superstiti, gli scorci familiari nelle immagini di polvere, rottami, ambulanze che le reti israeliane trasmettono quasi senza interruzione.
Ariel Sharon rompe il silenzio solo al tramonto, alla fine dello
shabat, il sabato ebraico, un'altra festa diventata un lutto: dice di essere sotto choc e di non avere dubbi che l'antiterrorismo turco scoprirà i responsabili. Forse non ne è poi così convinto, ma il messaggio è chiaro: trovateli voi o li troveremo noi.
E' una caccia che non conosce frontiere: « Nessun Paese al mondo è immune dal terrorismo — ha chiarito subito il ministro degli Esteri, Silvan Shalom, che si prepara a partire per Istanbul — . Ecco perché tutti dovrebbero combattere insieme contro le forze del male » . Usa il condizionale, perché non si fida più dell'Europa. Spiega che è colpa di come Israele viene rappresentata nel vecchio continente se i governi europei, con poche eccezioni tra cui quello italiano, sono sbilanciati a favore dei palestinesi: « E’ il terrorismo verbale che porta al terrorismo fisico come quello di oggi a Istanbul » .
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