Israele, una minaccia per l'Ue
semmai è il contrario
Testata:
Data: 03/11/2003
Pagina: 5
Autore: Baquis - Galeazzi - Singer - Stabile
Titolo: tre cronache e un'intervista sul sondaggio Ue
Il sondaggio Ue sulla pericolosità di Israele ha suscitato molto scalpore sul panorama mondiale. Al riguardo riportiamo tre cronache pubblicate sulla Stampa di oggi, tutte alla quinta pagina, e un'intervista ad Avi Pazner, portavoce di Sharon, pubblicata su La Repubblica.

La prima cronaca è di Aldo Baquis, dal titolo: «Un sondaggio Ue fa infuriare Gerusalemme»

Un profondo e urgente esame di coscienza dovrebbe essere compiuto in Europa - secondo il ministero degli Esteri israeliano - dopo la pubblicazione di un sondaggio di opinione che colloca Israele al primo posto di una graduatoria dei Paesi più pericolosi al mondo. Una lista definita «assurda» a Gerusalemme, «dovuta anche alla copertura negativa di Israele da parte dei mezzi di comunicazione europei». Anch'essi sono stati sollecitati ieri dal ministero degli Esteri israeliano a compiere una severa autocritica.
Proprio ieri l'Ufficio stampa governativo (Gpo) ha reso noto che per supreme ragioni di sicurezza a partire dal 2004 sarà molto più difficile in Israele ottenere la tessera stampa. I nomi dei candidati saranno verificati dallo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno. I giornalisti «depennati» dal Dipartimento di sicurezza dell'ufficio del primo ministro potranno nuovamente chiedere una tessera, ma solo dopo sei mesi. La nuova politica - che ha destato un’immediata reazione negativa da parte dell’Associazione della stampa estera - è stata giustificata dal direttore del Gpo, Daniel Seamen, con la necessità assoluta di impedire che in eventi protetti da misure di sicurezza partecipino persone i cui rapporti con il mondo del giornalismo siano aleatori.
Al sondaggio curato dall’Unione europea - anticipato dallo spagnolo «El Pais» - i tabloid israeliani hanno comunque dedicato adirati titoli di prima pagina. Il quotidiano «Maariv» - che nei giorni scorsi aveva accusato il presidente Jacques Chirac di avere impedito una condanna collettiva dell’Unione europea dopo le dichiarazioni di sapore antisemita del premier malese Mahatir Mohammad - si è ieri chiesto se adesso l’Unione europea possa ancora aspirare a svolgere un ruolo di mediazione fra israeliani e palestinesi.
La radio militare ha preferito reagire con l'arma affilata dell’ironia. «Secondo gli europei Israele è più pericoloso per la pace mondiale che non la Corea del Nord o l'Iran. E queste - ha osservato un commentatore - sono buone notizie: finalmente siamo riusciti a strappare il primo posto in una qualsiasi gara europea».
Nella vicenda nessun lato faceto è stato riscontrato invece dal ministro per le Relazioni con la Diaspora Natan Sharansky, secondo cui dietro alle critiche a Israele si profilano sentimenti antisemiti mai estirpati fino in fondo. «L'Unione europea - ha affermato - deve mettere fine al lavaggio del cervello con cui si demonizza continuamente Israele».
«In Europa - ha confermato ieri Gideon Meir, il vicedirettore generale del ministero degli Esteri per l’Informazione - esiste un antisemitismo latente», che viene attizzato da una copertura «tendenziosa» del conflitto israelo-palestinese. Questi sentimenti si uniscono, a suo avviso, a un certo anti-americanismo. «Nel sondaggio - ha osservato - Israele e Stati Uniti sono ai primi posti. Insomma, siamo in buona compagnia. Quanti in Europa provano avversione per gli Stati Uniti non hanno rinunciato in questa occasione a dare un ceffone anche a noi».
Secondo Ran Curiel, un altro dirigente del ministero, sono dunque gli europei a dover fare un esame di coscienza «se davvero pensano che due Paesi democratici, come Israele e Usa, possano minacciare la pace mondiale più che non dittature dotate di armi di distruzione di massa e fomentatrici di terrorismo». Ma ieri Curiel si chiedeva ancora quale sia stata con esattezza la metodologia utilizzata per condure il sorprendente sondaggio. Forse i 7.500 europei che vi hanno preso parte intendevano dire che il conflitto israelo-palestinese (e non lo stato di Israele) rappresenta una minaccia per la pace mondiale.
Secondo Curiel è inoltre possibile che il volume e l’intensità della copertura giornalistica degli eventi mediorientali abbiano giocato in questa occasione a sfavore di Israele: «Quanti titoli di giornali parlano della Corea del Nord, e quanti di Israele? Non c'è dubbio che noi siamo molto più esposti, come dice il motto: "Jews is news"»: ossia, gli ebrei fanno notizia».
Mentre gli israeliani erano impegnati a ricercare le radici di tanto astio nei loro confronti da parte dell’opinione pubblica europea, anche i palestinesi avanzavano serie lamentele nella medesima direzione. «Gli europei hanno cercato di differenziare le proprie posizioni rispetto a quelle statunitensi. Ma finora non hanno realizzato le nostre aspettative», ha dichiarato all’emittente «Voce della Palestina» il rappresentante dell'Olp in Italia, Nemer Hammad. Anche secondo Hammad l’opinione pubblica in Europa vede in modo molto negativo la politica israeliana. «Ma queste posizioni - ha lamentato - non raggiungono poi i vertici politici». Critico è dunque il suo giudizio sul presidente del consiglio Silvio Berlusconi «che fa tutto il possibile per comparire come il migliore amico degli Stati Uniti».
Giacomo Galeazzi firma la seconda cronaca dal titolo: «Gli israeliani per l’Italia: un popolo democratico»


Di fronte al sondaggio realizzato dalla Commissione Europea, il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini ammonisce l’Europa: «Deve concorrere al processo di pace in Medio Oriente, recuperando quella serenità e quell'obiettività che la diffusione di questo improvvido sondaggio mette oggettivamente in discussione». E aggiunge: «Non dobbiamo mai dimenticare che Israele è un Paese autenticamente democratico, in cui si confrontano posizioni politiche diverse ma sempre alla luce del sole e con il voto trasparente dei cittadini». Casini, che domenica prossima sarà in visita ufficiale a Tel Aviv, conclude così il suo intervento: «Rinnovo i sensi dell'amicizia e della stima del Parlamento italiano allo Stato di Israele nell'anniversario dell'uccisione del premier Yztak Rabin, costruttore di pace come tanti israeliani».
Anche il presidente del Senato, Marcello Pera, interviene sull’antisemitismo. «Bisogna combatterlo senza cedimenti», ha detto in un messaggio inviato al terzo congresso europeo del B’nai Brith, la più importante e antica organizzazione umanitaria ebraica, fondata nel 1843 negli Stati Uniti come istituzione per la difesa e la dignità del popolo ebraico e della sua cultura.
E a proposito delle dichiarazioni antisemite fatte nei giorni scorsi da Mahathir Mohamad, il controverso primo ministro malese uscito di scena dopo 22 anni di potere: «E’ incredibile che l’Unione europea non abbia saputo accordarsi su una dichiarazione di condanna delle parole pronunciate da Mahathir contro Israele e gli ebrei. Razzismo e antisemitismo crescono anziché diminuire. Le dichiarazioni di un primo ministro di un Paese islamico certamente non dominato dal fondamentalismo religioso avevano un tono sinistro che credevamo di aver dimenticato».
Molti Paesi, ha sottolineato Pera, hanno espresso ferma condanna: «Il Congresso americano ha dedicato una seduta al tema dell’antisemitismo, soffermandosi sugli inaccettabili propositi tenuti alla Conferenza islamica a Kuala Lumpur». In Europa, invece, le cose sono andate in modo diverso: «Malgrado gli sforzi della presidenza italiana, l’Unione europea non ha saputo trovare il consenso su una risposta di civiltà contro l’intolleranza. Proprio l’Europa della tanto declamata umanistica identità comune, che a parole magniloquenti ha inserito in una Carta dei diritti i suoi valori più profondi (la libertà, il rispetto, la tolleranza), si è rivelata incapace di reagire di fronte ad affermazioni che addirittura negavano alla radice le ragioni dell’esistenza di Israele. Ossia di uno Stato che è un avamposto della democrazia europea in Medio Oriente».
Secondo Pera, oltre a restare sgomenti e attoniti sulla odierna civiltà europea, dobbiamo tutti - come singoli, gruppi e popoli - impegnarci per combattere senza cedimenti contro il rischio del ritorno del razzismo e dell’antisemitismo: «Se noi europei vogliamo davvero essere punto di riferimento di valori culturali autentici, non possiamo permetterci di essere distratti e arrendevoli».
Anche il senatore Francesco Cossiga ha espresso «indignazione» e costernazione» per il sondaggio e ha chiesto di convocare una riunione straordinaria del Consiglio europeo su questo «inaudito comportamento»: la Commissione europea «ha imprudentemente reso noto l’incredibile risultato, come che si trattasse di verità rivelata». Cossiga ha anche aggiunto di aver espresso subito solidarietà ad Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche. E questa mattina il vicepremier e presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, terrà una conferenza stampa congiunta insieme all’ambasciatore israeliano in Italia, Ehud Gol, al Terzo Congresso Europeo dell’associazione ebraica B’nai B’rith, in corso a Milano.
Da Bruxelles una cronaca di Enrico Singer: «Le cifre che imbarazzano l’Europa, per il 59% Israele è una minaccia»


Le novanta pagine del sondaggio saranno pubblicate dall'Eurobarometro soltanto questa mattina. Ma le anticipazioni già diffuse stanno provocando un putiferio. C'è la reazione sdegnata di Israele, che si ritrova indicata dal 59 per cento degli europei - almeno tra i 7.515 del campione statistico - come «la minaccia più forte per la pace». C'è l'irritazione americana per quel 68 per cento che definisce «ingiustificato» l'intervento americano contro Saddam. E c'è un grande imbarazzo nell'esecutivo della Ue che aveva chiesto l'indagine e che si ritrova a gestire una crisi esplosiva. Un vero boomerang, se è vero, come sostengono fonti comunitarie, che il sondaggio era stato commissionato alla vigilia della Conferenza dei donatori che si è tenuta a Madrid per raccogliere i fondi per la ricostruzione dell'Iraq. Con l'obiettivo di spingere alla generosità e non di scatenare polemiche.
Quando però, esattamente due settimane fa, i risultati dell'indagine demoscopica sono arrivati dalla Eos Gallup Europe a Eurobarometro - che è uno strumento tecnico della Commissione - è apparso subito chiaro che le polemiche sarebbero state inevitabili. Nonostante tutte le prudenze adottate: il rinvio della pubblicazione a Conferenza di Madrid ormai conclusa e la diffusione con il contagocce delle tradizionali sintesi, tanto che fino a ieri si conoscevano le risposte date soltanto a dieci delle quindici domande del sondaggio.
Prudenze inutili che hanno, anzi, innescato il sospetto di manovre di copertura che il portavoce della Commissione, Gerassimos Thomas, ha escluso: «Non c'è stata alcuna decisione politica, ma solo la necessità tecnica di avere il tempo per elaborare le statistiche».
Il sondaggio è stato realizzato tra l'8 e il 16 ottobre scorso su 7.515 cittadini europei - circa 500 sono italiani - ai quali sono state sottoposte quindici domande sul tema della crisi irachena e della sicurezza internazionale. Tutte con il sistema delle risposte predefinite che gli intervistati dovevano scegliere. Quella che ha scatenato le proteste israeliane - e non solo - era formulata così: «Quale tra questi Paesi rappresenta la principale minaccia per la pace?». Seguiva una lista che comprende Usa, Ue, Russia, Corea del Nord, Iran, Iraq, Afghanistan, Israele, Pakistan e India. E un'ulteriore scelta tra quattro gradi di minaccia: da «molto forte» a «nessuna». Risultato: Israele è stata indicata come la principale minaccia dal 59 per cento; al secondo posto (con il 54 per cento) Corea del Nord e Iran alla pari, al terzo posto l'Iraq, al quarto l'Afghanistan e al quinto gli Stati Uniti.
Gli europei che più degli altri hanno indicato Israele come la «principale minaccia per la pace» sono gli olandesi (il 70 per cento), mentre gli italiani e gli spagnoli sono al di sotto della media. Tra gli esperti europei in indagini demoscopiche si è aperta anche una polemica nella polemica: quella sulla formulazione della domanda, che avrebbe potuto indurre gli intervistati a definire «minaccia per la pace» più un'area di crisi che la politica di un determinato Paese.
Vuol dire che il risultato è falsato? Che la Eos Gallup Europa ha sbagliato? O è un tentativo di trovare una composizione accettabile della crisi esplosa nei rapporti con Israele? Fonti della Commissione non entrano nel merito della formulazione della domanda, ma fanno notare che «i sondaggi sono sondaggi», che Eurobarometro «non rispecchia il pensiero della Commissione» e che questa «non fa politica con i sondaggi».
Sul caso-Iraq i risultati dell'indagine demoscopica erano più prevedibili. L'intervento militare americano e inglese è definito complessivamente «ingiustificato» dal 68 per cento degli europei (il 60 per cento degli italiani). Con due gradazioni: «assolutamente ingiustificato» dal 41 per cento degli europei (il 33 pr cento degli italiani) e «piuttosto ingiustificato» dal 27 per cento degli europei (il 26 per cento degli italiani).
Alla domanda sull'opportunità di inviare truppe in Iraq per gestire il dopoguerra, il 54 per cento degli europei si dichiara «piuttosto sfavorevole». Gli italiani sono in netta controtendenza: il 60 per cento è a favore dell'invio di una missione di pace mentre il 40 per cento è contrario. Tutti d'accordo soltanto su una domanda: l'Europa dovrebbe giocare un ruolo più incisivo per la pace. Ha detto sì l'81 per cento del totale e gli italiani (89 per cento) sono secondi soltanto al 90 per cento dei greci.
Ora segue l'intervista di Alberto Stabile ad Avi Pazner pubblicata sulla Repubblica a pagina 7:

Ambasciatore Avi Panzer che ne pensa del sondaggio europeo secondo cui Israele costituisce il maggior pericolo alla pace del mondo?
«E’ assurdo, ridicolo, privo di ogni credibilità. Non è possibile che due democrazie come gli Stati Uniti e Israele siano messe in compagnia di paesi come la Corea del Nord e l’Iran. E’ per lo meno una distorsione del modo in cui sono state poste le domande e, più in generale, del processo informativo».

Si spieghi meglio.
«E’ semplice: durante questi tre anni di intifada siamo stati trattati non in modo equo da molti media internazionali, specialmente le televisioni, che semplificano tutto, in venti/trenta secondi mostrano un ragazzo palestinese che tira delle pietre di fronte a un tank israeliano, e basta questo per far pensare a Davide contro Golia, senza spiegare che ciò che è in pieno svolgimento è una lotta per l’esistenza dello Stato israeliano, una lotta contro il terrorismo. Ma questo al pubblico non lo si fa vedere».

Prima di diventare uno dei più stretti consiglieri di Sharon lei ha vissuto e lavorato a lungo in Europa come ambasciatore in Francia e in Italia. A cosa attribuisce questo atteggiamento negativo nei confronti di Israele?
«Ci sono alcune ragioni. Oggi i palestinesi sembrano i più deboli e gli israeliani i più forti, almeno così come vengono rappresentati. Ma se allarghiamo il campo d’osservazione al Medio Oriente e osserviamo il numero dei paesi arabi che circondano Israele ci si accorge che Davide è Israele e Golia sono i paesi arabi. A questo bisogna aggiungere che in Europa permangono dei nidi di antisemitismo, non direi che sia la maggioranza, dei nidi. In Europa esistono ancora idee antiebraiche che, quando la situazione è tranquilla, non affiorano, ma quando si presentano dei problemi, risorgono. È una minoranza, ma c’è».

Ammesso che ci sia dell’antisemitismo, non crede che il governo israeliano abbia il dovere di riflettere su una immagine così negativa, tenuto conto che negli anni del processo di pace l’immagine di Israele nel mondo era, di contro, assai positiva?
«Riflettere è sempre utile. Sono sicuro che adesso, come giustamente ha anticipato il primo ministro, Sharon, ci sarà una ripresa del processo di pace e del negoziato con Abu Ala. Ma non perché dobbiamo correggere un’immagine distorta dai media, ma perché vogliamo progredire sulla via della pace e speriamo che con Abu Ala andrà meglio che con Abu Mazen. Vede, Israele corre pericoli gravissimi. La legittimità stessa dello Stato di Israele è messa in discussione, e direi anche da questo sondaggio. Poi c’è Arafat che non fa altro che porre problemi e ostacoli. Ma tutto ciò non vuol dire che non bisogna provarci, e noi ci proveremo. Quanto all’immagine di Israele non c’è bisogno di risalire a Oslo, appena sei mesi fa, durante i colloqui di Aqaba i commenti erano assai diversi».

Come mai quello che lei giudica il corretto messaggio che il sistema informativo dovrebbe portare all’estero non riesce a passare?
«Ho letto recentemente un’intervista sul Washington Post dove si diceva l’informazione israeliana funzionava benissimo. Non è che non spieghiamo bene le cose. È che la gente non vuole sentire. Perché oggi, direi, è politically correct essere simpatetici con i palestinesi, che sono visti come la parte più debole. Potrei citare molti esempi di disinformazione, ma direi che sostanzialmente c’è una certa voglia di ignorare i fatti».

Ma lei non teme che i risultati di questo sondaggio possano allontanare Israele dall’Europa?
«La posizione di Israele è in Europa. Noi sappiamo che in Europa l’uso della forza non viene accolto bene. Penso all’intervento in Jugoslavia. In Europa si pensa, giustamente, che i confini debbano essere risolti pacificamente. Anche noi vorremmo che il conflitto che siamo costretti a combattere da tanti anni si risolva pacificamente, ma quando uno è in pericolo di morte, in pericolo esistenziale, bisogna difendersi. È quello che stiamo facendo».
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