Una penna intinta nel miele
E'quella di Ferrari quando scrive sulla Siria
Testata: Corriere della Sera
Data: 02/11/2003
Pagina: 1
Autore: Antonio Ferrari
Titolo: E ora la Siria cerca il dialogo con gli Usa
Antonio Ferrari continua i suoi servizi sulla Siria. Dopo averci raccontato quanto è buona e brava l'insegnante di giornalismo all'università di Damasco che "insegna a rispettare Israele", adesso è la volta di dare della dittatura di Assad un ritratto compiacente. Niente dittatore, dunque, ma, come scrive Ferrari, il "giovane presidente Assad".
Leggere l'articolo e poi paragonarlo con quello di Fiamma Nirenstein, sempre sulla democratica condotta della Siria, uscito sulla Stampa di oggi 2-11-2003.
Ecco l'articolo completo di Ferrari.



DAMASCO — La Siria sembra un Giano bifronte. Su una faccia leggi l'incubo di dover affrontare una guerra, sull'altra la speranza di venir cancellata dalla colonna dei cattivi. La Siria è aggressiva a parole, come dimostrano le dichiarazioni del ministro degli Esteri Farouk el Shara, il quale ha detto che Damasco, in caso di un nuovo attacco israeliano, potrebbe colpire, per rappresaglia, le alture del Golan occupato.
E' però circospetta e prudente nei fatti, come dimostrano le mosse della sua diplomazia.
Damasco ha votato con gli Usa l'ultima risoluzione sull'Iraq al Consiglio di sicurezza dell'Onu, consentendone l'approvazione all'unanimità; continua a distinguere fra i falchi e le colombe dell'Amministrazione Bush; collabora attivamente alla campagna internazionale contro il terrorismo, come riconosce l'intelligence degli Usa.
La ragione di questo atteggiamento ambivalente è figlia di un dilemma. La Siria non sa che cosa hanno in mente gli americani per il semplice fatto che gli americani non hanno ancora deciso che cosa fare: se considerare Damasco recuperabile, e quindi immaginarla come partner nel riassetto del Medio Oriente; oppure ritenerla irrecuperabile perché fiancheggiatrice di terroristi, lasciando quindi libero di agire il premier israeliano Ariel Sharon, e magari progettando future campagne militari.
Pochi sanno veramente che cosa stia accadendo nelle stanze di un regime dove, nelle ultime settimane, si è intensificato il conflitto di potere tra progressisti e conservatori, con la prevalenza di questi ultimi, consolidati da una situazione regionale sempre più grave e complessa. Il dopoguerra iracheno, la soffocante crisi economica provocata dalle conseguenze del conflitto ( si calcola che la Siria perderà almeno 2 miliardi di dollari all'anno), le minacce americane e i raid israeliani hanno rafforzato gli intransigenti e costretto gli altri al silenzio, quantomeno ad una retromarcia tattica. Tuttavia, molti segnali avvertono che Damasco sta cercando disperatamente di ricucire il rapporto con Washington. Una serie di incontri fra intellettuali siriani ed esponenti di istituzioni americane si sono rivelati un fallimento: un dialogo fra sordi.
Quindi, l'unico canale percorribile sembra quello dell'intelligence. Il direttore della Cia, George Tenet, che sta per scendere a Damasco, è convinto che l'apporto della Siria nella guerra contro il terrorismo di Al Qaeda sia prezioso, e ovviamente non intende perderlo.
Non è difficile quindi comprendere perché il Paese, che soltanto poche settimane fa giudicava con sarcasmo, senza nascondere una certa soddisfazione, le difficoltà incontrate dagli Usa in Iraq, oggi si trovi allineato nella sostanza a Egitto, Giordania e Arabia saudita ( come dimostra il vertice dei Paesi confinanti, cominciato ieri a Damasco senza la presenza del ministro degli esteri iracheno) che temono le disastrose conseguenze regionali di un collasso americano a Bagdad. Anche per questa ragione il giovane presidente Bashar el Assad ha deciso, improvvisamente, di compiere una visita ufficiale nel Qatar, cioè nell' emirato che, durante la guerra, ha offerto le proprie basi agli americani, ed è considerato fra gli amici regionali dell’Amministrazione- Bush. I funzionari di Damasco si sono affrettati a precisare che la Siria non ha bisogno di chiedere aiuti o mediazioni a nessuno, ma la realtà suggerisce l'esatto contrario. E nella complessa partita dare- avere, Damasco avrebbe fatto sapere a Washington di voler continuare la lotta contro Al Qaeda, di offrire la propria influenza per contribuire alla stabilizzazione dell'Iraq, e di tenere un atteggiamento più rigido nei confronti di Hamas e della Jihad islamica palestinese, che in Siria hanno dirigenti e portavoce. In cambio, chiede di poter partecipare alla ricostruzione del Paese confinante e domanda a Washington di tenere a freno Sharon.
Il rapporto con gli Usa resta la « priorità » , anche se Bashar ha intensificato il corteggiamento all'Unione europea. Ha avuto grande eco, a Damasco, la missione di tre ministri degli esteri dell'Ue ( il britannico Straw, il tedesco Fisher e il francese De Villepin) a Teheran, con la quale è stata aperta una linea di credito politica che ha infastidito non poco Washington. Ma soprattutto la Siria si prepara a firmare, forse prima della fine dell'anno, il trattato di associazione all’Ue, che per Damasco potrebbe diventare un importante scudo protettivo.
Però la Siria sa bene che i conti, in Medio Oriente, si fanno con gli Usa, e il silenzio di Washington, avvertimenti a parte, le pare assordante e preoccupante.




Corriere della Sera - 02/11/2003


CONTINUA A PAGINA 13


Corriere della Sera - 02/11/2003


Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere al Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

lettere@corriere.it