Fini, AN e Israele
una visita entro dicembre-le reazioni italiane
Testata: Corriere della Sera
Data: 01/11/2003
Pagina: 11
Autore: Francesco Verderami-Francesco Battistini
Titolo: La lunga marcia di Fini- In Israele entro dicembre
La visita è in progetto dopo l’incontro tra Berlusconi e Sharon
I due anni di disgelo e l’importanza del sì al voto agli immigrati

ROMA — Ancora un mese o poco più, e Gianfranco Fini si recherà in visita a Gerusalemme. Lo storico viaggio del leader della destra italiana, come sostengono fonti accreditate, è previsto dopo l’incontro a Roma tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il premier israeliano Ariel Sharon, in programma per la seconda metà di novembre. La riservatezza con cui si sta organizzando la missione non consente di stabilire ancora la data esatta dell’appuntamento, che negli ultimi tempi a più riprese è apparso e poi scomparso dall’agenda. Per il capo di An il viaggio in Israele non rappresenta tuttavia la fine di un percorso, bensì l’inizio di un altro, legato alle relazioni internazionali. I rapporti con la diaspora italiana non potevano essere certo connessi a un evento di politica estera, sebbene era ovvio che le due questioni fossero strette.
Il dialogo in Italia andava avanti da tempo, e che il ghiaccio si fosse completamente sciolto parve chiaro alcune settimane fa, quando il presidente della Comunità ebraica italiana Amos Luzzatto usò verso Fini frasi di sincero apprezzamento per la sua proposta di consentire il voto agli immigrati. La notizia poi che sarà il vicepremier a presentare il suo ultimo libro, Il posto degli ebrei,
chiude il cerchio, e testimonia quanti passi avanti siano stati fatti dal 24 maggio del 2000, giorno in cui nella sala della Protomoteca in Campidoglio, il consigliere comunale Fini strinse la mano al rabbino Elio Toaff, festeggiato dalla città di Roma nel giorno del suo ottantacinquesimo compleanno.
Fu il primo gesto pubblico, a cui seguirono colloqui riservati con i capi spirituali e politici della comunità.
Ora non fa più scalpore la presenza del leader di An a manifestazioni come quella organizzata a Milano dalla Benè Berith, la più antica e diffusa associazione filantropica ebrea nel mondo, nata negli Stati Uniti nel 1843 e presente oggi in 58 nazioni. Fini parteciperà alla convention lunedì prossimo insieme con l’ambasciatore israeliano Ehud Gol, che spesso lo ha avuto come ospite nella sua residenza a Roma. Il diplomatico sa che il clima tra gli ebrei italiani e il capo di An è cambiato, che i rapporti sono distesi, e che si sono dissolte le perplessità del passato per il viaggio. Negli ultimi due anni le relazioni sono profondamente mutate, se è vero che nel dicembre del 2001 la comunità romana viveva nell’imbarazzo la possibile presenza di Fini alla sinagoga, il giorno in cui Berlusconi andò a porgere le condoglianze del Paese per l’ennesimo attentato terroristico contro Israele. Ora invece, in vista del centenario del tempio capitolino, che cadrà il 23 maggio del prossimo anno, il Consiglio potrebbe diramare l’invito anche a Fini.
Conoscersi non è stato facile, esponenti della diaspora ricordano ancora « il modo sospettoso e guardingo » con cui seguirono la svolta di Fiuggi, e l’omaggio alle Fosse ardeatine del presidente di An, la sua visita ad Auschwitz, la condanna delle leggi razziali. Iniziarono i colloqui e il confronto sulla memoria e sul futuro, mentre si succedevano i gesti pubblici con il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e con Amos Luzzatto. Ci sono stati casi in cui il vicepremier si è prodigato per incontrarli. Nell’estate del 2002 Luzzatto, appena rieletto, si recò a palazzo Chigi per discutere con Giovanardi sul tema delle impronte digitali per gli immigrati. A un certo punto, il ministro per i Rapporti con il Parlamento chiese all’ospite: « Fini vorrebbe spiegarle la sua posizione » .
E si parlarono.
Il leader di An non ha fatto altro che parlare in questi anni, unico modo per farsi conoscere e dissipare le ombre, conscio che gli interlocutori non facevano sconti: per quel saluto romano ancora in voga, per quei busti di Benito Mussolini nelle sedi di partito, per quei testi di Evola venduti nelle feste. E poi per quella fiamma posta ancora nel simbolo di An. Fini gli parve « sincero » — così dicono — quando spiegò che « Fiuggi era stata una svolta meditata » , quando prese ad esempio la fase di passaggio dal Pci al Pds, e ricordò che per qualche anno falce martello e stella rimasero ai piedi della Quercia: « Accade sempre nei processi di svolta. C’è bisogno di tempo » . Aveva bisogno anche di fiducia, il capo della destra, « perché io, il mio partito, sappiamo di avere sulle spalle il fardello di un’eredità. Anche se non ne siamo direttamente responsabili, ne avvertiamo il peso » .
Più passava il tempo, più le « perplessità » della comunità si spostavano da Fini al suo partito: « Bisognava verificare — spiegano oggi — che An seguisse il sentiero tracciato dal suo leader. Tenendo presente, per parte nostra, il rispetto per chi ha subito ferite non rimarginabili, per chi ha vissuto la tragedia del fascismo » . Più passava il tempo, più durante gli incontri c’era il tempo anche per scherzare, per raccontarsi barzellette, perché no. « Fini su Fini ne conosce tante » , assicura chi le ha sentite: « Ma anche su Berlusconi ha un buon repertorio... » . Durante la guerra in Iraq non c’è stato molto spazio per l’allegria. Dicono che una sera il vicepremier si presentò a una cena di pessimo umore. A irritarlo era stato un sondaggio pubblicato da un settimanale: « Mi chiedo come si possano mettere a confronto un’autorità morale della statura di Giovanni Paolo II, che invoca la pace, e il presidente degli Stati Uniti che è impegnato nella lotta al terrorismo. Che senso ha? » .
Spesso a colpire sono i piccoli gesti, frasi brevi. Quel giorno di luglio Fini era stato costretto alla difensiva, dopo che i giornali avevano riportato una frase del regista Pasquale Squitieri, ex parlamentare di An, sulle leggi razziali: « Quelle norme tutelavano gli ebrei del nostro Paese » . L’indomani Squitieri avrebbe precisato che « quelle leggi sono state una vergogna » , ma intanto il vicepremier aveva sentito il dovere di chiamare il rabbino capo di Roma, per offrirgli solidarietà. « Un gesto importante » , aveva commentato Di Segni: « Conosco Fini, non dubito del suo pensiero. Mi auguro che in An sia una linea prevalente » . Il giorno dopo appariva sul Secolo d’Italia un duro editoriale: « Se qualcuno ha cercato di minimizzare la portata criminale delle leggi razziali, ha parlato per sè, mettendosi decisamente fuori, se mai l’ha condivisa, dalla linea del partito » . Ecco la frase breve che la comunità ebraica ha tanto apprezzato.
Qualche mese dopo, a settembre, Fini avrebbe dovuto schivare un’altra insidia: l’intervista estiva di Berlusconi sul duce e sul fascismo « rischia di compromettere sei anni di lavoro » , aveva sospirato il leader di An.
Anche allora gli è toccato di rattoppare la tela diplomatica, sebbene il rapporto con gli ebrei italiani era ormai solido. E già si stava programmando la presentazione del libro di Luzzatto. Così si chiuderà quel percorso. Il viaggio in Israele ne aprirà un altro, e passerà alle cronache come lo sdoganamento di Fini sul proscenio internazionale, darà origine a interpretazioni sul futuro politico del vicepremier. Ma la storia di una faticosa amicizia, è custodita dagli ebrei della comunità italiana.







Segue un'intervista di Francesco Battistini ad Amos Luzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, che critica le « farneticazioni » della Lega ma anche la sinistra anti israeliana.


E Luzzatto tende la mano alla nuova An


Un giorno, Gianfranco Fini chiese ad Amos Luzzatto in quali posti d’Europa si trovasse più a suo agio. « Ovunque e in nessun luogo » , gli rispose il presidente delle comunità ebraiche italiane: « Ovunque, perché condivido il destino degli altri ebrei d’Europa nella comune necessità di combattere i pregiudizi antiebraici, che sono simili.
In nessun luogo, perché l’Europa non c’è ancora » .
I posti, i luoghi, la terra. Anche per queste parole passa l’identità nomade e dispersa degli ebrei: Ha’aretz ,
« la » terra per definizione, è il giornale israeliano che il postmissino Fini usò un anno fa per scusarsi delle leggi razziali; Il posto degli ebrei
s’intitola un pamphlet Einaudi che oggi Luzzatto potrebbe dedicare a quest’Italia in lite sul crocifisso, a un’Europa che brandisce la « cristianità » come un valore per escludere, limitare, discriminare.
Destra- ebrei. Le prove tecniche di comunicazione durano da un po’: « Assistiamo negli ultimi anni — scrive Luzzatto — a un fiorire di amici politici inediti, impensabili fino a non molto tempo fa » . Il rapporto però è contraddittorio, e non solo per le le « farneticazioni » sulla razza- Piave di leghisti come l’ex sindaco di Treviso, per le molte gaffe, per certi «
regionalismi rozzi » , per una retorica della bandiera nazionale ( « uno straccio colorato attaccato a un bastone » , diceva Yeshayahu Leibowitz) che spesso sta stretta a chi sogna Gerusalemme ( « fare dello stato un ideale era una tematica cara al fascismo e, per gli ebrei, una forma d’idolatria, un ' culto estraneo' » ) . La domanda di Luzzatto non è diretta, ma chiara: come conciliare il Fini che apre agli ebrei, « popolazione prevalentemente europea » , col Fini che, insieme, appoggia una Costituzione europea dalle radici esclusivamente cristiane? L’antisemitismo in Italia non riguarda più certa destra, dice il capo delle comunità ebraiche, ma ammorba « una cultura diffusa » che va dalle vignette di Forattini agli editoriali di Barbara Spinelli, senza risparmiare l’ultimo libro di Asor Rosa e una sinistra antisraeliana troppo simile agli xenofobi del Polo: « Suddividendo il mondo in maniera tanto manichea, terzo mondo contro Israele, non ci si accorge che la non appartenenza di Israele al Medio Oriente e l’accento posto sugli ebrei in quanto immigrati dall’Europa e non autoctoni è, in realtà, lo stesso argomento col quale la destra razzista in Italia vorrebbe cacciare gli immigrati, primi fra tutti i musulmani » . Ce n’è anche per i cattolici, « che temono moltissimo l’islam e cercano alternativamente di frenarlo o rabbonirlo » , favorendo un insegnamento della religione a scuola che di fatto esclude « le altre » religioni: « Un’umiliazione, una discriminazione, un’esperienza infantile che ci riporta a tempi molto meno liberali dei nostri » , scrive Luzzatto, in singolare sintonia con gli argomenti di Adel Smith in quel di Ofena.
La tolleranza, così, non è una forma di razzismo. Tutt’altro. E se « nei paesi europei è diffuso il convincimento di possedere una cultura morale e materiale che rappresenta l’apice dell’evoluzione umana » ( leggi le dichiarazioni di Berlusconi sull’Islam), ben venga chi ( Fini?) apre a un’ « Europa di quelle genti che vi abitano e che sono disponibili a unirsi a coloro che vi giungano migrando » . Il posto degli ebrei è questo, dice Luzzatto: il leader di An sarà capace di garantirglielo?
Francesco Battistini







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