Riportiamo l'intervista di Davide Silvera, pubblicata su Il Riformista di mercoledì 29 ottobre 2003.Gerusalemme. Amram Mitzna, che lo scorso gennaio era a capo del Partito Laburista quando le elezioni furono stravinte dal Likud di Ariel Sharon, è oggi
uno dei firmatari - nonché dei più attivi promotori - della cosiddetta Pace di Ginevra. A pochi giorni dall’attentato all’insediamento di Netzarim, nella
Striscia di Gaza (dove un commando misto Hamas-Jihad ha assassinato tre soldati israeliani, tra cui due soldatesse) gli abbiamo chiesto quali sono le sue posizioni sul Muro e sulle infuocate polemiche che in questi giorni sconvolgono il paese dopo l’ultimo attentato, tanto infuocate che il fondo del quotidiano Haaretz di lunedì scorso si intitolava: «Fuori da Gaza». Forse non tutti si aspettano che un rappresentante della sinistra come Mitzna, un pacifista al di sopra di ogni sospetto, sia favorevole al Muro. Ma benché con molti e significativi distinguo, l’ex leader laburista lo è. «Certamente non
sono d’accordo al progetto di Muro che sta costruendo il governo. Sharon lo fa passare ben al di là di quelli che erano i confini del 1967. La destra vuole inglobare, e sta inglobando, villaggi e terre palestinesi». A Ginevra, sottolinea Mitzna, del Muro di Sharon non si è parlato, «anche se nelle carte firmate da noi e dai palestinesi si dice che, una volta raggiunto l’accordo, lungo i confini stabiliti potranno esserci tutti i sistemi di difesa, compreso
un muro». In sostanza, il problema non è nelle caratteristiche del Muro, «che va benissimo», ma nel suo tracciato. In linea con questa impostazione, Mitzna
sottolinea un rischio ulteriore: che il Muro sharoniano possa essere un’arma della destra usata anche nella politica israeliana. Infatti, secondo alcuni analisti, il piano del primo ministro sarebbe duplice: da un lato guadagnare
tempo fino alle prossime elezioni politiche, che si svolgeranno, (se non interverrà una crisi politica ad imporne l’anticipo) nel lontano 2007; dall’altro quello di presentarsi al prossimo appuntamento elettorale proponendo
agli elettori israeliani che il tracciato del muro - per quella data completamente terminato - diventi il confine definitivo tra lo Stato ebraico e lo Stato palestinese. Un confine che in molti punti passerebbe più ad est, e
quindi all’interno dei territori occupati, rispetto a quello del 1967. Non tenendo assolutamente conto delle richieste basilari dei palestinesi.
Dalle prospettive all’attualità, il colloquio con Mitzna passa dalla Cisgiordania a Gaza. Haaretz chiede di andarsene dalla Striscia, idea che era contenuta proprio nel programma elettorale dell’ex generale. «Sí. Qualora il mio partito avesse vinto le elezioni mi sarei impegnato a ritirare l’esercito dalla Striscia di Gaza entro un anno. E allora portai come esempio proprio l’insediamento di Netzarim per descrivere l’assurdità del nostro stare lì». Mitzna si riferisce al fatto che la colonia israeliana si trova immersa in una zona completamente palestinese, il che richiede una protezione massiccia e continua da parte dell’esercito. Oggi però, dopo che a Netzarim sono stati uccisim tre soldati, la proposta di ritiro da Gaza si scontra
con reazioni del tipo: "Ma è proprio quello che vogliono i terroristi, equivale
a dargliela vinta". Un’obiezione che Mitzna non condivide affatto. «Stare a Netzarim non ha alcun senso, e non so quale leader abbia il coraggio di guardare negli occhi un padre o una madre che hanno perso un figlio o una figlia, quando è chiaro a tutti che quell’insediamento è solo una pedina di scambio. Allora io chiedo, i nostri figli sono anch’essi pedine da scambiare?».
Mitzna è convinto della svolta rappresentata dal documento di Ginevra, che egli ritiene essere «perfino piú importante della dichiarazione di Indipendenza
del 1948, poichè allora si trattò di un’azione unilaterale riconosciuta solo da pochi paesi del mondo». Ma allo stesso tempo ci tiene a precisare «che sarà un processo lungo», e che «non ci si deve aspettare risultati immediati». Tantomeno bisogna illudere il pubblico che tutto si possa sistemare in breve tempo: «La battaglia per la pace è solo agli inizi, e ci vorrà un duro lavoro perché la gente, da entrambe le parti, comprenda e accetti l’accordo».
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