Fantastico! Ferrari è andato a far lezione in una scuola di giornalismo all'Università Statale di Damasco, e ne è rimasto talmente estasiato da non saper più discernere fra ipocrisia e serietà.
Vediamo in breve cosa riferisce nel citato articolo, il primo di una serie.
In quella Università Ferrari ha incontrato una docente, Ferial Mouhanna, e l'ha intervistata a lungo perché è rimasto impressionato dal fatto che questa docente si vanti di insegnare ai suoi allievi a "rispettare" Israele.
A rispettare Israele in quanto realtà esistente, precisa lei più volte. In nessun passaggio dell'intervista, mediante una domanda esplicita od una risposta di qualsiasi genere, si fa cenno alla necessità di rispettare Israele in quanto "stato nazionale del popolo ebraico con un suo diritto autonomo ed inviolabile ad esistere". Ma a quanto pare già la sola pretesa di "rispettare" Israele in quanto "realtà", e nulla più di ciò, riscontra molte reazioni negative fra gli allievi, fino al rifiuto di scriverne o pronunciarne il nome.
Alla domanda "Cosa pensa degli attentati suicidi? E' d'accordo?" ed a quella successiva che fa riferimento alla "resistenza non violenta" di un Mustafà Barghouti che presumibilmente dovrebbe essere il Barghouti (ma non si chiama Marwan?) sotto processo in Israele con l'accusa di essere mandante ed organizzatore di attentati (altro che non violento!), la docente, dopo aver ripetuto la favola dei disperati che usano tutte le armi che hanno, risponde testualmente come segue: "Penso a tutto ciò che possa contribuire a creare un rapporto di comprensione con la società israeliana: uccidere innocenti è un errore. Danneggia la causa palestinese, danneggia noi arabi, danneggia l'Islam. Bisogna tenere aperta la porta al dialogo. Altrimenti sarà una catastrofe".
Il pensiero di chi legge va indietro di poche risposte: "Israele esiste ed è giusto considerarlo per ciò che è: un Paese vicino con il quale un giorno speriamo di vivere in pace".
Dov'è la coerenza di questa docente, che condanna il terrorismo suicida solo perché danneggia la causa palestinese ed araba, e lo considera un errore, non un crimine abominevole?
E dov'è l'acume del giornalista, o anche solo la sua onestà intellettuale, che gli dovrebbero impedire di osannare senza commenti o contestazioni questo proclama di collusione indegno di una docente universitaria che pretende di esibire (anche negli Stati Uniti, afferma lei) la sua serenità di giudizio?L'altro giorno, su iniziativa del nostro Istituto di cultura e nel quadro della settimana della Lingua italiana nel mondo, sono stato invitato a parlare a 300 studenti ( per il 60% donne) della facoltà di giornalismo, all' Università statale di Damasco. Curiosi loro, curioso chi scrive, perché la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero in pubblico ( sulla crisi mediorientale, per esempio), contraddice lo stereotipo che vuole la Siria una dittatura monolitica, chiusa, astiosa e diffidente. Tutto è andato benissimo fino a quando ho detto che il conflitto tra israeliani e palestinesi è arduo perché vede la contrapposizione fra due diritti: « Il diritto di Israele di esistere entro confini sicuri e il diritto dei palestinesi di avere il proprio Stato ». Sorpresa e boato di disapprovazione. Domanda: « Lei non soffre quando un bambino palestinese innocente viene ammazzato dai soldati di Sharon? ». Risposta: « Assolutamente sì. Ma soffro ugualmente quando un bambino israeliano innocente viene ammazzato da un attentatore- suicida palestinese ».
La signora Ferial Mouhanna, musulmana, docente di Comunicazione e Società, uno dei professori più apprezzati della facoltà di giornalismo dell'università di Damasco, accetta di rilasciare un'intervista al
Corriere.
E' sorpresa dalla reazione dei suoi allievi? E' questo che viene insegnato?
« Non sono sorpresa e non è questo che insegniamo. Purtroppo, l'aggravarsi del conflitto sta radicalizzando l'atteggiamento di tutti. Anch'io ho molti problemi. Alcuni dei miei studenti, quando scrivono di Israele, mettono il nome tra parentesi, oppure lo qualificano come ' il cosiddetto', o magari ' il nemico'. Io non mi stanco di ripetere che Israele esiste ed è giusto considerarlo per ciò che è: un Paese vicino con il quale un giorno speriamo di vivere in pace ».
Allora è il governo, in altre parole il potere, ad incoraggiare questo atteggiamento di totale rifiuto?
« Assolutamente no. Agli studenti ricordo sempre quanto diceva il defunto presidente Hafez el Assad: Israele non è un fantasma. E' una realtà ».
Ma lo sanno, i suoi studenti, che Israele non è soltanto il governo di Sharon, che esiste una società civile, che vi sono mille opinioni, che in Israele si pubblicano giornali che sostengono i diritti dei palestinesi, degli arabi, con la stessa convinzione con cui li sostenete voi, e magari anche oltre?
« Lo dico e lo insegno. Come insegno ai futuri giornalisti che cos'è lo sforzo di obiettività. Io sono convinta che sia assolutamente necessario separare l'informazione dall'analisi, e la cronaca dalle opinioni. Se un fatto riguarda Israele, si scrive Israele e basta. Poi, a livello di commento, ciascuno si esprima come crede. Ai tempi del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, era tutto più facile. La gente, qui, lo rispettava, magari non era amore ma poco ci mancava. Oggi i ragazzi sono arrabbiati e avviliti. Penso che Sharon voglia proprio questo: non la pace ma facilitare, con il suo comportamento, la corsa verso il nichilismo. E' ciò che bisogna evitare ».
Che cosa pensa degli attentati suicidi? E' d'accordo?
« La lotta di un popolo per vedere riconosciuti i propri diritti è sacrosanta, e quando sei disperato usi tutte le armi che hai. Io però ritengo che vi siano forme infinite di lotta, senza dover ricorrere al suicidio, che l'Islam condanna ».
Pensa alla resistenza non violenta proposta da Mustafà Barghouti?
« Penso a tutto ciò che possa contribuire a creare un rapporto di comprensione con la società israeliana. Uccidere innocenti è un errore. Danneggia la causa palestinese, danneggia noi arabi, danneggia l'Islam. Bisogna tenere aperta la porta al dialogo. Altrimenti sarà una catastrofe ».
Professoressa, parliamo allora di Islam, di Corano, di martirio, di guerra santa.
« Riassumere è impossibile, ma devo dire subito che martirio non significa suicidio, e guerra santa non significa guerra di offesa. L'ignoranza che regna è abissale: dentro l'Islam e fuori dall' Islam, dove ci si limita a rassicuranti superficialità. Il Corano è di per sé un'interpretazione, e molti ulema, nell'interpretazione di un'interpretazione, sono rimasti a mille anni fa, senza tenere conto che il mondo è cambiato e che bisogna adattare l'insegnamento del Corano ai nostri tempi. Il sacro Testo non è statico, non è impositivo. Quanti sanno, ad esempio, che la prima città- stato, creata dal Profeta a Medina, era laica? Che la governante del Profeta era ebrea? Che i cristiani che incontravano il Profeta, pregavano nella moschea? Prendendo spunto dallo straordinario impatto di Internet e dalla sua immensa fluidità, ho scritto un saggio per spiegare cos'è un ' ipertesto', definendolo ' non solo sconosciuto, ma soprattutto percepito dai conservatori come nemico, con la sua provvisorietà, mobilità, indefinibilità, in quanto si contrappone, in modo palese, alla fissità e all'inamovibilità, in sostanza al rigido centralismo e autoritarismo imposto nella maggior parte delle società arabe e musulmane'. Io credo che il Corano non sia mai stato un testo sacro, ma appunto un ipertesto sacro, in quanto è infinitamente aperto, senza limiti di spazio e di tempo, soggetto a un'illimitata negoziazione del significato, nel vero senso del decostruzionismo di Derrida. Per negoziazione intendo il dialogo, senza mediazioni, fra Dio e l'uomo ».
Insomma, che cosa mi vuol dire?
« Che la nostra rivoluzione liberale è nel Corano, basta saperla leggere e cogliere.
Io credo che siano in tanti, nel nostro mondo, a comprendere che occorra cambiare, uscire dall'immobilismo e dall'ignoranza. L'importante è favorire queste forze, non umiliarle. L'ho detto anche ai congressisti americani, a proposito della Siria ».
In quale occasione?
«Un mese fa sono stata invitata negli Usa assieme a due colleghi. Abbiamo ascoltato cose inimmaginabili. L'analisi sulla situazione siriana in realtà non era un'analisi ma un'invettiva, intrisa di ignoranza, arroganza e minacce. Ho obiettato che, così facendo, si favoriscono e alimentano le forze dello scontro non quelle del dialogo. L'America è un grande Paese. C'è chi ha preso qualche appunto».
Non ho ancora capito se lei, definendosi liberale, concorda con il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà.
«Mi crede se le dico che sono ottimista anche con la ragione? E' un momento assai grave, ma nei momenti più gravi cresce e si diffonde la volontà di cambiare».
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