Sono case, non insediamenti
Ci casca anche Avvenire
Testata: Avvenire
Data: 24/10/2003
Pagina: 12
Autore: Graziano Motta
Titolo: Israele «forza». Nei Territori altre 323 case
Non vogliamo essere troppo severi con Avvenire, ma confondere nuovi insediamenti con la costruzione di case in villaggi gà esistenti non è corretto. La Road Map non ne fa addirittura cenno tanto è ovvio che se c'è bisogno di case queste vanno costruite.
Il titolo dell'articolo di Motta è molto fuorviante.
Ecco comunque l'articolo integrale.

Nella paralisi completa del processo di pace, il governo Sharon non tiene conto dell’impegno assunto con gli Stati Uniti di congelare l’espansione degli insediamenti di coloni nei Territori occupati, come previsto dalla Road map, e dà il via alla costruzione di altri 323 appartamenti.
I relativi bandi d’asta, pubblicati ieri dal ministero per l’Edilizia (il cui titolare è membro del Partito nazionale religioso, vicino al movimento dei coloni), riguardano 143 appartamenti nel villaggio di Karnei Shomron, vicino alla città di Ariel, nel cuore della Cisgiordania; e altri 180 appartamenti a Givat Zeev, da decenni quartiere satellite di Gerusalemme, ma considerato dai palestinesi un insediamento di coloni, al pari di altri che circondano la capitale.
Riesplodono così le polemiche. Il movimento pacifista "Peace Now", ricordando che dall’inizio dell’anno sono state indette gare d0appalto per 1.627 appartamenti, rimprovera al primo ministro Sharon di disattendere le risoluzioni delle Nazioni Unite e le sollecitazioni del Quartetto (Stati Uniti, Russia, Unione europea e Onu), di "beffarsi" del presidente Bush, nonché di «sfidare» il tentativo di dissuasione del Congresso americano (che impone di detrarre la somma spesa da Israele per le attività di edilizia nei Territori dai 9 miliardi di dollari promessi in garanzia all’accensione di prestiti) in un momento in cui, per le gravissime ristrettezze di bilancio, ha attuato drastici tagli alla spesa sociale. Tanto da portare all’esasperazione i sindacati che hanno proclamato uno sciopero illimitato generale dal 3 novembre se il governo non avrà fatto marcia indietro.
Ma ad acuire le tensioni che accompagnano la profonda crisi del processo di pace c’è anche la questione del simbolico patto di pace con i palestinesi predisposto dall’opposizione israeliana e che dovrebbe essere firmato il prossimo 4 novembre a Ginevra. Ieri, un gruppo di promotori di questo "accordo" hanno voluto illustrarne i contenuti al capo dello Stato, Moshe Katzav, che ha però preso le distanze da una iniziativa presentata invece come un passo nel tentativo di legittimare un pubblico dibattito.
Esponenti del Partito nazionale religioso hanno chiesto formalmente all’Alta Corte di giustizia di ordinare l0immediata cessazione dei contatti tra deputati dell’opposizione (laburisti e radicali guidati dall’ex ministro Yossi Beilin) e personalità palestinesi vicine ad Arafat (fra cui l’ex ministro Yasser Abed Rabbo) in base all’articolo 97 del Codice penale che contempla la condanna a morte di chi rechi danno alla sovranità dello Stato o ha l0intenzione di far trasferire o alienare territori dello Stato. Ipotesi ravvisabile nel cosiddetto "accordo di Ginevra" che è stato concluso con il sostegno finanziario e logistico del ministero degli Esteri svizzero e la mediazione di diplomatici di vari Paesi europei. Per queste stesse ragioni il deputato Shaul Ayalon aveva chiesto l’apertura (rigettata) di un’inchiesta al procuratore generale.
Intanto, continua la violenza. Ieri, un’auto è esplosa a Ramallah: l’uomo a bordo è morto, dilaniato dallo scoppio. Non è ancora stato accertato se si trattasse di un kamikase pronto a compiere un attentato con una bomba che, però, è detonata anzitempo. Nel campo profughi di Tulkarem, invece, sono stati trovati i cadaveri di due palestinesi rapiti e uccisi, con l’accusa di essere collaborazionisti d’Israele, da membri delle Brigate dei martiri di al-Aqsa.
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