Democrazia nel governo palestinese
questa e altre incredibili dichiarazioni di Shaath in un'intervista senza commento
Testata: Avvenire
Data: 15/10/2003
Pagina: 15
Autore: Barbara Schiavulli
Titolo: Shaat:
Il quotidiano cattolico pubblica una intervista a Nabil Shaat, ministro degli esteri del nuovo governo Abu Ala (anche se sarebbe più corretto chiamarlo governo Arafat). L'occhiello recita: "Sì che ci sono disaccordi nell'ANP, ma non è così in ogni democrazia?"
Averlo riportato così, senza il minimo commento, con l'intento di volerci far credere che il governo messo su da Arafat sia "democratico" è quento di più umoristico ci sia toccato di leggere in questi giorni. Umoristico ma anche tragico, perchè continuare a spacciare Arafat per un leader democratico è una delle operazioni politicamente più scorrette che si possano fare.
Naturalmente Barbara Schiavulli più che un'intervista ne fa un panegirico. Alle domande seguono risposte alle quali un intervistatore equidistante avrebbe fatto seguire per lo meno dei chiarimenti. Non così Schiavulli. Qualunque verità le arrivi da parte palestinese a lei va bene.
Persino quando chiede "cosa stanno facendo per risolvere il problema del terrorismo", si accontenta della incredibile risposta "Avevamo pensato di fare entrare membri di Hamas nel governo". Anche qui nulla da ribattere.
Ecco l'articolo:

Qualcuno lo ha definito "il vero potere dietro al trono di Arafat": Nabil Shaath è il ministro degli Esteri del nuovo governo di emergenza palestinese. E qualora Abu Ala decidesse di non ripresentarsi per la carica, come minaccia, Shaath diventerebbe uno dei candidati possibili per questo ruolo. Uomo colto, elegante, e di spirito, non è certo un volto nuovo della politica palestinese.
Ha fatto parte di quasi tutte le delegazioni per i negoziati di pace degli ultimi vent'anni. Ministro della Pianificazione e della Cooperazione internazionale dal 1994, entrano nel 1996 in Parlamento. Membro della Commissione centrale di al-Fatah e della delegazione palestinese che nel 1991 partecipò alla conferenza di Madrid che portò ai negoziati di Oslo e Washington. Fu a capo della delegazione che accompagnò Yasser Arafat al suo famoso discorso alle Nazioni Unite nel 1974. Shaath, a Ramallah, ha appena finito di incontrare i diplomatici internazionali: ha spiegato la situazsione di Rafah, il campo profughi nella Striscia di Gaza distrutto da una violenta incursione israeliana.

Dottor Shaath, c'è un po' di confusione riguardo al nuovo governo palestinese, soprattutto intorno alla questione del ministro degli Interni.
E' stato deciso di non nominare nessun ministro degli Interni - dice offrendomi un pezzo della sua mela - questo è il mio pranzo oggi. La posizione sarà sotto il controllo del primo ministro Abu Ala. Quello che stiamo cercando di fare è di porre alcuni cambiamenti strutturali all'interno delle forze di sicurezza. E' stato difficile formare un governo più grande a causa dell'estrema competizione che c'è all'interno del Parlamento. Agirà per 22 giorni, ma lo farò come se durasse a lungo. Dobbiamo affrontare i problemi di un qualsiasi governo regolare. Senza contare che siamo in una situazione di emergenza. Nel frattempo getteremo le basi per il governo successivo, più ampio e probabilmente basato su questo.

Tutti si chiedono perchè ci avete messo così tanto.
Non è facile lavorare quanto c'è un'invasione di mezzo. Senza contare le polemiche. Al-Fatah è il partito più grande e poi ci sono una serie di piccoli partiti e tutti possono proporre i propri candidati. Quindi si discute sempre. Ma questo è anche ciò che fa di noi una vera democrazia.

Che cosa ha reso la situazione più critica del solito?
L'incursione di Rafah è un esempio di quello che sta accadendo. Bisogna fermare gli israeliani. Non abbiamo carri armati per affrontarli. Possiamo solo chiedere l'intervento del resto del mondo. Dobbiamo dialogare con gli israeliani e insistere sul processo di pace come unica soluzione. Se potessimo avere i soldati delle Nazioni Unite sarebbe già un passo avanti, ma l'America porrebbe sicuramente il veto.

Chiedete sempre l'aiuto degli americani, ma sembra non arrivare mai.
Sono convinto che gli americani erano veramente interessati a lavorare con noi, dopo l'intervento in Iraq, ma tra le elezioni e i problemi interni che hanno, non siamo più una delle loro priorità. Non hanno mantenuto nessuna delle promesse. Anche con il Quartetto (Usa, Nazioni Unite, Europa e Russia), i promotori della Road Map) non ci sono progressi.

Che cosa state facendo per risolvere il problema del terrorismo?
Avevamo pensato di far entrare membri di Hamas nel governo: sarebbero stati costretti a firmare una tregua. Ma il cessate al fuoco non è qualcosa che si fa da soli. E gli israeliani non ci sono di alcun aiuto.

Che ne pensa del "piano Marshall" proposto da Berlusconi?
Non abbiamo ancora in mano il piano completo. Comunque ci sono delle idee, ma non abbiamo visto niente di concreto. Resta il fatto che per noi l'Italia è sempre stato un Paese amico. Siamo disposti ad accettare tutto l'aiuto che ci viene offerto.

Parliamo di Arafat: a volte si ha la sensazione che sia diventato un elemento di divisione all'interno dell'Autorità Palestinese.
Arafat è il nostro leader. E' stato democraticamente eletto ed è un eroe nazionale e storico. E prigioniero nel suo quartier generale, sotto costante minaccia di morte. E questo è rischioso per lui e per noi. Certo che ci sono disaccordi, ma alla fine, come dicevo prma, fanno parte della democrazia.

Non ha risposto, ma non importa. Mi dica invece: potrebbe essere il nuovo primo ministro nel prossimo governo?
Che Dio me ne scampi!
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