Il Manifesto fa scuola
L'Eco di Bergamo è un bravo allievo
Testata:
Data: 14/10/2003
Pagina: 1
Autore: Alberto Carrara
Titolo: Il nuovo muro d'Israele diventa un caso all'Onu
Sull'Eco di Bergamo, giornale della Curia, non da oggi escono articoli pesantemente ostili a Israele. Quello di oggi, volgare nella sua pesantezza, non è che l'ultimo in ordine di tempo. Non lo commentiamo. Basta leggerlo. Invitiamo i nostri lettori, in modo particolare quelli cattolici, a scrivere il loro parere al giornale bergamasco.
Le suore della Carità a Betania si son viste arrivare qualche giorno fa gli ingegneri e i tecnici dell'esercito di Israele in casa, seguiti dai bulldozer e dai camion. Sono entrati in giardino senza tanti complimenti. Anche di lì deve passare il Muro della vergogna, quello che rischia di mettere definitivamente fine ad ogni sogno di convivenza tra israeliani e palestinesi. Hanno cominciato da Nord, dalla Galilea e dalla valle del Giordano e ora sono arrivati alle porte di Gerusalemme. Passerà appena dietro il Monte degli Ulivi, esproprieranno terre dei greco-ortodossi e dei francescani. È questa la vera «road map», una barriera impenetrabile che cambierà la mappa geografica della Terra di Gesù, barriera di sicurezza per Israele, barriera dell'apartheid per i palestinesi.
Oggi è il Muro che realizza il sogno dell'esistenza dei due Stati, contro ogni dialogo, contro ogni piano di pace, contro ogni risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Dopo la Muraglia cinese sarà la più grande barriera di divisione dei popoli al mondo. E oggi a New York, in una seduta che molti Stati hanno voluto pubblica, il Consiglio di sicurezza affronterà la questione. C'è un documento presentato dalla Siria a nome del gruppo arabo all'Onu dove la costruzione del Muro è definita una violazione del diritto internazionale e se ne chiede la condanna, davanti a tutto il mondo.
Le imprese edili ebraiche fanno affari d'oro con il Muro e ormai in Israele i pochi pacifisti rimasti definiscono «Wall Street» – scherzando con sarcasmo sulla parole inglese «wall», cioè muro – la manna d'oro piovuta sulle aziende dopo la decisione del primo ministro.
I muri esibiscono soprattutto la debolezza di chi li ha costruiti. Chi li costruisce ha soprattutto paura, infatti, e, alla fine, non riesce a superare né i nemici, né la paura dei nemici.
Di tutti i muri che hanno invaso cronaca e storia, quello che fa parlare di più oggi è il muro che il governo Sharon sta costruendo per dividere territori israeliani da quelli palestinesi. Fa parlare per i risvolti politici di quell'impresa. Ma non solo. È noto che anche in Israele, a suo tempo, si discusse molto se costruire o no quel muro. I due «partiti» si erano divisi accanitamente, ma con strane spaccature interne. Accanto ai militari e ai politici favorevoli esistevano, naturalmente, i pacifisti che erano contrari. Ma contrari erano anche alcuni ultraconservatori ebrei che vedevano nel muro la sanzione di uno status quo di una terra definitivamente assegnata agli aborriti nemici palestinesi. Così, attorno al muro che doveva ancora essere costruito, gli estremi si erano toccati, in quel paese dove spesso gli estremi dettano la legge e fanno scoppiare le guerre. Quella discussione ritorna alla mente, mentre oggi si parla di nuovo di quel muro e dei suoi significati. Si vede subito che il muro non è solo una bislacca trovata di strategia militare, ma è una provocazione sulla radice più profonda da cui tutta l'esperienza di Israele nasce e sul suo rapporto con la Bibbia e con Dio.
Si pensa, infatti, a molti passaggi biblici tutte le volte che ci si trova di fronte a una così smaccata esibizione di forza. La Bibbia, come si sa, dice quasi tutto. E, tra le altre cose, esalta anche la forza e la guerra, fino sentirle, l'una e l'altra, come «sante». Ma il testo sacro presenta molto più spesso il contrario: lo smantellamento della forza, soprattutto quando questa «dimentica» Dio. «Chi si vanta dei carri e chi dei cavalli, noi siamo forti nel nome del Signore nostro Dio» (salmo 20). Il credente ebreo si rifà continuamente all'esperienza dell'esodo. Allora, il possente esercito del faraone venne distrutto dalla forza sovrana di Dio. «Così dice il Signore… che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; essi giacciono morti: mai più si rialzeranno; si spensero come un lucignolo, sono estinti», (Isaia). Così il muro che si oppone ai nemici è esibizione della forza propria. Israele che si sente accerchiato, si protegge. E ha diritto di farlo, aggiunge qualcuno. Può darsi. Ma Israele è debitore anche degli ammonimenti più autorevoli, dei quali tutta la sua memoria è intessuta. E allora, di fronte a quegli ammonimenti, spesso la sua forza diventa debolezza. Il ricordo corre allora a un altro muro, cuore simbolico, insostituibile, di tutto l'ebraismo. È il muro del Pianto.
È quel frammento potente del tempio di Gerusalemme, tempio che non esiste più e che regge la spianata delle Moschee, dove sorgono, appunto, le moschee di Omar e di El-Aqsa. Il muro che doveva sostenere il tempio, sostiene le moschee. Il muro che dovrebbe difendere non difende più nulla. Per questo il muro del Pianto è diventato un cumulo di simboli. Come ogni muro, soprattutto quello, rimasto solo, rimanda a un misterioso al di là e può essere visto come un simbolo straordinariamente moderno di Dio. Anche l'uomo di oggi cerca Dio e spesso lo trova facilmente, troppo facilmente. Allora è come se si trovasse di fronte un muro molle che cede alla prima spallata, e spesso, di là, l'uomo trova esattamente quello che si trova di qua, e Dio è la fotocopia del mondo. Invece quando l'uomo, per trovare Dio, deve sbattere contro un muro, allora, certo, rischia di non trovare nulla. Oppure, anche questo succede, rischia di scambiare la ruvidezza del muro con quello che cerca al di là. Perché, più è forte il desiderio di trovare e più è ruvido l'ostacolo da superare e più è alto il rischio di fermarsi al muro e di pensare che quello è precisamente ciò che si voleva trovare. Allora, per non scambiare il muro con ciò che si cerca oltre il muro e per non disperare di trovare, alla fine, è necessario una Parola che faccia da guida. Per questo il muro del Pianto, pieno della memoria biblica, è un potente richiamo a Dio e alla dolcezza inenarrabile di ciò che si trova alla fine, al di là di tutti gli ostacoli.
Così i due muri, quello del Pianto e quello costruito da Sharon, sono le parabole di due atteggiamenti dell'uomo. Talvolta ci si chiude e il muro altissimo è segno di una grandissima paura che non porta a nulla. Talvolta ci si apre e allora ogni muro, anche quello possente del Pianto, può diventare una fragile pellicola che lascia intravedere un Altrove.
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