Sicurezza ?
L'equilibrio di Motta o la propaganda di Schiavulli ?
Testata: Avvenire
Data: 02/10/2003
Pagina: 13
Autore: Motta-Schiavulli
Titolo: A proposito del "Muro"
Oggi, 2-10-2003, tutti i giornali danno rilievo, chi più chi meno, al cosiddetto muro. Che sia una barriera difensiva sembra non interessare ai nostri commentatori. Riportiamo a parte la pagina dell'Unità perchè particolarmente astiosa. Ma non sono da meno IL MESSAGGERO, con un articolo di Eric Salerno sostanzialmente ostile alle ragioni di Israele. Così come scrive EUROPA in prima pagina "Israele va avanti con la costruzione del muro: altri 45 Km per chiudersi nei confini del 1967", un pezzo non firmato ma che non tiene in alcun conto le ragione di sicurezza di Israele.
Particolarmente velenoso il pezzo di Barbara Schiavulli su AVVENIRE. Sotto un titolo che non si capisce bene se ironico oppure no ("I palestinesi di Yanoun: la barriera ? Serve a noi. Per proteggerci") la giornalista racconda tutte le "nefandezze" che i coloni compiono contro gli abitanti del piccolo villaggio palestinese.
Sempre su Avvenire,l'articolo di Graziano Motta, che affronta la tutt'altro che semplice questione della barriera di sicurezza con il solito equilibrio, dando la parola a israeliani e palestinesi.
Lo riportiamo integralmente.

«Sì al Muro» Le modifiche non fermanole proteste

Da Gerusalemme Graziano Motta

Sharon e il suo governo di coalizione a larga maggioranza ha deciso ieri di proseguire la costruzione del muro di separazione con la Cisgiordania per impedire l'infiltrazione di militanti palestinesi. Per non contrastare completamente le richieste degli Stati Uniti che si erano opposti al tracciato della «barriera di sicurezza», sarà lasciato un varco in corrispondenza dell'insediamento di Ariel.
Il progetto prevede comunque che la colonia, così come altre quattro vicine, siano protette da sbarramenti a forma di ferro di cavallo, che potranno poi essere tutti collegati al ramo principale. Fra otto mesi si farà una valutazione e si deciderà se chiudere il «cordone sanitario».
Il nuovo ramo di 45 chilometri andrà dall'insediamento di Elkana, nel nord della Cisgiordania, alla base militare di Ofer che si trova nelle vicinanze di Gerusalemme e costerà 100 milioni di dollari. L'esecutivo ha preferito dunque per il momento non affrontare il nodo Ariel, con i suoi 18mila abitanti la seconda più importante colonia nei Territori. Per comprenderla nel tracciato originario, che prevedeva un passaggio a est dell'insediamento, sarebbe stata necessaria una deviazione di 20 chilometri in territorio palestinese e proprio questo aveva sollevato grandi proteste. Alla fine, solo 4 dei 22 ministri hanno comunque votato contro e sono i rappresentanti dei partiti di destra.
La sezione principale di nuova realizzazione correrà lungo la Linea Verde, il confine fissato dopo la guerra del '67, mentre bracci più corti circonderanno da est Ariel, Elkana, Gush Etzion e Binyamin, così come Har Hebron. Il governo ha pure disposto lo spostamento del tracciato, sempre per allontanarlo dal territorio palestinese, un po' più a est dell'aeroporto internazionale Ben Gurion e il suo attraversamento in due punti della superstrada dalla città di Modiin a Gerusalemme. Alla periferia della capitale, nel quartiere arabo di Abu Dis, è stato disposta la modifica del tracciato presso l'università is lamica al-Quds.
Scontate come positive le prime reazioni del Consiglio dei coloni di Giudea e Samaria, molto critiche invece quelle dell'opposizione di sinistra: per il laburista Matan Vilnay, ex ministro e generale della riserva, la decisione è stata «scandalosa» perché le brecce alla barriera «saranno un colabrodo per i terroristi».
I palestinesi hanno denunciato la decisione del governo israeliano, poiché - hanno affermato - altri 80.000 abitanti della Cisgiordania verranno isolati o rinchiusi in «enclaves». Ma soprattutto perché, ha affermato il negoziatore capo Saeb Erekat, con l'inclusione di Ariel nella barriera di sicurezza, «Israele cerca d'imporre fatti sul terreno».
Nei Territori non si arresta intanto la caccia delle unità scelte israeliane ai miliziani palestinesi ricercati. Nelle ultime 24 ore, sono stati presi di mira in Cisgiordania quelli integralisti della Jihad islamica, due dei quali - Nazen Badawi e Rabah Abu Dakka (25 e 24 anni) - sono stati uccisi a Tulkarem, mentre un terzo - Bassam Saadi (42 anni) - è stato catturato a Jenin.


Riportiamo per completezza di informazione, il pezzo della Schiavulli. Ogni giornale ha l'igorman che si merita. Quello di Avvenire si chiama Schiavulli.
I palestinesi di Yanoun: «La barriera? Serve a noi. Per proteggerci»

Gli abitanti di un piccolo villaggio arabo circondato da un insediamento ebraico: «Arrivano qui tutti i giorni Sparano, ci terrorizzano»

Da Yanoun (Cisgiordania)
Barbara Schiavulli


Quello di Itamar è uno degli insediamenti ebraici che rimarranno fuori dalla "barriera di sicurezza", quella che il governo israeliano sta costruendo. Sorto nel 1993, ci abitano circa 500 famiglie di coloni. Con il trascorrere degli anni, la colonia si è ingrandita e collina dopo collina, ha circondato un piccolo villaggio arabo. Yanoun, se non per una strada che finisce con un posto di blocco, è stato tagliato fuori dal resto del mondo.
Sorge nel centro di una piccola valle circondata da colline coperte di ulivi e popolato di gazzelle. I tronchi degli alberi sono così vecchi e contorti che potrebbero raccontare la storia del paese. Al tempo dei Romani, il villaggio si chiamava "Iano". Per secoli qui si è prodotto uno degli olii migliori della Palestina. Yanoun non è un posto pericoloso: 94 abitanti, tra cui 30 bambini, molti anziani, otto maggioloni, un generatore, un pozzo, qualche casa sulla collina e qualche casa sotto, e un'infinita distesa di ulivi e di pecore. Nessun comfort moderno: questo paese sembra piacevolmente intrappolato nel passato.
Vi abitano anche una decina di volontari europei, che, a rotazione, dal 1996 proteggono con la loro presenza il villaggio. Da Yanoun non si vede Itamar: solo un faro che funziona la notte e illumina a intermittenza le case dei palestinesi. Non si vede nulla, eppure la presenza dei coloni è negli incubi degli abitanti. Molti di loro, sono stati feriti, alcuni uccisi, tutti sono spaventati.
Lo scorso ottobre, tranne due famiglie e i volontari, sono tutti scappati. Poi, dopo qualche giorno, sono tornati, perché la loro vita è lì, nonostante tutto. «Non riusciamo a sistemare l'elettricità; i coloni sono scesi tre volte e hanno sparato in aria per spaventare gli operai», ha raccontato Adnan Abu Hani, un ingegnere trentenne, membro del Consiglio comunale. Adnan zoppica e ogni tanto si massaggia la gamba: il mese scorso, un colono gli ha sparato perché cercava di salvare una pecora che stavano rubando. «Vogliono farci andare via di qui, ma non ci riusciranno, noi siamo parte di questa terra».
Da tre anni non possono raccogliere le olive e non possono oltrepassare l'ultima casa del paese per portare le pecore a pascolare. I bambini hanno paura di andare da una casa all'altra o di dormire vicino alle finestre perché potrebbe arrivare qualche proiettile. Gli abusi sono continui e sistematici. Ogni giorno i coloni armati scendono per fare il bagno ai cani nell'acqua del pozzo. «Due giorni fa sono venuti quelli di Medici nel mondo per prendere un campione di acqua del pozzo - ha detto Myriam Khelfi, una volontaria francese che da tre mesi vive a Yanoun -: ci siamo accorti che i coloni hanno gettato qualcosa dentro e questa è l'unica fonte d'acqua che abbiamo, speriamo non sia stato avvelenato».
In un angolo di una casa, una donna cuoce il pane arabo, circondata dalle sue bambine. «Spero davvero che ci sia pace, un giorno - dice Adnan -: la seconda Intifada è stata un grande errore palestinese, siamo tornati indietro di dieci anni. E le persone piene di odio hanno preso il sopravvento, dall'una e dall'altra parte. Non è quello che vogliamo».
Abu Hani, 80 anni, 15 figli, ha vissuto tutta la sua vita in questo villaggio. Suo fratello, Abu Hamer, 75 anni, gli siede accanto. Sono vestiti uguali. Da qui non se ne sono mai andati, neanche per un giorno. «Si stava bene quando c'erano i Giordani (anni '50), quelli erano tempi d'oro -, ricorda Abu Hani -. E si sta male adesso, ma dove posso andare? Il muro dovremmo costruirlo noi: per proteggerci da loro».



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