Said: due foto con didascalie a confronto
Corriere corretto, Stampa non la dice tutta
Testata:
Data: 26/09/2003
Pagina: 29
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: E' morto Edward Said
E' morto Edward Said,il teorico dello stato binazionale, per intenderci quello stato dove la maggioranza è arabo-palestinese e gli ebrei minoranza, Dhimmi, come lo sono sempre stati negli stati arabi. Cittadini di seconda classe. E' morto. Pace all'anima sua. Molti giornali hanno pubblicato una sua foro famosa. Ce la racconta bene Maurizio Molinari nel servizio sulla Stampa. Ma lo stesso quotidiano, non così corretto nel descivere l'immagine che pubblica. Infatti si "dimentica" di scrivere contro chi Said lanciava le pietre. Mentre lo fa il Corriere. E poi, se la memoria non ci inganna, come non ci inganna, la foto di Said quando fu scattata era un po' più ampia. Lo ritraeva sì a lanciare pietre contro i soldati israeliani, ma accanto a lui c'era il suo figlioletto, al quale, evidententemente, stava insegnando come deve comportarsi un buon musulmano. Anche lui nella foto alzava il suo braccino contro i soldati d'Israele. Fine intellettuale lo fu sicuramente. Nemico della pace e sostenitore della scomparsa dello stato d'Israele anche. Riposi in pace.

Ecco i due titoli di Stampa e Corriere.
Dopo riportiamo l'articolo di Maurizio Molinari, molto corretto.

La Stampa, pg. 29
"La doppia vita di Said, patriota delle cause perse"
didascalia: Edward Said nella famosa fotografia davanti alla porta di Fatima, nell'estate 2000, sul confine israelo-libanese"

Corriere della Sera, pg. 39
"Addio a Said, voce della Palestina censurata dagli integralisti"
didascalia: Said a Kfar Kila in Libano, nel 2000, mentre scaglia una pietra contro le linee israeliane"

-Testo integrale di Maurizio Molinari- La Stampa
Occhiali da sole, cappello e capelli grigi Edward Said venne immortalato in Libano nel giugno del 2000, un mese dopo il ritiro israeliano, mentre dispiegava il braccio per lanciare un sasso contro una postazione dell'esercito di Gerusalemme sul lato opposto del confine. Lo scatto di un'agenzia francese riassunse quella che lo stesso Said ebbe modo di definire come la sua doppia appartenenza: da un lato l'orientalista di valore della Columbia University, dall'altro il politico militante a favore del nazionalismo palestinese e radicalmente ostile al sionismo. Per ripercorrere il doppio binario dei 67 anni di Said - morto ieri di leucemia in un'ospedale di New York - la tappa iniziale è la Gerusalemme sotto mandato britannico, anno 1947, quando le Nazioni Unite decidono di dividerla fra ebrei ed arabi assieme all'intera Palestina ad ovest del Giordano. La decisione del padre, un facoltoso uomo d'affari cristiano, fu di abbandonare casa, lavoro ed abitudini per andare in esilio al Cairo, dove Edward avrebbe avuto il meglio che la borghesia araba dell'epoca poteva offrire, a cominciare dagli studi al «Victoria College» dove incontrò sui banchi il futuro re Hussein di Giordania e l'attore Omar Sharif. La padronanza degli studi lo portò negli Stati Uniti dove si laureò a Princeton, prese il master ad Harvard e quindi arrivò ad ottenere la cattedra alla Columbia di studi inglesi, a sottolineare il successo ottenuto dalla sua volontà di integrarsi. Linguista, arabista ed orientalista racchiuse le sue tesi sul rapporto fra Occidente ed Oriente nel suo Orientalism (uscito nel 1978) nel quale presentava una visione della Storia secondo cui il potere della cultura è intrinsecamente legato al potere di dominare e quindi il dominio dell'Occidente nasceva dal fatto di aver costantemente descritto l'Oriente come un mondo corrotto, tirannico, arretrato e svogliato: «Sin dall'Illuminismo ogni europeo che ha scritto o parlato dell'Oriente è stato un razzista, un imperialista ed un quasi totale etnocentrico». Influenzato da pensatori francesi come Franz Fanon, Michel Foucault e Claude Levi-Strauss, Said è stato fra i primi a portare in America il dibattito su cultura e potere, trasformando l'anticolonialismo politico degli anni Sessanta in una sfida aperta e dura all'approccio avuto dalla cultura occidentale all'Islam. Come dimostra il suo giudizio sui romanzieri dell'Ottocento e del Novecento, ai quali imputava la legittimazione del colonialismo politico e militare. «Non sono mai riuscito a sentirmi patriota di niente altro che delle cause perse» soleva ripetere, e scrivere.
Apprezzato da pochi e contestato da molti per le sue tesi accademiche spesso provocatorie, Edward Said ha vissuto la sua seconda vita nella militanza nazionalista palestinese. Membro del Consiglio nazionale palestinese dal 1977 al 1991 e tenace sostenitore dei diritto dei profughi palestinesi al ritorno, contestò Yasser Arafat dopo gli accordi di pace di Oslo del 1993 - da lui definiti la «Versailles palestinese» - accusandolo di aver ottenuto troppo poco, in termini di terra e di sovranità. L'opposizione alla pace con Israele - elaborata in testi come A Question of Palestine e The End of the Peace Process - nasceva da un'ostilità mai nascosta nei confronti del sionismo e della nascita dello Stato di Israele: la sua idea, mutuata dai trotzkisti russi di inizio Novecento e in seguito fatta propria dal colonnello libico Muhammar Gheddafi, era che ebrei e palestinesi avrebbero dovuto vivere assieme in uno Stato binazionale. L'Olp di Arafat aveva abbandonato questa l'idea per Oslo. «Il merito di Said è stato quello di far coincidere il patriottismo palestinese ed il rifiuto del sionismo con l'idea della coesistenza israelo-palestinese» ha detto di lui Abdelwahab al-Badrakhan. Sempre a Said è stata attribuita la responsabilità di aver suggerito ad Arafat nell'estate del 2000 di rifiutare l'accordo di pace offerto da Bill Clinton ed accettato dal premier israeliano Ehud Barak.
Metodico ed affidabile nell'esporre le sue tesi sull'orientalismo Said è stato spesso messo all'indice per le focose posizioni prese sul Medio Oriente. Come ad esempio quando si limitò a descrivere Abu Abbas come «un degenerato» dopo il sequestro dell'Achille Lauro - costato la vita all'ebreo Leon Klinghoffer - scegliendo invece di definire «terroristi» leader israeliani come Begin, Shamir e Sharon. La rivista Commentary lo accusò di essere un «Professor of Terror» ma lui non accettò mai alcun compromesso sull'idea di fondo che «le vittime sono i palestinesi perché sono stati privati di tutto» al punto che «ricorrere alla violenza ed al terrorismo diventa comprensibile». Appartenente alla chiesa episcopale e marito di una quacchera - da cui poi divorziò per risposarsi - Said è stato fino alla fine un difensore tenace dell'Islam non solo dal dominio culturale dell'Occidente ma anche da leader nei confronti dei quali non celava il disprezzo. Come nel caso dell'ayatollah iraniano Khomeini, che condannò per aver decretato la fatwa contro Salman Rishdie, o dell'ex presidente siriano Hafez al-Assad, a cui imputò di essere «un terribile dittatore» così come aveva fatto con Saddam Hussein, pur pronunciandosi contro tanto alla prima guerra del Golfo del 1991 che all'ultima campagna militare di «Iraqi Freedom».
In prima fila a duellare con lui è sempre stato l'orientalista di Princeton Bernard Lewis secondo cui l'approccio di Said al rapporto Occidente-Oriente «pose un problema vero ma riducendolo ad una polemica politica per fini personali».
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