Abbiamo ricevuto dai lettori richieste di chiarimenti, in poche parole da che parte stiamo. Informazione Corretta non sta da nessuna parte. Quando c'è da criticare critica, quando ci sono dei meriti da segnalare, lo fa. Ora è indubbio che la politica estera italiana è cambiata nei confronti di Israele e del mondo arabo di parecchio da quando c'è il governo Berlusconi. Quello è il nostro campo e non altri. Se domani Berlusconi dovesse esprimersi nei confronti di Israele come hanno fatto, per esempio, D'Alema o Dini, noi prenderemmo subito posizione. Ma solo allora e mai per preferenza di partito.
pag.2: A New York ebrei divisi sull’omaggio al premier italiano
di Alessandra FarkasAndare o non andare? Indignarsi o applaudire? L'amletico dilemma posto dal premio assegnato ieri sera a Berlusconi dall'associazione ebraica Anti-Defamation League in una cerimonia al Plaza di New York ha diviso la comunità ebraica americana ancor più di quella italiana.
Molti ebrei newyorchesi hanno appreso per la prima volta la controversia da una lettera firmata da tre premi Nobel per l'Economia - Franco Modigliani, Paul Samuelson e Robert Solow - pubblicata ieri dal New York Times con un titolo da editoriale: «Un premio scioccante». «L'iniziativa dell’Adl è un male per gli ebrei, un male per l'Italia, un male per gli Stati Uniti e perfino un male per Israele», scrivono i tre Nobel. Una lettera che il presidente del Consiglio non ha commentato: «Non leggo cose ispirate dal pregiudizio».
«Francamente non capisco i motivi dello sdegno - li contraddice Daniel Goldhagen , autore di I volonterosi carnefici di Hitler e Una questione morale: la Chiesa cattolica e l'Olocausto -. Nel mondo della politica dominato da leader profondamente lacunosi, compromettere valori importanti in nome di altri valori importanti accade tutti i giorni, ovunque».
«Il gesto della Adl è schizofrenico - punta il dito Elan Steinberg , membro del comitato esecutivo del World Jewish Congress, che ha snobbato l'evento -. Berlusconi è sì un amico di Israele e un nemico dei terroristi però le sue frasi su Mussolini hanno causato enorme dolore. Avrei preferito che il premio fosse andato ad Elie Wiesel o Rudy Giuliani».
Anche Clyde Haberman , ex corrispondente da Roma e Gerusalemme del New York Times e oggi uno dei suoi columnist di punta ha deciso di stracciare l'invito. «Questo premio è la dimostrazione di quanto tormentati siamo oggi noi ebrei americani nella nostra difesa di Israele - spiega Haberman -. Fino ad un paio di anni fa sarebbe stato impensabile premiare uno come Berlusconi».
«Stiamo assistendo ad un riallineamento radicale di alleanze a causa di Israele - incalza Haberman -: oggi gli ebrei antepongono la loro ebraicità all'ideologia politica di destra o sinistra. Si sentono attaccati, isolati e perseguitati dal resto del mondo ma senza il lusso di criticare i pochi amici. Più che dalla convenienza questo matrimonio è dettato da paura e confusione».
Ancora più caustico il rabbino Michael Lerner , direttore della rivista della sinistra ebraica Tikkun ed ex consigliere di Clinton. «Questo riconoscimento simboleggia il ruolo distorto esercitato da Israele nello spingere alcuni ebrei tra le braccia dei protofascisti», afferma Lerner. «Ma è colpa della crudeltà storica dell'Europa contro gli ebrei - incalza -, così traumatizzati da allearsi con gente la cui politica è la negazione stessa dei più alti valori della nostra tradizione».
Seth Lipsky, l'influente direttore del quotidiano conservatore New York Sun è stato tra i primi ad applaudire l'iniziativa della Adl. «I temi più importanti sulla scena internazionale oggi sono la lotta dell'America e delle altre democrazie contro il terrorismo e per estendere la libertà in Medio Oriente - afferma -. Noi siamo grati a Berlusconi per aver appoggiato la nostra guerra contro Saddam Hussein, che pagava sottobanco i kamikaze per bombardare i bar mitzvah e i matrimoni a Gerusalemme».
Secondo il leader di una grande organizzazione ebraica che preferisce restare anonimo «la Adl è un gruppo opportunistico e di destra che premia Berlusconi per compiacere George W. Bush». Anche se ciò fosse vero, Benjamin Meed , presidente della American Federation of Jewish Holocaust Survivors, ritiene che «Foxman sa quello che fa e se gli dà un premio vuol dire che se lo merita».
«Per noi se lo stramerita», gli fa eco il rabbino Abraham Cooper , vice-presidente del Centro Simon Wiesenthal di Los Angeles. «Per oltre 30 anni i governi italiani hanno ignorato le nostre richieste per incriminare centinaia di criminali nazisti a piede libero che avevano trucidato italiani, neppure ebrei - spiega Cooper -. Berlusconi è stato il primo a collaborare, portando all'arresto di Karl Hass e Eric Priebke, che per anni hanno trascorso vacanze romane, protetti ed accolti dalle autorità».
«Come presidente del Centro per la Storia Ebraica Jivo anch'io mi congratulo con Foxman per questa meritata onorificenza», gli fa eco Bruce Slovin . Alcuni giornali hanno scritto che con questo premio si spera che Berlusconi possa intercedere presso i leader europei spingendoli ad ammorbidirsi nei confronti del governo Sharon.
Ma la tesi non convince George Pavia , celebre avvocato di origine italiana costretto a scappare in Usa nel ’40 dalle leggi razziali di Mussolini. «Non mi risulta che Berlusconi abbia presa sul resto d'Europa - spiega Pavia -, troppe gaffe». «Questo premio mi riempie di tristezza perché è solo un gesto politico e Berlusconi non se lo merita - incalza -. La situazione creata in Italia dall’attuale governo è tragica e non mi spinge di certo al rimpatrio».
Berlusconi, prima pagina de Il FoglioNew York. Un amico è un amico anche quando parla in modo inappropriato. Così la
pensa Abraham Foxman, capo dell’organizzazione ebraica Anti-Defamation League
(Adl) che, nonostante le polemiche della comunità ebraica italiana, ha deciso di premiare Silvio Berlusconi con il Distinguished Statesman Award. "Avrei preferito che non dicesse nulla – ha dichiarato Foxman – ma quello che ha detto non è tanto grave da far terminare il nostro rapporto d’amicizia". Secondo il New York Sun la comunità ebraica americana è molto più attenta al
progetto politico di Berlusconi che alle parole che ogni tanto gli scappano. Foxman ne parla in modo quasi paternalistico, ammettendo la fragilità del premier italiano nell’esprimersi in modo troppo istintivo, ma allo stesso tempo sottolineando l’importanza dell’appoggio che l’Italia ha dato a Israele e
all’America nella lotta contro il terrorismo. Non a caso lo stesso premio è stato ricevuto in passato anche da Giulio Andreotti, Jacques Chirac, e Madeleine Albright: l’Anti- Defamation League non sembra preoccuparsi molto del contesto politico dei leader che premia, quanto piuttosto della determinazione con cui sanno difendere gli interessi di Israele. Fino all’ultimo si sono sentite voci di dissenso: Franco Modigliani, Paul Samuelson e Robert Solow hanno scritto al New York Times che l’appoggio di Berlusconi a Israele non è sufficiente a giustificare gli strafalcioni storici su Mussolini.
Ma alla lettera dei tre premi Nobel Kenneth Jacobson, direttore dell’Adl,
risponde ricordando le scuse di Berlusconi e la loro accettazione da parte degli ebrei italiani. Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità
ebraiche, ha infatti detto di aver superato la polemica e di attendere ora "atti concreti nell’interesse comune". La festa quindi ci sarà eccome. Nella lista degli invitati alla cena di gala di ieri sera al Plaza Hotel compaiono molti personaggi d’eccezione: il governatore e il sindaco di New York, George Pataki e Michael Bloomberg, Hillary Clinton, Mortimer Zuckerman, editore del Daily News. Ancora in forse Henry Kissinger, che qualcuno vuole atteso anche al Waldorf Astoria per per l’Animal Medical Center Top Dog Gala.
Un’accoglienza calorosa che cozza con chi, come Tullia Zevi, continua a considerare questo premio non soltanto inopportuno, ma addirittura offensivo.
Ruolo vitale per l’Onu, attenzione all’Iran
Le scelte filo-atlantiche di Berlusconi, confermate nel colloquio di ieri con Bush e Powell, sono strategiche in questi giorni in cui alla 58a Assemblea generale dell’Onu si discute non solo di Iraq, ma anche di multilateralismo, di legittimità internazionale, di lotta al terrorismo e alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. Come presidente di turno dell’Unione europea, Berlusconi si è accollato il difficile compito di ricomporre la frattura transatlantica. La passeggiata a Manhattan con Chirac è sembrata un buon primo passo: il presidente francese, oltre ad aver confermato l’appoggio alla presidenza italiana dell’Ue, ha moderato i toni nei confronti della politica americana, anche se nel discorso all’Onu sono tornate le critiche nette all’unilateralismo di Bush. Nei confronti dell’Eliseo è poi riapparso qualche malumore tra i diplomatici italiani al Palazzo di vetro quando Chirac davanti all’assemblea ha auspicato una riforma del Consiglio di sicurezza con l’accettazione anche della Germania di Schroeder, alleato di Parigi, e del Giappone. Cioè, Italia esclusa? Proprio mentre Berlusconi si accingeva a pronunciare un discorso istituzionale, che "ha avuto il benestare di tutti i venticinque paesi europei", e a richiedere un ruolo vitale dell’Onu nel ripristino della sovranità in Iraq e nel mettere in guardia tutti dalla minacciosa ambizione nucleare iraniana. Difficile, ancora una volta, parlare in nome di una politica unitaria spesso vittima degli interessi nazionali, così cari Oltralpe.
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