Due diversi giornalisti
due articoli quasi identici. La critica dell'uno vale anche per l'altro.
Testata:
Data: 23/09/2003
Pagina: 14
Autore: Umberto De Giovannangeli-Roberto Ferri
Titolo: No del governo israeliano alla tregua promessa dal raìs
Umberto De Giovannageli (Unità) e Roberto Ferri (Il Mattino) devono soffrire dello stesso pregiudizio. I loro articoli si assomigliano curiosamente.
Cominciamo con UDG. Dopo la critica all'Unità invitiamo i nostri lettori a leggersi il pezzo del Mattino che pubblichiamo subito dopo.

Sull'Unità continua la proposta-bufala di Yasser Arafat... e De Giovannangeli continua a difendere e sponsorizzare il suo beniamino.

Riportiamo alcuni passaggi dell’articolo del nostro Udg.

Una tregua totale. E’ la proposta rilanciata da Yasser Arafat. Una proposta nuovamente bocciata da Israele.

L’anziano raìs tuttavia non si è lasciato impressionare dal rifiuto israeliano e ha affidato la sua proposta al ministro degli esteri palestinese Nabil Shaath

La tregua di Arafat impone rigide condizioni ad Israele.

Da Ramallah l’anziano raìs ribadisce la propria disponibilità ad un cessate il fuoco, a condizione che nei territori venga schierata una forza internazionale di pace sotto egida Onu (una condizione, peraltro, già bocciata da Israele)

Arafat sembra dunque deciso a recuperare la sua immagine di "uomo di pace"

La stampa araba ha anche riferito di iniziative segrete partite dai palestinesi per riavviare i contatti con Israele, aggirando l’opposizione ufficiale di Ariel Sharon.
Chiedendoci amaramente se De Giovannangeli ci fa o ci è, riportiamo le dichiarazioni illuminanti di Ranaan Gissin, portavoce di Sharon:

"Qualsiasi cosa dica Arafat al Quartetto è basata sul timore della spada di Damocle sulla sua testa, la paura di essere spedito in esilio"
"Con Arafat il processo di pace è destinato a rimanere arenato. Non prenderei le sue parole seriamente: se i palestinesi insistono nel terrorismo e mantengono Arafat al potere, essi non avranno mai uno Stato"
Ora riportiamo il pezzo pubblicato su Il Mattino firmato da Roberto Ferri.


Ramallah. Il presidente palestinese Yasser Arafat ha rilanciato l'idea di una tregua totale, ma Israele ha nuovamente bocciato la proposta, ribadendo con forza che - senza lo smantellamento di quelle che definisce le «infrastrutture del terrorismo» nei Territori - non accetterà di discutere i termini di alcun cessate il fuoco. L'anziano rais non si è tuttavia lasciato impressionare dal rifiuto israeliano e ha affidato la sua proposta al ministro degli Esteri palestinese Nabil Shaath, che l’ha illustrata ai rappresentanti del Quartetto (Usa-Ue-Onu-Russia) nella sede delle Nazioni Unite a New York. La tregua di Arafat impone rigide condizioni anche a Israele.
Shaath, prima di lasciare Ramallah per New York, ha spiegato che «in caso di tregua totale, le due parti dovranno ribadire il loro impegno al rispetto della «road map», l'itinerario di pace formulato e sostenuto dal Quartetto. Israele - ha aggiunto Shaath - deve fermare subito la costruzione delle colonie ebraiche nei Territori e del «muro di separazione» con la Cisgiordania. Il ministro palestinese ha inoltre sollecitato il ripiegamento delle truppe israeliane sulle linee del 28 settembre 2000 (allo scoppio della seconda Intifada) e ha chiesto che ad Arafat venga restituita piena libertà di movimento.
Arafat sembra dunque deciso a recuperare la sua immagine di «uomo di pace», rovinata da quasi tre anni di Intifada nei Territori. La stampa araba ha anche riferito ieri di iniziative segrete partite dai palestinesi per riavviare i contatti con Israele, aggirando l'opposizione ufficiale del premier Ariel Sharon, che esclude contatti con qualsiasi governo controllato da Arafat. Secondo il giornale arabo internazionale «Asharq al Awsat», Fathi Arafat, fratello del leader palestinese, e Yasser Abbas, figlio dell'ex premier Abu Mazen, hanno avviato domenica a New York colloqui segreti con alcuni esponenti israeliani. Scopo dell'iniziativa sarebbe quello di raggiungere una posizione comune sui «principi della pace», che verrebbero poi sottoposti a referendum popolare sia in Israele sia nei Territori.
L'altra carta che Arafat sta giocando è la costituzione di un governo che possa conquistare, se non subito la fiducia di Israele, almeno quella degli Stati Uniti (che pure continuano a boicottarlo) e dell'Unione europea. Il premier incaricato, Abu Ala, ripete che la questione sicurezza sarà al primo posto del programma del governo che spera di poter presentare nei prossimi giorni (forse giovedì) davanti al Consiglio legislativo palestinese per il prescritto voto di fiducia. Il premier ha tuttavia evitato qualsiasi riferimento a possibili azioni repressive contro i movimenti integralisti islamici di Hamas e della Jihad e le altre organizzazioni radicali, come richiede Israele. Al momento Abu Ala ha dovuto rinunciare al suo desiderio di formare un governo di unità nazionale: Hamas e la Jihad islamica hanno escluso la loro partecipazione al nuovo esecutivo, pur dichiarandosi disposti a continuare i colloqui con l'Anp e gli altri movimenti politici palestinesi.
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