Franco Venturini
plauso
Testata: Corriere della Sera
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Autore: Franco Venturini
Titolo: DOPPIO FALLIMENTO
Particolarmente encomiabili, in questo articolo, le scelte lessicali, il tono di intensa partecipazione alla nuova tragedia che ha colpito Israele, e le numerose "piccole" notizie disseminate qua e là.

DOPPIO FALLIMENTO

di FRANCO VENTURINI
Il vertice arabo di Beirut, indicato da settimane come ultima spiaggia per la ripresa del dialogo in Medio Oriente, è riuscito a fallire due volte: nel sangue della nuova strage compiuta ieri sera a Netanya da un kamikaze palestinese e nella conferma delle profonde divisioni interarabe che rendono tuttora poco credibile il piano di pace saudita. Puntuale come sempre quando la diplomazia prova ad aprire qualche spiraglio, il terrorismo anti israeliano ha provveduto a nutrire una contabilità degli orrori che merita da troppo tempo il nostro sdegno. Celebravano l’inizio della Pasqua ebraica i civili morti a Netanya. E il loro sacrificio in una guerra senza fine diventa ancor più crudele alla luce di quanto è accaduto, o per meglio dire non è accaduto, al vertice di Beirut che doveva parlare di pace. Ieri mattina, appena accesi i riflettori, si è visto che la poltrona di re Abdallah di Giordania era vuota come quelle dell’egiziano Mubarak e del palestinese Arafat. E mentre i lavori si aprivano all’insegna di continue ripicche, culminate nella censura e nel rinvio ad oggi del messaggio video di Arafat, è stato un quesito non previsto a prendere il sopravvento: dove è finita l’influenza della superpotente America?

Su mandato di George Bush, il vicepresidente Cheney aveva appena portato in Medio Oriente una serie di esplicite richieste. L’israeliano Sharon doveva scoprire la moderazione, e consentire che Arafat si recasse a Beirut. Il capo palestinese doveva ordinare ai suoi la fine degli attacchi terroristici contro Israele. I governanti arabi, a cominciare dai filo-occidentali Mubarak e Abdallah, dovevano guidare il vertice verso la piena approvazione del piano saudita. Nel frattempo il mediatore Zinni avrebbe lavorato a una tregua negoziata tra palestinesi e israeliani, così da creare le premesse per una trattativa di pace e da rendere più agevole un futuro attacco all’Irak.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Sharon non ha dato un biglietto di andata e ritorno ad Arafat, né questi ha mostrato di volerlo o di essere in grado di controllare i suoi messaggeri di morte. Hosni Mubarak non è andato a Beirut, forse per gelosia verso l’iniziativa saudita, forse per solidarietà con Arafat, più probabilmente per non esporsi sul fronte interno (e questo malgrado i due miliardi di dollari che l’Egitto riceve ogni anno dagli Usa) . Re Abdallah ha atteso la venticinquesima ora per fare altrettanto, naturalmente adducendo motivi «non politici» .

Il fallimento su tutta la linea delle pressioni statunitensi (in attesa di verificare quanto potrà ottenere Zinni, ora alle prese con la scontata rappresaglia israeliana) porta un duro colpo alle speranze che anche l’Europa aveva riposto nel ritorno sulla scena della diplomazia americana. Non solo: fa suonare un campanello d’allarme in una Washington troppo spesso oscillante tra falchi e colombe, e dà, più che mai dopo il massacro di ieri, la misura del potenziale esplosivo che la crisi mediorientale conserva.

Se il vertice di Beirut andrà avanti il piano saudita sarà approvato oggi, ma ora che i terroristi sono tornati a colpire e che il velo della concordia araba è stato strappato risulta più facile individuarne i limiti. Israele non accetterà mai la restituzione di «tutti» i territori occupati nel ’67 in cambio di «relazioni normali» ancora ambigue, né potrà mettere a rischio la sua natura di Stato ebraico aprendo le porte al rientro di milioni di profughi palestinesi. Su Gerusalemme bisognerebbe ripartire da Camp David, ma le stragi non sono fatte per disporre gli animi al compromesso. E il siriano Basher al-Assad ha giustificato a Beirut gli attentati palestinesi, dando il meglio di sé quando ha chiesto la rottura di ogni rapporto con Israele come paradossale premessa del piano saudita. Questo mentre i moderati egiziani e giordani, che con Israele hanno invece fatto la pace, preferivano non essere lì a rispondergli.

Il terrore torna a colpire, gli arabi si lacerano, Sharon non molla e l’America non può o non vuole farsi valere: la tragedia, così, promette di continuare. E intanto gli europei delusi devono prepararsi al prossimo capitolo, alle ardue scelte che comporterà il castigo dell’Irak.



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