All'Unità non c'è limite al peggio
Pregiudizio e falsità in un solo articolo
Testata:
Data: 15/09/2003
Pagina: 11
Autore: Giancesare Flesca
Titolo: Yasser, un leader dalle mille vite
L´articolo che segue, L´Unità, ce lo spaccia per un "ritratto" storico di Arafat.
E´ un po´ lungo ma ne consigliamo la lettura integrale poiché da questo scandaloso coacervo di menzogne si evince quanto sia radicato il pregiudizio anti-israeliano in Italia e, non solo, quanto l´ignoranza sulle vicende storiche del Medio Oriente sia diffusa, visto che colpisce pesantemente anche chi dovrebbe studiarle per mestiere.
Riteniamo superfluo ogni commento perchè la stupidità e la falsità di certe affermazioni semplicemente fa ammutolire.

Segnaliamo solo due cose.
Primo, riguardo al profilo "storico" che Giancesare Flesca fa del Medio Oriente c´è veramente da dubitare che costui abbia conseguito la licenza media.

Secondo, vi avvertiamo che se alla fine dell´articolo proverete (oltre che nausea, si intende) anche quel strano sentimento del "l´ho già letto da qualche parte", ebbene confermiamo: anche Adolf Hitler ha goduto di "scrittori" che facevano di lui ritratti incensativi, glorificati e melliflui simili. Anche lui aveva fatto dello sterminare ebrei una missione di vita. Esattamente come Yasser Arafat. Le coincidenze...

Nessun uomo politico potrebbe permettersi cose come quelle che fa lui. Ad esempio affacciarsi al balcone della Muqata dov´è rinchiuso da un anno e mezzo per salutare i suoi fedelissimi mandando bacetti a piene mani, come un attor giovane ebbro di successo. Eppure il palcoscenico di Ramallah, oggi, è tragico e gli spettatori disperati.
Israele ha deciso di espellere Arafat dalla Palestina e lui risponde che preferisce morire con la pistola in pugno, pensando forse a Salvador Allende assediato alla Moneda. Ma è errato credere che la sua scelta di morire così sia frutto solo di eroica vanità. Per quanto vanitoso sia, il vecchio Abu Ammar ha un cervello politico che gli funziona ancora alla perfezione, e gli dice che uccidendolo, Sharon compirebbe un errore di calcolo tremendo.
Il mondo intero isolerebbe Israele, la causa palestinese riceverebbe una spinta poderosa, in morte riuscirebbe a realizzare quello che non gli è riuscito in vita: unificare estremisti e moderati dietro la sua bara, creando un fronte comune finora impensabile.
Quanto alla paura di morire, in 40 anni e più di milizia il settantaduenne Mohammed Raouf Arafat al-Qoudwa l-Husseinì (anche i nomi sono sette) non ha mai potuto permettersela. E basta guardare più da vicino la sua storia.
Dopo aver partecipato in braghe corte, esattamente come Sharon, ai primi conflitti arabo-israeliani dell´immediato dopoguerra trova il tempo per conquistare una bella laurea in ingegneria in Kuwait, ma senza perdere dìocchio il Cairo, dov´è nato e dove i fermenti antisionisti stanno prendendo forma attorno al carisma di Gamal Abdel Nasser.
Nella capitale egiziana tiene a battesimo l´organizzazione che resterà da allora e per sempre al suo fianco, Al Fatah, la vittoria. Per controllare Al Fatah e gli altri gruppuscoli ancora più aggressivi nati in quegli anni, nel 1964 il rais egiziano, su proposta della lega araba, fa nascere l´Olp, l´organizzazione per la liberazione della Palestina della quale Arafat (allora conosciuto come Abu Ammar) divenne presidente nel 1969. Da allora lui e l´Olp diventeranno agli occhi del mondo, una cosa sola.
Da subito Abu Ammar viene accusato anche dagli uomini a lui più vicini di ambiguità. E come potrebbe essere altrimenti, se la sua leadership viene giorno dopo giorno contestata da altri gruppetti dell´estrema sinistra, il Fronte Democratico per la liberazione della Palestina di Amef Whatham o il Fronte popolare di George Habbash? Come manifestare perplessità sul tipo di lotta armata che viene messa in opera, quando tutto il movimento è immerso nella nebulosa terrorista e guerrigliera?
Arafat non si dissocia dall´orrore che l´estremismo palestinese provoca in quegli anni, ma nel frattempo comincia a lavorare per una soluzione politica. Non che lui sia cambiato, è cambiato soltanto il suo ruolo da quando è diventato leader politico e padre padrone della diaspora palestinese.
Da questa storia bisogna partire per rendersi conto del perchè oggi tutti i palestinesi, moderati o estremisti, non vogliono assolutamente vederlo allontanato per sempre dalla gente che egli ha guidato a un brandello di terra promessa.
Vediamo più da vicino.
Nel settembre del 1970, il famoso settembre nero, Abu Ammar dovette abbandonare con la sua gente il rifugio in Giordania, dove re Hussein, stanco e timoroso dei palestinesi, senza fare troppe distinzioni, prese tutti a cannonate, spingendo i profughi fuori dai suoi confini. Arafat fugge da Amman travestito da donna.
Approdato in Libano, il suo drammatico caravanserraglio mette in agitazione i siriani da una parte e gli israeliani dall´altra.
La situazione mediorientale, si sa, non consente distrazioni e sia come sia il 13 aprile del 73 tre dei principali collaboratori del capo dell´Olp vengono uccisi a Beirut in un ufficio dove avrebbe dovuto trovarsi anche lui. Anche in Libano i palestinesi tendono ad allargarsi e Arafat non li frena abbastanza anzi li asseconda, fornendo un ottima occasione alla guerra civile cui Israele porrà fine con l´invasione dell´82, guidata appunto da Sharon.
Quest´ultimo il 30 agosto riesce a far inquadrare nel mirino di uno dei suoi tiratori scelti proprio Arafat ma poi, chissà perchè, non ordina di premere il grilletto.
Bisogna dire che Allah, malgrado lui sia un leader laico ma ovviamente anche fedele, l´aiuta in tutti i modi.
Nell´85 lui stabilisce il suo quartier generale lontano dalla Palestina, in Tunisia, e il primo ottobre gli israeliani lo distruggono con un´incursione aerea alla quale lui sfugge solo per caso. Capotta con la macchina sulla via di Baghdad e ne esce senza un graffio.
E´ l´unico superstite ad un incidente che carbonizza il suo aereo.
Vede la morte in faccia e si decide a mordere ancora più in fretta la vita: quella pubblica nella quale imbocca la strada che lo porterà ai negoziati di Oslo e alla storica stretta di mano con Shimon Peres e Yitzak Rabin nel giardino della casa bianca; quella privata dove nel 92 trova posto una moglie cristiana, Suha Tawil, e perfino una bimba che nasce a Parigi fra i brontolii degli ulema musulmani.
Adesso è davvero all´ultimo atto? Pensando al suo passato, è difficile crederlo. Piuttosto pare verosimile che ancora una volta Sharon debba fermare all´ultimo momento il dito sul grilletto dei suoi cecchini.
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