Questione Arafat: espulsione?
Tutti i giornalisti molto cauti, ma loro non vivono fra esplosioni e attentati.
Testata: Corriere della Sera
Data: 12/09/2003
Pagina: 1
Autore: Franco Venturini
Titolo: Tutti i rischi di un azzardo
Giriamo anche a Venturini la domanda che oggi abbiamo fatto a tutti i giornali che hanno protestato di fronte ad una possibile espulsione di Arafat. Che deve fare un paese dopo 55 anni di guerra per avere finalmente la pace ? Forse avere una controparte credibile. C'è in campo palestinese, ma non mai riuscita ad emergere. Forse senza Arafat ce la farà. Almeno provare.
Rinviando a più tardi la scelta del momento e dei modi, il governo israeliano ha deciso ieri in linea di principio di espellere Yasser Arafat dai Territori palestinesi. Il comunicato emesso a Gerusalemme accusa Arafat di impedire ogni processo di riconciliazione, e annuncia che Israele "agirà per rimuovere l'ostacolo" sulla base di piani operativi che i militari dovranno ora mettere a punto. Il linguaggio è generico e lascia forse qualche porta aperta, ma molteplici dichiarazioni hanno indicato nella deportazione l'ipotesi prevalente.
Da molti mesi, e in particolare dopo ogni attentato terroristico, in Israele si levavano voci che chiedevano l’allontanamento del Presidente palestinese. Sharon aveva sempre preso tempo, temendo di scontentare l’alleato americano e ancor più di concedere l’aureola del martire al suo nemico storico. Ma ora le recentissime stragi rivendicate da Hamas (che Gerusalemme attribuisce comunque alla responsabilità di Arafat), e nel contempo la palese azione di disturbo condotta dal Raìs nei confronti del premier dimissionario Abu Mazen e della Road Map, hanno indotto la maggioranza dei ministri israeliani a rompere gli indugi. La portata della svolta e delle sue possibili conseguenze è parsa subito evidente. Una grande folla si è riunita davanti al semi-diroccato quartier generale di Ramallah, dove Arafat è virtualmente prigioniero da quasi due anni, per ascoltare le parole di sfida del leader palestinese. Dall’America è giunta una prima reazione negativa, perché si teme che Arafat conquisti «un nuovo palcoscenico». Le consultazioni del premier designato Abu Ala si sono interrotte. Energici avvertimenti sono venuti da Mubarak e da Chirac, che hanno ricordato come Arafat sia un Presidente eletto. E nemmeno in Israele i pareri sembrano concordi: mentre Sharon tace, il laburista Shimon Peres si dice contrario e il vice-premier Olmert suggerisce di isolare completamente Arafat invece di espellerlo.
Non occorre altro per capire quanto siano dirompenti i rischi che la preannunciata decisione israeliana comporta. Ovunque vada, Arafat potrebbe risultare più incendiario di quanto gli sia consentito di essere a Ramallah. La crisi del vertice politico palestinese potrebbe trasformarsi in caotico vuoto di potere, lasciando quel che resta della Road Map senza interlocutore e favorendo una ulteriore incontrollabilità dei gruppi terroristici. Se l’America facesse buon viso a cattivo gioco ne deriverebbe una nuova frattura con gli europei proprio mentre si tenta di ricucire gli strappi iracheni. In Medio Oriente il risultato verosimile sarebbe una nuova escalation della violenza, e la restituzione ad Arafat di quel ruolo di eroe-simbolo della causa palestinese che negli anni si è logorato ma non è scomparso. I popoli israeliano e palestinese soffrono già abbastanza, e non pochi errori di calcolo sono già stati commessi nella regione. C’è da augurarsi che non ne giunga un altro.
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