Riportiamo l'articolo su due delle vittime della strage di Gerusalemme del 9 settembre 2003, firmato da Daria Gorodisky e pubblicato sul Corriere giovedì 11 settembre.Channan ha vent’anni e le mani che tremano mentre prende l’anello che ha preparato per Nava, la sua sposa. Non rinuncerà a lei in nessun caso. Ma nelle mani, negli occhi, in tutto il corpo che sussulta, c’è solo dolore, solo l’orrore di deporre quell’anello in una tomba. Perché Nava è una delle vittime del secondo attentato terroristico che martedì ha scosso Israele. «Ma tutto era già pronto per le nozze di oggi (ieri, ndr ), i documenti firmati: ora che mio figlio ha donato anche la fede, sono marito e moglie», dice con un filo di voce il padre di Channan, Zvi Sand, durante i funerali.
Con i vent’anni di Nava se ne è andata anche la vita di suo padre, il dottor David Appelbaum, responsabile del dipartimento di emergenza dell’ospedale Shaarei Tzedek di Gerusalemme. Medico di grande esperienza e scienza, Appelbaum era appena tornato dagli Stati Uniti, dove era stato invitato dall’Università di New York per una conferenza sulle vittime del terrorismo. Lì aveva portato diapositive e protocolli per dimostrare come si possano soccorrere 44 feriti in 28 minuti, proprio come era riuscito a fare dopo l’attentato compiuto a Gerusalemme il 19 agosto.
Era un ebreo ortodosso, e sia la barba lunga che la Kippah sulla testa non gli davano un’immagine da medico in prima linea, come nel telefilm «E.R.». Ma nel caso di attacchi terroristici, era sempre il primo ad arrivare in reparto. Anche martedì sera è stato subito avvertito: «Lo chiamavamo con il beeper , ma non arrivava mai - racconta il direttore dell’ospedale, Jonatan Halevi -. Sapevo che era a Gerusalemme e dopo un po’ ho capito che doveva essere successo qualcosa di terribile. Quando uno dei suoi collaboratori lo ha portato qui era già morto. Ha salvato migliaia di vite, è una perdita enorme. Ed è anche un atroce dolore personale, perché eravamo grandi amici».
Appelbaum martedì sera era uscito con sua figlia. Nava aveva ereditato dal padre la voglia e la forza di aiutare gli altri: faceva parte da due anni del Servizio nazionale di assistenza ai bambini malati di cancro. Non erano usciti per parlare di medicina, ma perché un padre ha molte cose da dire alla sua bambina la sera prima che lei diventi una sposa. Il figlio maggiore, Natan è orgoglioso di questo: «Papà ha dedicato la vita a salvare vite umane, ma allo stesso tempo non è mai stato distratto dalla famiglia». Per il matrimonio di Nava aveva lavorato molto, curando con sua moglie ogni particolare. Per Nava aveva preparato un libro che conteneva le memorie della famiglia, una raccolta dei versetti biblici che erano sempre stati più vicini al suo cuore e una serie di consigli religiosi e pratici per la vita coniugale.
E poi una serata fuori, in quel Caffè Hillel che piace ai giovani dell’intellighenzia di Gerusalemme. «Nonostante il lavoro di papà - ricorda ancora Natan - a casa non si parlava della possibilità di essere coinvolti in un attentato. Non siamo una famiglia che ha paura, andiamo al bar e prendiamo l’autobus. E continueremo a farlo».
Religione e medicina, grande umanità e instancabile lavoro, avevano fatto di Appelbaum, americano immigrato (o «salito alla terra» come si dice qui) all’inizio degli anni ’80, un uomo molto amato nella capitale israeliana. Erano migliaia ieri le persone che hanno partecipato al suo funerale piangendo. «Quest’altra vittima della barbarie», come ha recitato il Gran rabbino Israel Meir. I colleghi di Appelbaum sono restati in ospedale tutta la notte, anche dopo la fine dell’emergenza e dei turni: «Ho lavorato diciassette anni con lui - dice Margalit Prachi -. Era un medico straordinario, le famiglie dei pazienti lo adoravano. Quando ha preso la guida del reparto, ha rivoluzionato tutto: eliminato le inefficienze, organizzato un sistema rapidissimo per riunire nello stesso ospedale, in caso di attentati o grandi catastrofi, i membri di una stessa famiglia, i bambini vicini ai genitori. E’ difficile dire che cosa rappresentava per noi».
Medici e infermieri sono arrivati da tutti gli ospedali della città. E poi tanta gente comune, chi lo ha conosciuto e chi ne aveva sentito parlare. «Era uno dei trentasei giusti che percorrono le strade del mondo», sussurra davanti alla tomba di Appelbaum Shimon Spiro, suo suocero. Poi guarda l’altro tumulo lì a fianco, la terra fresca dove Chassan ha deposto l’anello: «Caro David, dovevi accompagnare tua figlia alla caupa (il baldacchino nuziale, ndr ) e invece siamo noi che accompagniamo voi due alla vostra ultima dimora».
Invitiamo i lettori di informazionecorretta.com ad inviare la propria opinione alla redazione del Corriere della Sera. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.
lettere@corriere.it