L'atmosfera in Israele è cambiata ma bisogna sperare
Elie Wiesel in un'intervista al Corriere
Testata: Corriere della Sera
Data: 11/09/2003
Pagina: 5
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: Israele seppe abbraciare Anwar Sadat, lo stesso uomo che l'aveva attaccato
Riportiamo l'intervista al Premio Nobel per la pace Elie Wiesel firmata da Alessandra Farkas e pubblicata sul Corriere della Sera di oggi, giovedì 11 settembre 2003.
«La road map, la mappa della pace, non è morta. Finché c'è speranza, la speranza deve prevalere». Il Nobel per la pace Elie Wiesel non si arrende di fronte agli ultimi attentati che hanno insanguinato Israele, pur ammettendo la sua crescente apprensione per il futuro del processo di pace.
«Ho appena finito di parlare con i miei amici in Israele - racconta al Corriere - la situazione sta peggiorando di ora in ora, con i kamikaze che continuano a svolgere il loro lavoro criminale, costringendo Israele ad irrigidirsi. L'umore generale è cambiato».
In che senso?
«La consapevolezza che nulla può fermare Hamas perché i terroristi sono votati alla distruzione stessa dello Stato ha creato una nuova atmosfera in Israele. Unendo destra e sinistra nella certezza che l'accordo di Oslo sia stato un errore e per questo la road map, almeno fino ad oggi, non ha funzionato».
Condivide questa analisi?
«Purtroppo sì. Ero un grandissimo sostenitore degli accordi di Oslo. Ma oggi penso di essermi sbagliato. Il motivo si chiama Hamas, al Aqsa, Jihad: sono troppi i palestinesi che vogliono distruggere Israele. Ciò non è vero per Israele, dove non ho mai sentito nessuno affermare che i palestinesi non hanno diritti. E anzi la causa palestinese trova grande eco tra gli ebrei ormai convinti che la soluzione delle due nazioni sia l'unica giusta».
Perché secondo lei Abu Mazen ha fallito?
«Perché Arafat sin dall'inizio non lo voleva ed è riuscito a sabotarlo, esautorandolo del potere che egli avrebbe dovuto avere, forte della convinzione che la piazza è dalla sua parte. Ci sono 17 organizzazioni di militanti e Mohammed Dahlan, capo della sicurezza interna, ne controllava solo tre. Le altre 14 obbedivano ad Arafat. Per questo ha fallito».
Pensa che il nuovo premier Abu Ala avrà più poteri?
«So che lo desidera sinceramente. Ma chi ci garantisce che li otterrà? Nessuno si fida più di Arafat. E' importantissimo che gli Stati Uniti continuino a svolgere il ruolo di primo piano nel Medio Oriente».
Basta la road map o bisogna trovare nuove iniziative di pace? «Insieme al primo ministro norvegese, sto per offrirne una: una conferenza a New York, il prossimo 22 settembre, intitolata "combattere il terrorismo per l'umanità", cui parteciperanno 17 capi di Stato tra cui Berlusconi, Chirac, Musharraf, Karzai e Aznar. Spero venga anche il presidente Bush perché questo summit offrirà l'opportunità di chiarire una volta e per tutte che il terrorismo è un crimine contro l'umanità e un'aberrazione inaccettabile per il genere umano, perché per definizione uccide sempre e solo degli innocenti: bambini, donne incinte, vecchi. Inviteremo l'Onu, l'Ue e tutti i parlamenti mondiali a metterlo immediatamente e ufficialmente al bando».
Come possiamo leggere in retrospettiva il 30° anniversario della guerra dello Yom Kippur?
«Israele fu attaccato di sorpresa da Egitto, Siria e Iraq nel suo giorno più sacro. Quando capirono che la posta in gioco era l'esistenza stessa del loro Stato, gli ebrei reagirono, ribaltando la situazione con una grande vittoria. Quando più tardi l'uomo che aveva iniziato quella guerra, causando 3 mila morti tra i soldati israeliani, Anwar Sadat, venne in Israele, fu acclamato dalla popolazione come un fratello. Vedendo quelle immagini in tv piansi. L'episodio illustra come la mentalità israeliana sia sempre stata tesa verso la pace. Purtroppo ciò non è vero dei nostri interlocutori. Certo, ci sono palestinesi di buona volontà che vogliono la pace, ma sono troppo pochi o forse hanno paura a dirlo. Temono per la propria vita».
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