L’Egitto moderno dalla dominazione britannica all’indipendenza Re Faruk • La costruzione del Canale di Suez terminata nel 1869, aveva comportato l’ingerenza di forze straniere nel Paese, in particolare di Francia e Regno Unito. • Dopo un periodo di rivolta egiziana contro la dominazione ottomana, il Regno Unito invase l’Egitto nel 1882, per proteggere gli interessi nella regione, segnando l’inizio dell’influenza britannica sul Paese. • Nel 1914, l’Egitto diviene formalmente protettorato britannico, rimanendo un sultanato governato da Hussein Kamel. • Gli indipendentisti, in rivolta contro i britannici, ottennero nel 1922 una formale Dichiarazione di Indipendenza, che diede origine al Regno d’Egitto, con al trono Fuad I, succeduto dal figlio Faruk. • Nel 1936 Egitto e Regno Unito firmarono un accordo che manteneva lo status quo, con una forte limitazione della sovranità egiziana in favore del ritiro delle truppe britanniche dal territorio egiziano, escluse quelle di presidio al Canale di Suez.
La formazione dei due poteri: il partito Wafd e i Fratelli Musulmani Hassan al-Banna
• Nel periodo precedente l’indipendenza, si formano i due poteri che sono centrali alla storia dell’Egitto: il partito Wafd e la Fratellanza Musulmana. • Il partito Wafd, nato negli anni ’20, riuniva i nazionalisti che si opponevano al controllo britannico dell’Egitto, divenendo la prima forza politica d’ispirazione liberale, che appoggiava la monarchia costituzionale. Il partito si dissolse nel 1952, quando Nasser prese il potere. • L’influenza occidentale nella società egiziana, con scuole cristiane, ospedali e costumi nuovi, fu causa di un malcontento popolare che riuniva nazionalisti e islamisti. • La Fratellanza Musulmana nasce nel 1936 come movimento sociale religioso pan-islamico, fondato dal Hassan al-Banna. L’obiettivo politico dei Fratelli Musulmani è la creazione di un Califfato governato dalla shari’a, liberando il mondo arabo e islamico dalle influenze occidentali, attraverso le attività sociali sopperendo all’assenza dello stato nell’educazione, nella sanità e nell’assistenza ai bisognosi.
La rivoluzione del 1952 e l’ascesa di Nasser Gamal Abd al-Nasser
• Il 23 luglio 1952 inizia la rivoluzione del Movimento dei Liberi Ufficiali, dapprima rivolta contro il Re Faruk, ma con il vero obiettivo di abolire la monarchia per instaurare una repubblica, di porre fine all’influenza britannica. • La rivoluzione portò al potere Gamal Abd al-Nasser, nominato dapprima vice ministro, che sviluppò una politica anti-imperialista, nazionalista e socialista, denominata “nasserismo”. • Sotto il regime di Nasser, l’Egitto si unì ai Paesi non-Allineati e sostenne fortemente la propaganda anti-israeliana e palestinese. • La Fratellanza Musulmana fu messa fuori legge, così come gli altri partiti, con numerosi scontri violenti nelle strade.
La Crisi di Suez e la Guerra dei Sei Giorni • Sfruttando la propaganda anti-imperialista e anti-israeliana, Nasser dichiarò la nazionalizzazione del canale di Suez nel luglio 1956, causando l’intervento armato di Israele, Francia e Regno Unito, in seguito bloccato dall’intervento di Stati Uniti e NATO. • Il nasserismo ebbe una consistente influenza in tutto il mondo arabo, e il pan-arabismo portò alla creazione nel 1957 della Repubblica Araba Unita con Siria e Egitto, un progetto di unione degli Stati arabi che tramontò pochi anni dopo. • Nasser riuscì a guidare le forze arabe contro Israele, creando una coalizione tra Siria, Giordania ed Egitto. Nel maggio 1967, Nasser muove le truppe sul confine israeliano; successivamente chiude lo Stretto di Tirano alle navi israeliane, causando la reazione militare israeliana che dall’11 giugno riuscì in 6 giorni a debellare le forze nemiche, occupando le Alture del Golan alla Siria, la Cisgiordania alla Giordania, Gaza e il Sinai all’Egitto.
Sadat e il nuovo regime Anwar Sadat
• A Nasser succede Anwar Sadat, che partecipò alla rivoluzione del 1952, contrastò l’eredità nasserista, contando sull’appoggio dei movimenti islamici, di cui apprezzava la forza sociale, e aprendosi all’Occidente per lo sviluppo economico dell’Egitto. • Per guadagnare appoggio popolare, Sadat decise di attaccare Israele nell’ottobre1973, durante il Kippur (Giorno dell’Espiazione). Israele respinse l’attacco egiziano e un cessate il fuoco fu imposto alla fine di ottobre. • Sadat inaugurò una politica di apertura verso l’Occidente, che portò alla storica visita in Israele nel 1977 e agli accordi di Camp David nel 1978, cui seguì il Trattato di Pace con Israele che prevedeva il ritiro dal Sinai e lo smantellamento degli insediamenti israeliani, il riconoscimento di Israele e il libero passaggio attraverso il Canale di Suez, lo Stretto di Tirano e il Golfo di Aqaba. • Dopo la Pace con Israele, l’Egitto fu espulso dalla Lega Araba e l’Iran interruppe le relazioni diplomatiche. • Il malcontento popolare verso l’apertura all’Occidente e la mobilitazione delle forze islamiste contro la politica filo-occidentale e filo-israeliana di Sadat, portò al suo assassinio nel 1981.
Mubarak, la Primavera Araba e l’ascesa dei Fratelli Musulmani Hosni MubarakMohammed Morsi
• Mubarak, che aveva partecipato alla rivoluzione del 1952, divenne presidente dopo l’assassinio di Sadat, dando continuazione alla politica filo-occidentale con più moderazione e riportando l’Egitto nella Lega Araba. • Mubarak investì gli aiuti di Stati Uniti e Fondo Monetario Internazionale nell’ammodernamento del Paese, tentando di guadagnare appoggio popolare con dichiarazioni anti-occidentali e anti-israeliane, come in occasione della Guerra in Iraq nel 2003 e delle operazioni militari israeliane a Gaza e in Libano. • Il regime di Mubarak ha contrastato fortemente i Fratelli Musulmani e i Salafiti che negli anni avevano acquisito considerevoli consensi per la loro opera sociale tra le masse meno abbienti. • Malato e incapace di governare la crescente opposizione interna, Mubarak rassegnò le dimissioni nel febbraio 2011, dopo un mese di proteste in piazza Tahrir da parte di giovani, donne e liberali. Dopo un lungo processo, fu condannato all’ergastolo per non aver fermato le violenze delle forze armate contro i manifestanti di piazza Tahrir. • Dopo una prima fase di governo della Giunta Militare, i Fratelli Musulmani hanno conquistato il potere con il libero voto, mentre liberali e cristiani copti tentano di contrastare l’islamizzazione
Vorrei iniziare col ruolo dell'Egitto nella regione dopo le rivoluzioni arabe. L'Egitto è l'esempio del risultato della Primavera Araba (così chiamata), ossia il trionfo della Fratellanza Musulmana appoggiata dai salafiti. La vittoria islamica si conferma nelle riforme costituzionali, nel consolidamento del potere da parte di Morsi che ha adottato decreti che nemmeno Mubarak aveva mai osato varare, nell'apparente allineamento con l'Iran così come nell'ostilità della popolazione contro Israele. Tuttavia, le relazioni tra Egitto e Israele sono sempre dipese dal regime di Mubarak, mentre le masse hanno sempre manifestato la loro inimicizia contro Israele e gli ebrei. Cos'è cambiato nelle relazioni con Israele e con gli altri poteri della regione?
Credo che anzitutto si debba distinguere tra le aspirazioni della rivoluzione e la realtà dei fatti. Gli ultimi anni di Mubarak sono stati caratterizzati da profonda incertezza per la sua malattia e la sua debolezza politica nella regione. Al contrario, il nuovo regime sta cercando di ristabilirsi come potere e leader del mondo arabo. Tuttavia, l'area rimane instabile: l'Egitto e altri Paesi arabi non sono stabili, sia quelli già affetti dalla Primavera Araba sia quelli che stanno aspettando le riforme. Per questo non vedo la possibilità per l'Egitto di riprendersi la posizione di supremazia nel mondo arabo. Ci sono nuovi attori che stanno emergendo sulla scena mediorientale: il centro del potere è ora in Iran, il principale oggetto di attenzione è la Siria, mentre la Turchia è un nuovo attore fondamentale. Per il momento, l'Egitto deve far fronte ai problemi relativi alla stabilità interna, all'economia e al cambiamento di regime, che insieme sono di ostacolo alla sua ascesa come potere normativo nello scacchiere regionale. Per quanto riguarda l'allineamento con l'Iran non vedo in realtà una convergenza di interessi. L'Iran è come un forte mal di testa per l'Egitto, quindi non credo che uniranno le forze. Per di più l'Egitto è preoccupato per il coinvolgimento dell'Iran nelle questioni interne che è causa di l'instabilità, soprattutto per via dell'appoggio ai ribelli islamisti in Sinai. La visita storica di Morsi a Teheran nell'agosto 2012 ha chiarito che tra i due Paesi non ci sono relazioni amichevoli. Anzitutto Morsi non ha incontrato la Guida Suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei e, in secondo luogo, il suo discorso al meeting non ha fatto piacere agli iraniani perché ha formulato un chiaro messaggio contro Bashar al-Assad, lasciando il Paese subito dopo. Per questo non vedo nessuna possibilità di allineamento nel futuro prossimo, anche perché non bisogna dimenticare che l'Arabia Saudita rimane vigile sull'influenza dell'Iran nella regione. Per quanto attiene alle relazioni con Israele, la situazione è questa: c'è un trattato di pace, come con la Giordania, ma solo la Giordania ha un ambasciatore a Tel Aviv. Israele mantiene il proprio ambasciatore al Cairo, anche se con funzioni limitate e con uno staff ridotto al minimo; l'ambasciata israeliana al Cairo è presidiata e lo staff diplomatico limita le missioni. È diventata più o meno un simbolo della nostra presenza in Egitto, che ha ritirato il proprio ambasciatore dopo gli ultimi scontri a Gaza. C'è anche da dire che gli israeliani non possono da due anni entrare in Egitto. Lo posso dire per esperienza personale: da due anni non ottengo un visto di entrata in Egitto. Penso che dovremmo seguire molto attentamente gli sviluppi delle attuali e future relazioni con l'Egitto. Gli egiziani hanno sempre rifiutato di normalizzare i rapporti con Israele anche prima di Morsi. Sono sempre stati contro la normalizzazione con Israele, che in arabo viene chiamata tatbi'a. Le relazioni sono comunque peggiorate di recente: non ci sono nemmeno rapporti economici (ufficiali), mentre l'Egitto, come altri Paesi nella regione, avrebbe bisogno di Israele dai cui potrebbe trarre beneficio contro la crisi economica. Ci sono relazioni segrete, ma non sono sufficienti. Non vedo nessun cambiamento concreto nel prossimo futuro. Gli egiziani sono sopraffatti dai loro stessi problemi, e l'aspetto economico è fondamentale. Dopo gli sconvolgimenti politici e quando la situazione si stabilizzerà, ossia con un nuovo parlamento e con la nuova costituzione, l'Egitto dovrà affrontare l'economia che versa in uno stato disastroso, e ciò significa che le strade non saranno quiete, riecheggiando la frustrazione dei giovani.
Riguardo al trattato di pace con Israele, che prevede cooperazione economica e nel campo dell'energia, qual è lo status della cooperazione Egitto-Israele, in riferimento anche agli attacchi di sabotaggio contro l'oleodotto in Sinai? I nuovi giacimenti di gas al largo di Israele offrono una soluzione di indipendenza energetica dagli Stati arabi?
Ci sono stati 14 attacchi all'oleodotto, che hanno interrotto il flusso di petrolio verso Israele e verso la Giordania. È chiaro che Israele deve trovare altre fonti di energia. A tal proposito, i depositi di gas scoperti di recente potrebbero essere un vantaggio, ma non vedo nessun margine di indipendenza perché le risorse non sono sufficienti. Nel marzo 2012 una delegazione egiziana si è recata in visita in Israele nel tentativo di riprendere i rapporti economici e nel campo dell'energia, che portano benefici a entrambi gli Stati. Gli accordi prevedono cooperazione economica, e si sono concretizzati in particolare nella costruzione di dieci Qualifying Industrial Zones nel 1996, come risultato di negoziazioni israelo-giordano-egiziane sostenute dagli Satti Uniti che prevedono l'esportazione senza dazi di prodotto verso gli USA. Questo rimane il campo principale di cooperazione economica segreta, limitato alle élite di industriali. Il potenziale di cooperazione è concreto, se si considera la crescita economica dal 2000 in poi. Tuttavia i vari attori sono concentrati sui problemi interni: Israele in attesa delle elezioni, l'Egitto con le guerre di potere tra laici, islamici e altri estremisti. non sappiamo ancora quale sarà la forma di Stato che assumerà l'Egitto. Un segnale molto negativo arriva dai copti, che stanno lasciando il Paese.
Per quanto riguarda le minoranze egiziane, cristiani e donne si oppongono alla nuova costituzione e hanno abbandonato in segno di protesta l'Assemblea Nazionale, mentre le violenze contro cristiani e donne aumentano, come denuncia anche Amnesty International. Qual è il ruolo del nuovo papa copto? I laici si stanno organizzando con azioni politiche parallele?
I copti sono tra gli 8 e i 10 milioni, anche se non c'è un censimento ufficiale da cui trarre cifre esatte. Il papa copto, anche se eletto dalla comunità, non è né più né meno che un ufficiale del governo, quindi non ha un vero ruolo negli affari politici. Il fatto che i copti stiano lasciando l'Egitto indica un alto livello di tensione. Per quanto riguarda le donne nell'Egitto di oggi, sono state loro le vere combattenti della rivoluzione: impegnate, attive e coinvolte nei 18 giorni che hanno portato alla caduta di Mubarak. E ora sono le grandi perdenti della rivoluzione. La nuova costituzione è vaga in riferimento al loro ruolo nella vita quotidiana, mentre in generale si preferisce tenerle a casa velate. Le donne che si avventurano per le strade sono continuamente vittime di attacchi e molestie. Anche le donne straniere sono vittime di simili attacchi: si è incominciato con Sara Logan della BBC, vittima di stupro in un attacco collettivo nel febbraio 2011. Le donne egiziane sono frustrate e arrabbiate, mentre le organizzazioni per i diritti umani sono state messe a tacere e non possono più fare il loro lavoro. Anche se vestite secondo il codice islamico, le donne per strada corrono dei rischi: il velo non le protegge più. Questo atteggiamento verso le donne è una sorta di punizione da parte degli estremisti musulmani e riflette le loro aspirazioni riposte nella rivoluzione. In questo scenario è sconcertante il comportamento degli Stati Uniti. Gli americani erano dietro le quinte, sostenendo la caduta di Mubarak in nome della democrazia e dei diritti umani. Ora Morsi deve andare in vista a Washington e l'America deve fornire soldi, armi e aerei come parte di un accordo di cooperazione militare. È veramente sconvolgente: gli americani hanno esperti, analisti, hanno interessi specifici nella regione, e nonostante tutto ciò siamo finiti con la vittoria dei Fratelli Musulmani. A mio avviso, non capiscono la mentalità mediorientale, non leggono il Medio Oriente come i mediorientali interpretano se stessi. Con questo non voglio dire che gli americani applichino standard da Guerra Fredda, come suggeriscono alcuni autori: vogliono semplicemente liberarsi di Bashar al-Assad e mettere un punto alla questione siriana evitando un massacro, ma non possono intervenire militarmente perché altrimenti la Siria diventerebbe un campo di battaglia tra Stati Uniti e Iran.
La figura vittoriosa di questo cambio di regime è Morsi, il presidente dell'Egitto, che sta indirizzando il Paese verso l'islamizzazione. Ci sono per caso elementi comuni alla rivoluzione khomeinista, come la strategia politica di dissimulazione, adattamento temporaneo alle aspettative occidentali e uso del linguaggio?
Credo che la battaglia in atto possa portare a un regime capeggiato da due tipi di leader religiosi, come in Iran. Ciononostante l'Egitto ha ancora la possibilità di divenire parte della comunità dei Paesi democratici, perché è ancora nel mezzo della rivoluzione.
L’Egitto è da sempre stato il leader del mondo arabo e il miglior alleato degli Stati Uniti e dell’Occidente. Cos’è cambiato dopo la rivoluzione e l’ascesa dei Fratelli Musulmani?
Sotto il regime di Mubarak, l'Egitto era un alleato strategico degli Stati Uniti, e fungeva da elemento d'appoggio per l'equilibrio della regione. La pace con Israele e la politica verso l'Iran degli Stati arabi pragmatici, come l'Arabia Saudita e gli Stati del Golfo, erano i capisaldi dell'alleanza tra Egitto e Stati Uniti. Per contro, l'Egitto poteva contare sull'aiuto militare ed economico che si sostanziava in 1.5 miliardi di dollari all'anno, in fornitura di armi e tecnologia militare, tra cui anche i carri armati Abrams, formazione degli ufficiali dell'esercito negli Stati Uniti ed altro ancora. L'apice della collaborazione si ebbe con l'istituzione di esercitazioni militari congiunte, chiamate "Bright Star" (stella lucente), che avevano luogo ogni due anni e furono estese anche agli Stati del Golfo. L'Egitto garantiva in cambio il passaggio sicuro attraverso il Canale di Suez, fondamentale per il mantenimento della presenza e della politica statunitensi nel Golfo Persico, che si sostanzia nel passaggio attraverso lo Stretto di Hormuz delle petroliere, nella difesa dell'Arabia Saudita e degli Emirati del Golfo, e nella pressione esercitata sull'Iran dalle navi della marina militare americana che pattugliano le acque del Golfo. In linea di principio, questo scenario complesso non esiste più dalla caduta di Mubarak e la conseguente salita al potere dei Fratelli Musulmani, benché per ora le due parti preferiscano non affrontare la questione. I Fratelli Musulmani non hanno ancora una politica estera definita e deve ancora passare del tempo prima che riescano a consolidare il potere. Gli Stati Uniti non vogliono interrompere le relazioni con l'Egitto e pertanto cercano di instaurare un dialogo con i Fratelli Musulmani per tentare di comprendere le loro intenzioni. Le esercitazioni militari congiunte sono state per ora sospese, ma l’aiuto militare continua, anche se al Congresso molte voci sono favorevoli a sottoporre l'aiuto militare alla condizionalità del rispetto dei principi democratici da parte dei Fratelli Musulmani. Lo stesso Obama si è espresso al riguardo in un'intervista alla TV americana sostenendo che l'Egitto non è più un alleato, ma nemmeno un nemico. Com’è cambiata la posizione dell’Egitto verso gli altri Stati arabi e musulmani?
L’avvicinamento con l’Iran indica una svolta nella politica estera egiziana del nuovo regime?
I due pilastri fondanti l'alleanza tra Stati Uniti e Egitto hanno subito per ora delle fratture pericolose: 1) le relazioni tra Egitto e Israele sono peggiorate senza precedenti e la pace tra i due Paesi non è ad oggi assicurata; 2) le relazioni tra l'Egitto e l'Iran non sono più ostili. Il Cairo ha annunciato che non ha più nemici e ha fatto trasparire l'intenzione di aprire un dialogo e stabilire relazioni economiche e industriali con l'Iran. L'Egitto non ha più quel ruolo di leader nel mondo arabo in relazione alla politica pragmatica nei confronti dell'Iran, che ora è ricoperto dall'Arabia Saudita. Nel prossimo futuro ci si aspetta che l'Egitto intensificherà la cooperazione con gli altri Stati arabi e musulmani per estendere l'influenza della Fratellanza Musulmana, con l'obiettivo di creare il Califfato mondiale secondo la visione del fondatore del movimento, Hassan al-Banna. Tuttavia, la disastrosa situazione economica obbliga per ora Morsi ad adottare una politica pragmatica, al fine di ottenere sostegno economico, finanziario e tecnologico dall'Occidente. Inoltre, l'instabilità che caratterizza gran parte del mondo arabo non favorisce i rapporti né le alleanze coi Paesi arabi. L'Egitto ha perso in questa fase la propria influenza sulla regione, esclusa la questione del conflitto israelo-palestinese, in cui ha degli interessi importanti legati direttamente alla sua sicurezza. La domanda che rimane aperta per il futuro è: chi prevarrà? La pragmaticità o l'ideologia radicale dei Fratelli Musulmani?
Dall’inizio della rivoluzione i rapporti tra Egitto e Israele sono peggiorati, quale futuro per il trattato di pace e la cooperazione tra i due Paesi? È un reale cambiamento o il solo sentimento del popolo che Mubarak tentava di contrastare?
Il trattato di pace tra Egitto e Israele ha contribuito alla stabilità regionale e all'avanzamento delle relazioni con gli Stati Uniti, dopo 30 anni di guerra con gravi conseguenze economiche e sociali. Tuttavia, Mubarak non ha sfruttato gli anni di pace per sviluppare l'economia del Paese e per creare un ponte tra Israele e il mondo arabo. Mubarak è stato comunque il mediatore tra Israele e i palestinesi, pur mantenendo uno stato di pace fredda che ha impedito un reale evolversi delle relazioni tra i due Paesi. Israele ha fatto consistenti sforzi per migliorare i rapporti con l'Egitto in ogni campo, ciò che viene chiamata in Egitto "normalizzazione", per dimostrare la volontà di mantenere la pace e per dimostrare che la pace può recare vantaggi anche ai popoli arabi, ma questa disponibilità si è scontrata con l'indifferenza e la mancanza di comprensione da parte egiziana. Mubarak si è impegnato molto nel dialogo tra i due Paesi per garantire la stabilità dell'accordo di pace. I premier israeliani e i ministri degli Esteri e della sicurezza incontravano spesso Mubarak e i loro corrispondenti al Cairo, ma i rapporti tra i due governi non si sono mai estesi anche ai cittadini dei due Paesi. Le associazioni di professionisti delle élite egiziane, come ingegneri, medici, farmacisti, artisti, giornalisti, scrittori ecc. hanno dichiarato un boicottaggio di Israele già nel 1981, proibendo ai propri membri di recarsi in Israele o di instaurare qualsiasi rapporto con l'ambasciata israeliana al Cairo. In questo modo si è impedito qualsiasi collaborazione culturale, scientifica o sportiva tra i due popoli. Ci sono stati comunque accordi commerciali strategici tra Israele e Egitto, ma la pace non ha portato in alcun modo all'avvicinamento tra i due popoli, rimanendo solo un rapporto intergovernativo e tra uomini d'affari vicini a Mubarak.
Quali sono, o erano, i settori fondamentali di cooperazione tra Egitto e Israele? E come sono cambiate le relazioni?
È bene ricordare alcuni accordi tra i due Paesi: l'accordo sulla fornitura di petrolio a Israele, parte del trattato di pace, l'accordo di cooperazione per la creazione di un petrolchimico a Alessandria d'Egitto, e l'accordo sulla fornitura di gas. Vi è anche l'accordo sulle QIZ, Qualified Industrial Zones, che ha permesso all'Egitto di esportare prodotti tessili negli Stati Uniti senza dazi doganali grazie all'accordo tra Israele e Stati Uniti. Grazie a questo accordo l'export nel settore tessile egiziano è aumentato da 200 milioni di dollari nel 2005 a 1,3 miliardi di dollari nel 2011. Israele ha contribuito molto allo sviluppo agricolo dell'Egitto, che era tra i più arretrati del mondo. Esperti israeliani mandati dal governo hanno lavorato in Egitto negli anni '80 e '90 soprattutto nel settore ortofrutticolo. Hanno portato all'Egitto tecnologia nel campo dell'irrigazione, soprattutto per le zone desertiche, hanno elaborato specie adatte al clima e al tipo di terra, trasformando l'agricoltura egiziana da agricoltura di sussistenza a agricoltura da esportazione nel mercato europeo. Migliaia di giovani egiziani sono stati formati nei kibbutzim israeliani dove hanno imparato le tecniche di coltivazione. Purtroppo nessuna di queste cooperazioni si è sviluppata. Di tutti gli accordi citati in precedenza solo il QIZ è rimasto in piedi. L'accordo di fornitura del gas è stato cancellato dalla giunta militare dopo che non è stata capace di impedire gli attacchi di sabotaggio all'oleodotto in Sinai, agendo evidentemente sull'onda dei sentimenti anti-israeliani manifestati in piazza Tahrir. L'accordo di cooperazione nel settore agricolo è stato cancellato dal governo, accusato dall'opposizione di permettere agli israeliani di avvelenare il suolo egiziano! L'unico settore di dialogo tra i due Paesi che continua è la lotta a terrorismo. Le unità militari di collegamento e i servizi di sicurezza tra i due Paesi continuano a scambiarsi informazioni e a collaborare nelle attività antiterroristiche contro i gruppi attivi a Gaza e in Sinai, nell'interesse comune alle due parti. La salita al potere dei Fratelli Musulmani ha certamente incrinato i rapporti. Il dialogo tra le due dirigenze si è fermato e l'incitamento all'odio contro gli ebrei e conto Israele nelle moschee aumenta. Rimane solo il dialogo nel campo della sicurezza che risponde alle esigenze dei due Paesi, ma non è certo quanto possa reggere la collaborazione militare tra due Paesi che non hanno un dialogo politico.
Dove porterà il regime dei Fratelli Musulmani e quale è la posizione delle minoranze liberale e copta riguardo l’islamizzazione del Paese?
Dopo l'approvazione della costituzione a mezzo referendum, la Fratellanza Musulmana è riuscita ad occupare tutte le principali istituzioni, assicurandosi pieni poteri: maggioranza parlamentare in entrambe le camere, la presidenza, il governo, l'esercito, la costituzione, redatta da un'assemblea a maggioranza islamista e abbandonata dai liberali e dai rappresentanti della minoranza copta. La costituzione permetterà di applicare la shari'a, di limitare i diritti fondamentali e di controllare il potere giudiziario. La camera bassa del parlamento è stata sciolta qualche mese fa, e le elezioni seguiranno all'adozione della costituzione: c'è da aspettarsi che i Fratelli Musulmani troveranno il modo di vincere le elezioni, poiché rappresentano un potere non solo politico ma anche sociale e religioso, ben organizzato, con una forte presa a livello istituzionale e sociale. La presa del potere da parte dei Fratelli Musulmani non comporta tuttavia la fine della crisi costituzionale, politica ed economica dell'Egitto, ma al contrario accentua le divergenze con l'opposizione. La costituzione è stata approvata col 64% dei voti a favore contro il 37% dei voti contrari, dopo una dura lotta politica tra i Fratelli Musulmani e l'opposizione, che ha portato a scontri e manifestazioni con sette morti e settecento feriti. Questa costituzione è il prodotto della minoranza islamica che rappresenta il solo 20% degli aventi diritto al voto, (circa 10,3 milioni su 51,9). L'opposizione ha fatto sapere che non accetta la nuova costituzione. Mohammed El-Baradei, coordinatore del movimento delle forze di opposizione "Fronte di Salvezza Nazionale", ha detto che l'approvazione della costituzione è "un triste giorno per l'Egitto che segna l'instabilità del Paese". Il movimento "6 aprile", che rappresenta i giovani che hanno iniziato le proteste contro Mubarak nel gennaio 2011, sta organizzando una grande manifestazione contro la costituzione, indetta per il 25 gennaio, a due anni dall'inizio della rivoluzione. Amro Mussa, tra i leader dell'opposizione, ha annunciato la necessità di costituire un governo d'emergenza di sei mesi, che rappresenti tutte le forze politiche così come la costituzione di una commissione di giuristi che cambi quelle parti della costituzione più controverse. C'è da aspettarsi che Morsi non accetterà queste proposte e che i Fratelli Musulmani faranno di tutto per consolidare il potere, anche usando la forza, con un conseguente peggioramento della crisi nel Paese e soprattutto della situazione economica già disastrosa. I continui scioperi hanno danneggiato la produzione e l'esportazione, il turismo, importante fonte di guadagno, ha subito danni ingenti, e gli investimenti stranieri si sono fermati. Il Fondo Monetario Internazionale ha stanziato 4,8 miliardi di dollari all'Egitto a condizione che siano apportate riforme economiche strutturali che comprendano la cancellazione dei sussidi e la privatizzazione graduale delle imprese pubbliche. Morsi sta affrontando le masse in rivolta contro il regime dei Fratelli Musulmani in piazza Tahrir, e sarà difficile apportare delle riforme strutturali che inevitabilmente colpiranno gli strati più deboli della popolazione, cioè il 50% degli egiziani. Morsi si trova in un vicolo cieco: rinunciare alle riforme, il che vorrebbe dire svuotare le casse dello Stato, con un ulteriore peggioramento della situazione economica, oppure attuare le riforme esasperando gli animi dei suoi oppositori, portando in piazza come già accaduto in passato le masse più povere? La Fratellanza Musulmana è riuscita ad impossessarsi del potere in Egitto, causando più malcontento che consenso, attraverso menzogne e violazioni dei principi democratici. Non è di certo il modo migliore per assicurarsi l'appoggio del popolo egiziano che si aspettava di vedere il proprio Paese intraprendere la strada verso la democrazia e lo sviluppo economico. I cittadini egiziani temono per la loro libertà: la minoranza copta, che rappresenta il 10% della popolazione, circa 8-10 milioni di persone, teme ancor di più per i propri diritti, tanto che circa 150 mila copti se ne sono andati dall'Egitto negli ultimi mesi. Per continuare sulla strada mostrata dall'Iran, governato dalla shari'a, Morsi dovrà spargere molto sangue tra i suoi oppositori, un prezzo che non è disposto a pagare.