Gli studi sulla natura dell’antisemitismo islamico definiscono diversi atteggiamenti nella legge islamica e nella teologia islamica sugli ebrei. Ebrei e cristiani sono considerati monoteisti e quindi hanno diritto alla protezione sotto lo status della dhimma. Ciononostante, secondo il pensiero islamico gli ebrei sono colpevoli di aver distorto il messaggio biblico e di aver rifiutato il profeta Muhammad.
Le fonti islamiche si esprimono diversamente riguardo agli ebrei: alcune descrivono gli ebrei positivamente, mentre altre li considerano manipolatori e complottardi, secondo la storia islamica e gli avvenimenti nella vita del profeta.
A causa di fonti teologiche e giuridiche contrastanti, è difficile definire un pensiero coerente sugli ebrei nell’Islam. Storicamente sia gli ebrei sia altre minoranze non-islamiche sotto dominio musulmano, sono state vittime di segregazione sociale nel sistema della dhimma, che ha alimentato lo stereotipo dell’ebreo debole e infedele.
Lo storico del Medio Oriente Bernard Lewis ha puntualizzato che, comunque, l’ostilità islamica verso gli ebrei non è mai stata razziale o etnica, come si è sviluppata in Europa.
Antisemitismo Islamico ed europeo
Molti storici concordano nel ritenere che l’antisemitismo europeo sia stato importato nel Medioevo durante il XIX secolo. Gli stereotipi antisemiti occidentali, tra cui in particolare la paura di un “complotto giudaico” per il dominio del mondo, si sono radicati nel mondo islamico, che già riteneva l’ebreo come un potenziale pericolo per l’ordine e l’autorità islamica.
Inoltre, l’influenza islamica in molti Paesi arabi negli anni ’30 e ’40 ha anche mobilizzato le masse arabe e musulmane contro le comunità ebraiche. Il Gran Mufti di Gerusalemme Haj Amin al-Husseyni è ritenuto la figura centrale nello sviluppo del pensiero teologico islamico antisemita.
Haj Amin al-Husseyini
Anche in questo periodo la letteratura europea antisemita è ampiamente diffusa tra i lettori arabi, compreso il “Mein Kampf” di Hitler e i “Protocolli dei Savi di Sion” che sono stati dei best-seller negli ultimi anni sia nei Paesi arabi sia tra le comunità di lingua araba in Europa.
Un negozio Virgin a Dubai, con il Mein Kampf in vetrina.
Antisemitismo islamico e Teromondismo
La fondazione dello Stato di Israele ha consolidato la convinzione che gli ebrei siano una minaccia per l’Islam e per la nazione araba. Mentre si ritiene che il conflitto arabo-israeliano sia principalmente politico o territoriale, gran parte dell’ostilità anti-israeliana nei Paesi arabi si nutre di stereotipi antisemiti.
L’antisionismo e l’odio anti-israeliano sono spesso veicoli di convinzioni profondamente anti-giudaiche, poiché l’esistenza di Israele è percepita come un affronto all’identità arabo-islamica.
La retorica anti-israeliana usa un linguaggio terzomondista, mascherando l’antisemitismo con il linguaggio della lotta contro l’oppressione israeliana del popolo palestinese.
Palestinian Media Watch e MEMRI documentano la diffusione capillare dell’antisemitismo nei media, nella letteratura, nella politica e nei dibattiti del mondo arabo, islamico e palestinese in particolare.
L’antisionismo e l’anti-colonialismo hanno coalizzato correnti della sinistra profondamente anti-israeliana e correnti islamiste ferocemente anti-ebraiche, unendo visioni apparentemente inconciliabili. Nonostante le profonde differenze di visione rispetto ai diritti umani e alla secolarizzazione, la sinistra estrema e i movimenti islamisti condividono l’ostilità anti-ebraica, anti-israeliana e anti-occidentale che ha origine anche nel pensiero marxista, nel pensiero post-coloniale e nel pensiero islamico.
Antisemitismo islamico in Europa
L’antisemitismo islamico in Europa è un fenomeno in crescita, sia per il numero sempre maggiore di musulmani sia per gli incidenti antisemiti di allarmante gravità, che sono causati anche dall’estrema destra e dall’estrema sinistra.
Gli episodi di antisemitismo islamico sono particolarmente violenti, tra cui l’attentato alla scuola ebraica a Tolosa perpetrato da Mohammad Merah, i costanti attacchi fisici e verbali agli ebrei in Belgio e in Svezia e l’incitamento all’odio anti-ebraico nelle moschee in tutta Europa.
Le vittime dell’attentato a Tolosa 2012
Le autorità europee, nonostante il fenomeno dell’antisemitismo islamico sia di crescente gravità, non hanno ancora adottato una politica precisa, rifiutandosi di affrontare il problema diffuso nelle comunità originarie del Medio Oriente e dell’Africa islamica.
La propaganda antisemita nei media arabi diffusi in Europa così come la crescente ostilità antiebraica nelle frange dell’estrema destra e il sempre più radicale antisionismo nell’estrema sinistra fanno sorgere dubbi sul futuro dell’ebraismo europeo e delle relazioni tra Europa e Israele.
Professore di storia dell’Europa e dell’ebraismo all’Università Ebraica di Gerusalemme e direttore del Centro Studi Vidal Sassoon sull’Antisemitismo.
In cosa consiste l’antisemitismo islamico? Se si usa l’aggettivo islamico per definire una forma specifica di antisemitismo, soprattutto oggi, s’intende un tipo di ostilità verso gli ebrei, l’ebraismo, il sionismo e lo Stato di Israele che si giustifica sulla base dell’Islam e dei suoi precetti. Questo vale in particolare per quelle correnti dell’Islam che sono spesso definite “fondamentaliste”, e che sostengono che la soluzione per i problemi dell’Islam oggi sia il ritorno ai principi base del credo islamico. Questa corrente dà particolare rilievo al precetto di guerra santa, la cosiddetta “jihad”, contro gli infedeli. Gli infedeli sono identificati principalmente come ebrei e cristiani, che in diversi modi minacciano l’identità, la cultura e il credo della “umma” islamica – la comunità transnazionale che rappresenta più di un miliardo di fedeli. La base ideologica della guerra islamica contro gli ebrei, sia retorica sia pratica, deriva principalmente da fonti islamiche, come nel Corano la guerra che il Profeta Muhammad ha mosso contro gli ebrei nel VII secolo in Arabia, negli Hadit e nelle varie tradizioni che si sono definite nel tempo con riguardo agli ebrei. In questo modo si è creato uno stereotipo che sta alla base dell’antisemitismo islamista che dipinge l’ebreo come infido, sleale, sovversivo, disobbediente verso Dio, colpevole di aver ucciso i profeti che sono stati mandati al popolo ebraico e soprattutto come nemico dell’unità e del credo dell’Islam. È un antisemitismo la cui ragion d’essere versa nell’autorità divina; pertanto il carattere degli ebrei e dello Stato di Israele è predeterminato dal Corano e il conflitto non si risolverà finché i musulmani non riusciranno a distruggere gli ebrei. Oltre a questa particolarità islamica, dal XIX secolo elementi di anti-giudaismo europeo si sono fatti strada nel mondo arabo e islamico, tra cui in particolare l’accusa di omicidio rituale, originato da fonti cristiane medievali e oggi molto diffuso nei media in lingua araba. Inoltre vi è anche la convinzione che gli ebrei cerchino di dominare il mondo, che controllino le banche, i media, il sistema capitalista internazionale, gli Stati Uniti e l’imperialismo occidentale, e che siano anche responsabili del comunismo e delle tendenze laiche in generale. Per questo i “Protocolli dei Savi di Sion” sono così popolari nel mondo arabo-islamico, in cui per anni è stato un best-seller.
Il nazionalismo arabo è particolarmente anti-israeliano e anti-sionista: ha anche degli elementi di antisemitismo? Credo si possa affermare che, sin dalle sue origini nel XX secolo, il nazionalismo arabo ha sviluppato una forma di esclusione verso le minoranze non-arabe e, in molti casi, ha adottato una posizione di sospetto e ostilità verso gli ebrei, che sono considerati o come agenti dell’Occidente o come una quinta colonna sionista. Dopo la fondazione di Israele nel 1948, la condizione degli ebrei nei Paesi arabi è divenuta insostenibile proprio a causa di tale ostilità, ma molto probabilmente gli ebrei sarebbero stati espulsi prima o dopo anche senza l’esistenza di Israele. È successo ai francesi in Algeria, agli italiani, greci e altri in Egitto e sta accadendo lo stesso alle minoranze non-islamiche, in particolare ai cristiani, che soffrono di discriminazione e persecuzione in tutto il Medio Oriente. Assistiamo oggi al tramonto dell’antica storia dei cristiani in Iraq e Siria, mentre vediamo che nei Territori Palestinesi i cristiani sopravvivono a fatica, che in Egitto, Pakistan sono discriminati e il loro futuro è molto incerto anche in Libano. Tutto ciò sta accadendo circa sessant’anni dopo la pulizia etnica di circa un milione di ebrei in tutto il Medio Oriente, mettendo in dubbio l’intero discorso sulla tolleranza musulmana.
Nel suo ultimo libro, “From Ambivalence to Betrayal”, identifica una convergenza ideologica tra Islamismo e Marxismo: in cosa consiste e com’è definito Israele? Credo che al principio questa convergenza fosse funzionale alla diffusione del comunismo ed è stata iniziata proprio dai comunisti dopo la vittoria della rivoluzione bolscevica in Russia. Lenin e i suoi colleghi hanno sostenuto quella che chiamerei una “jihad rossa” contro l’imperialismo occidentale in Medio Oriente e in Asia, rappresentato specialmente dalla Gran Bretagna, che aveva lo scopo di rafforzare la rivoluzione proletaria mondiale. I musulmani non hanno assimilato la propaganda marxista fino alle rivoluzioni nasserista e baathista negli anni ’50 e ’60 in Egitto, Siria, Iraq e Algeria. Proprio in quegli anni l’antagonismo verso Israele e l’Occidente è divenuto il legame tra Unione Sovietica, i suoi alleati e il nazionalismo arabo. Il fattore islamista ha invece assunto un ruolo primario dopo la vittoria degli ayatollah nella rivoluzione islamica nel 1979. Durante gli ultimi trentacinque anni abbiamo assistito alla diffusione di quello che chiamerei “Sciismo rosso”, propugnato dall’Iran, Hezbollah e altri movimenti legati al regime degli ayatollah, capace di essersi posto a capo della “alleanza degli oppressi” contro quello che ritengono “l’arroganza del mondo” (USA) e il “piccolo Satana”, Israele. Questa ideologia clericale, che usa un linguaggio di estrema sinistra per esportare la rivoluzione, adotta una teoria completamente antisemita che unisce il credo in una cospirazione ebraica mondiale con la negazione della Shoah, l’influenza occulta degli ebrei in tutte le sfere di potere in Occidente. L’Iran ha esteso la sua influenza sul mondo arabo, che è pronto a credere in queste idee, anche se vede con sospetto le intenzioni iraniane. L’aspetto più pericoloso, a mio avviso, consiste nel fatto che questa propaganda tossica si è profondamente radicata nella società e nella politica del mondo islamico, creando un enorme distacco dalla realtà e rendendo difficile qualsiasi soluzione ragionevole alla questione della Palestina.
Perché la Sinistra guarda con favore ai movimenti islamisti? Una delle ragioni che mi hanno spinto a scrivere il mio ultimo libro, “From Ambivalence to Betrayal”, è la considerazione che ampie correnti della sinistra, comprese quelle principali, hanno assorbito una certa percezione demonologica di Israele e degli ebrei in generale, completamente acritica e unilaterale. La sinistra si è storicamente proposta come il difensore dei diritti umani, dell’eguaglianza delle donne, dei valori laici umanisti, del rispetto per le libertà individuali e del diritto alla diversità d’opinione: nessuno di questi valori è rispettato nei Paesi islamici. Purtuttavia, invece di applicare questi valori che la sinistra ha fatto propri per denunciare le diffuse violazioni dei diritti umani e della dignità della persona nel mondo islamico, la stessa sinistra ha dichiarato una guerra spesso maligna contro l’unica società democratica nel Medio Oriente. Israele prende sul serio il rispetto di questi diritti, anche se in stato di guerra e in una situazione di costante minaccia esterna. È più che un caso di doppio standard: questa situazione ha a che vedere con pregiudizi sugli ebrei, sull’ebraismo e sulla nazione ebraica che sono radicati nella sinistra e hanno origine nel pensiero marxista e socialista sin dal XIX secolo. C’è un’incapacità endemica nel pensiero marxista di comprendere le singolarità della storia ebraica, la relazione degli ebrei con la Terra d’Israele, il carattere nazionale del popolo ebraico, così come di comprendere i tratti universalistici dell’ebraismo stesso. Forse parte del problema della sinistra oggi è il crollo di molti dei suoi principi cardine, che hanno lasciato un vuoto per cui tutte le cause sociali, compresa quella dell’Islam radicale, sono viste con favore – se non altro perché sfidano l’egemonia del capitalismo occidentale. Alle volte credo ci sia più di un elemento di “odio di sé culturale” in questa posizione che è spesso proiettata contro Israele, pretestuosamente considerato l’ultima roccaforte del colonialismo occidentale.
Nel suo libro spiega come l’asse marxista-islamista abbia sviluppato una retorica e un’ostilità anti-ebraica, analizzando il caso del Venezuela. Vede sviluppi simili anche in Europa? Sono di recente stato due settimane in Francia, dove ho assistito a una manifestazione di strada particolarmente preoccupante, in cui per la prima volta in maniera esplicita si urlavano degli slogan antisemiti, tra cui anche “ebrei fuori dalla Francia”. I partecipanti erano bianchi, neri e dalla pelle scura; alcuni erano di destra, altri dell’estrema sinistra e molti erano evidentemente sostenitori del “commediante” francese antisemita Dieudonné. Credo che nella Francia si possa vedere un microcosmo di una corrente più diffusa nell’intera Europa, per cui l’antisemitismo rappresenta un fattore che accomuna un ampio bacino di ideologie di destra e di sinistra, religiose e laiche, europee e del terzo mondo. Gli slogan che ho sentito mi hanno portato alla memoria quelli che erano diffusi un secolo fa, quando fu creato il movimento ultranazionalista “Action Française”, che già allora aveva attirato elementi dell’estrema sinistra. Il guru dell’antisemitismo in Francia oggi, Alain Soral, è egli stesso un ex-comunista che è passato al Fronte Nazionale e, dopo averlo abbandonato, si definisce ora un nazional-socialista “à la française”: l’antisemitismo è la sua ossessione numero uno ed è molto vicino a Dieudonné. La causa palestinese si è trasformata in una libera piazza do ve s’incontrano antisemiti e anti-sionisti, in particolare della sinistra, ma anche dell’estrema destra, che uniscono le proprie forze con il movimento di massa più dinamico dei nostri giorni: l’Islam radicale. Sembra che far guerra all’ebreo mitologico sia una priorità comune che ha precedenza sulle altre questioni della destra e della sinistra. È con certezza un sintomo patologico dello stato attuale di gran parte dell’Europa.
Lei è uno storico, e come tale poco propenso a prevedere il futuro. Le chiedo comunque come vede il futuro degli ebrei in Europa. Dicono che la profezia venne tolta ai profeti e data ai folli, ma sono pronto a correre il rischio. Considerati gli sviluppi sociali e politici, credo che il futuro di molte comunità ebraiche in Europa sia costellato di problemi. Non credo che scompariranno, fatta eccezione per le comunità più piccole; tuttavia credo che l’emigrazione ebraica aumenterà, soprattutto tra i giovani preoccupati per il loro futuro e per quello dei loro bambini. È pur vero che è un fenomeno comune anche ai non-ebrei e che la questione economica sia anche una delle cause primarie nell’emigrazione. Ma nel caso degli ebrei bisogna aggiungere che si è creato un clima sempre più ostile, che va ben oltre ai tentativi di isolare e delegittimare Israele. Basti pensare, per esempio, ai tentativi di imporre il divieto contro la circoncisione, la macellazione kasher e ai movimenti di boicottaggio nelle università, che sono esempi di un clima sempre più ostile, assieme all’imponente immigrazione islamica e all’antisemitismo che reca con sé. Inoltre, l’inerzia delle istituzioni e dell’opinione pubblica europee ha contribuito a creare una sensazione d’insicurezza. All’infuori delle più grandi comunità ebraiche in Francia, Gran Bretagna e Germania, credo che il futuro sia incerto, ma anche in quei Paesi, soprattutto in Francia, molti ebrei guardano alla loro vita altrove, soprattutto in Israele.
E del futuro di Israele? Per quanto riguarda invece Israele, credo che il futuro sia roseo, nonostante non abbia popolarità per le reazioni irrazionali che le sue azioni sembrano provocare. Le ragioni del mio ottimismo sono le seguenti: negli ultimi anni abbiamo assistito a un’incredibile crescita economica, dei risultati impressionanti nel campo della tecnologia, un atteggiamento più contenuto e realistico verso i limiti del potere, anche se parallelamente si è sviluppato un deterrente militare potente contro possibili aggressioni. La maggior parte dei Paesi arabi nella regione non è ora nella posizione di costituire una reale minaccia, perché troppo concentrati sulle instabilità interne, il caos, e nel caso della Siria per via di un’orrenda guerra civile. È vero che c’è una minaccia terroristica rappresentata da Hamas e Hezbollah, che sarebbero lieti di vedere Israele scomparire, ma per ora sono impotenti nell’agire. C’è anche il tenebroso pericolo del nucleare iraniano, che è la nuvola più scura all’orizzonte e potrebbe mettere in pericolo la stessa esistenza di Israele, ma credo anche che abbiamo la forza, la saggezza e la buona sorte di superare queste difficoltà. Quando mi guardo indietro, avendo circa l’età dello Stato di Israele, vedo che pur con tutti i nostri problemi abbiamo percorso una lunga strada e pensando all’incubo della Shoah, tutto ciò mi sembra un vero e proprio miracolo. Quindi, sì, sono ottimista.
Già Presidente del Comitato Direttivo del Jerusalem Center for Public Affairs (JCPA) e fondatore del programma “Post-Holocaust and Anti-Semitism” presso lo JCPA.
L’antisemitismo in Europa è un fenomeno in crescita, soprattutto tra le comunità islamiche e arabe. Come si manifesta questo tipo di antisemitismo? Non si deve pensare che i principali propugnatori dell’antisemitismo in Europa siano musulmani. Le statistiche dimostrano che non è così. Tuttavia, l’aspetto interessante dell’antisemitismo islamico è la disproporzione tra la quantità incidenti causati da musulmani rispetto al totale della popolazione islamica. In questo senso, il numero di incidenti antisemiti causati da musulmani è di gran lunga maggiore rispetto ai casi di manifesto antisemitismo ad opera di europei. Inoltre i casi di antisemitismo islamico sono spesso molto più gravi rispetto agli altri. Infine la questione più importante è che la leadership musulmana in Europa non affronta il problema e non combatte l’antisemitismo.
Il fenomeno è associato ai movimenti islamisti? Quando si parla di antisemitismo, non credo si possa tracciare una netta differenza tra “movimenti islamisti” e “movimenti islamici”. “Islamista” è un termine utilizzato per indicare le interpretazioni più estremiste e radicali dell’Islam. Ma non è una distinzione che vale anche per l’antisemitismo: molti musulmani che compiono atti di antisemitismo non sono nemmeno religiosi. Dieci anni fa il Capo del Governo della Malesia Mohamad Mahatir è fatto un intervento ad una riunione della Organization of Islamic Conference, con osservazioni antisemite: i leader presenti lo hanno applaudito e nessuno ha preso le distanze dai suoi commenti, nonostante le critiche ricevute dalla comunità internazionale. Questi casi dimostrano che l’antisemitismo è un problema che permea le società musulmane in tutto il mondo, anche se a diversi livelli. Non si deve però generalizzare e arrivare alle conclusioni dell’estrema destra, che rigetta il mondo islamico tout court. Inoltre, il fenomeno va associato alla mentalità criminale del mondo islamico che si manifesta egualmente contro ebrei e cristiani, così come contro l’Occidente in generale, e che in contra però un profondo dissenso in vari gruppi islamici. Il Ministro degli Esteri iraniano Zarif ha di recente dichiarato che il conflitto ad oggi più lacerante coinvolge i Sunniti e gli Sciiti proprio all’interno dell’Islam. E non ha torto.
In cosa consiste l’antisemitismo islamico? L’elemento religioso è fondamentale e non è tanto quello che c’è scritto in un libro sacro, quanto l’interpretazione che ne è data. Se si legge la Torah oggi, si può capire ben poco dell’ebraismo, che ha sviluppato una tradizione giuridica più dettagliata. Il Corano contiene testi che esprimono odio per gli ebrei, definendoli “scimmie e maiali”, così come osservazioni di intolleranza verso i cristiani. Molti musulmani oggi credono nelle scritture alla lettera, per cui si può parlare di antisemitismo ideologico-religioso, che ispira movimenti come Hamas. Tuttavia ci sono altri fattori. Gli europei che sono venuti nel Medio Oriente del XIX secolo hanno introdotto concetti di antisemitismo occidentale: l’accusa di omicidio rituale, come il caso di Damasco nel 1840, non è una tradizione europea ma un esempio di importazione dell’odio nel mondo arabo-islamico.
Il conflitto arabo-israeliano è una delle cause dell’antisemitismo: quali sono le conseguenze della mobilitazione araba e islamica per le comunità ebraiche in Europa Ci sono varie conseguenze. Anzitutto il maggior numero di incidenti antisemiti causati da individui rientra nella categoria dell’antisemitismo islamico, anche se non sono la maggioranza. Le statistiche (come il Rapporto del 2013 della Fundamental Rights Agency, i dati della UK Community and Security Trust, the ricerche del CIDI olandese) dimostrano che il problema dell’antisemitismo islamico è serio, mentre i musulmani continuano ad essere minoranze nei Paesi europei. La seconda questione è la natura più estrema degli incidenti antisemiti causati da musulmani. Vorrei ricordare i tre omicidi in Francia: Sebastien Selam, assassinato nel 2003 dal suo amico d’infanzia musulmano, Ilan Halimi, rapito, torturato e assassinato da una banda di musulmani a Parigi nel 2006 e gli attacchi alla scuola ebraica di Tolosa da parte di Muhammed Merrah, che nel 2012 ha ucciso un insegnante e tre bambini. Merah aveva una certa influenza religiosa, ma non credo che lo stesso valga negli altri due casi. È interessante vedere come gli ebrei europei sono cambiati in conseguenza al crescente antisemitismo e anti-israelismo: le sinagoghe e le istituzioni ebraiche hanno bisogno di molte più misure di sicurezza che non chiese o moschee. Il mio nuovo libro, che sarà pubblicato a breve, parla proprio di questo, in relazione anche alla delegittimazione di Israele. Ho parlato solo degli assassini in Francia, ma è un fenomeno in evoluzione: in passato gli attacchi contro gli ebrei in Europa erano perpetrati da musulmani non-europei, come l’attacco al ristorante Goldenberg nel 1982 a Parigi. Oggi invece gli attacchi sono perpetrati da musulmani europei. In secondo luogo, c’è una crescente opposizione in Europa contro i rituali ebraici, che è una conseguenza della resistenza ai rituali musulmani. Per esempio, le campagne contro la mutilazione genitale femminile e contro la circoncisione sono principalmente dirette contro i musulmani, ma finiscono per attaccare anche la circoncisione maschile ebraica per evitare di essere accusati di razzismo. Lo stesso vale anche per la macellazione rituale. Sono esempi del clima anti-islamico comune all’Europa che però ha conseguenze anche sugli ebrei. In terzo luogo, gli attacchi contro i musulmani e l’Islam, in un’Europa sempre più laicizzante, sono funzionali alla causa contro la religione, compreso il cristianesimo e l’ebraismo. Prima dell’immigrazione islamica in Europa era più difficile fare delle campagne contro la religione: in passato gli ebrei osservanti si mettevano d’accordo con i presidi delle scuole o con i loro capi al lavoro per poter rispettare lo Shabbath, per esempio, mentre oggi non si vogliono riconoscere diritti particolari agli ebrei per non stabilire un precedente in base al quale anche i musulmani possano avanzare simili pretese. Infine, c’è un’altra conseguenza importante che riguarda la politica: i politici anti-israeliani possono ora contare sui voti dei musulmani, che rappresentano in certi Paesi europei un bacino elettorale sempre più importante. Questo succede in particolare nella politica locale: anche se i politici locali non hanno competenze internazionali, le loro posizioni contro Israele fanno piacere all’elettorato musulmano. Un esempio è quello di Pascale Boniface, consigliere del Partito Socialista francese: si è espresso esplicitamente in favore di una politica pro-islamica perché avrebbe portato più voti. Viviamo nell’epoca post-moderna, e nulla è semplice: queste sono azioni intraprese per attirare i musulmani, e gli ebrei ne pagano le spese.
Il conflitto arabo-israeliano ha un ruolo principale nella formulazione del sentimento anti-ebraico? Con certezza. Un caso famoso è stato a Malmö, conosciuta anche come la capitale dell’antisemitismo europeo: l’ex sindaco Ilmar Reepalu ha condannato antisemitismo e anti-sionismo, chiedendo però agli ebrei di condannare Israele, ma astenendosi dal far lo stesso coi musulmani e richieder loro di condannare la criminalità diffuso in ampie parti del mondo islamico.
Tuttavia, molte ricerche sull’antisemitismo negano che ci siano specificità legate al mondo musulmano, perché? Ci sono diverse ragioni. Quando nel 2000 la grande ondata di antisemitismo ha travolto l’Europa, molti episodi di antisemitismo si sono verificati in Francia, dove ci sono le più grandi comunità islamiche e ebraiche. L’allora primo ministro Lionel Jospin, che non è antisemita e nemmeno anti-israeliano, ha negato che gli incidenti antisemiti fossero causati da una motivazione islamica. Il governo non ha voluto affrontare la questione dell’antisemitismo islamico per mantenere la pace sociale e non inasprire i conflitti. Nel 2005 sono scoppiate le rivolte in Francia, e i rivoltosi erano musulmani: prima hanno preso di mira gli ebrei e poi la società francese in generale. Nicola Sarkozy, quando era Ministro degli Interni nel 2002 ha dichiarato pubblicamente che in Francia c’era antisemitismo, mentre il Presidente Jacques Chirac ha continuato a negare per almeno un altro anno il fenomeno. In secondo luogo questa situazione è il risultato delle teorie post-coloniali, che ritengono l’Occidente eternamente responsabile di ciò che avviene nei Paesi che sono usciti dalla colonizzazione. Secondo questa visione, i musulmani sono vittime e in quanto tali non possono essere colpevoli di alcun crimine.
Anche se i Paesi musulmani sono stati colonizzati per periodi molto breve oppure non sono mai stati sotto occupazione straniera… È vero. Ma l’idea di “vittima assoluta” si è sviluppata con la Shoah. Gli ebrei erano le vittime e ora sono i musulmani a esser ritenuti riconosciuti come vittime. In più, secondo l’ideologia socialista la vittima non può aver torto perché è oggetto di violenza e ingiustizia, pertanto la vittima non può essere mai colpevole. Senza dubbio si sta sviluppando in Europa una corrente islamofoba, a causa dei movimenti razzisti europei, ma questo non dovrebbe impedire di analizzare la questione dell’antisemitismo tra le comunità islamiche. Ma parlare di questo significherebbe affrontare la più grande questione del razzismo delle minoranze, per molti europei ancora inconcepibile. Non molto tempo fa, un giornalista israeliano a fatto un reportage per la TV israeliana (Canale 10) sulle comunità islamiche in Europa: fintosi palestinese e parlando arabo perfettamente, è andato a investigare diverse comunità islamiche, portando alla luce un profondo antisemitismo e razzismo anti-israeliano. Credo sia assurdo che proprio un canale televisivo israeliano invece di una TV europea debba fare un tale reportage; e trovo ancora più assurdo che non sia stato trasmesso in nessuna TV europea! C’è una cospirazione del silenzio, che fa parte di quello che definisco “Europa criminale”.
Cosa intende con l’espressione “Europa criminale”? È il tema del mio libro “Demonizing Israel and the Jews”: l’unione di molti fattori in Europa, tra cui la post-modernità, ha portato alla criminalizzazione ideologica di Israele. Gli studi compiuti in diversi Paesi europei dimostrano che molti europei sono convinti che Israele tratti i palestinesi come i nazisti con gli ebrei, o che stia combattendo una guerra per sterminarli – il 38% degli italiani è di quest’opinione. Chiunque venga in Israele si rende conto che ci sono Palestinesi ovunque e che anzi la popolazione palestinese sta crescendo. Se muovi false accuse contro qualcuno, sostenendo che è un criminale, tu stesso hai una struttura mentale criminale: la gente ha delle opinioni irrazionali contro Israele, che sono evidentemente false, e questa è la conseguenza di un atteggiamento criminale.
Che cosa fanno le autorità? Alle volte agiscono, soprattutto nelle scuole; ma in generale fanno ben poco. Le reazioni rimangono per lo più retorica: le autorità predicano bene e razzolano male. Il ’68 ha portato a un collasso dell’autorità in Europa: governo, polizia, chiesa, e genitori. Di conseguenza, i governi non possono trattare di certi fenomeni. Ho citato il caso della città svedese di Malmö: i giudici svedesi non si sono mossi nonostante le denunce per gli incidenti antisemiti causati da musulmani. E ignorano anche gli incidenti anti-israeliani. Il sentimento anti-israeliano tuttavia non è causato da musulmani, bensì da certe fazioni della sinistra, del mondo accademico e delle organizzazioni umanitarie. C’è un profondo razzismo negli ambienti anti-razzisti – basti pensare a quanto è accaduto nel 2001 durante la Conferenza delle ONG su razzismo e xenofobia a Durban, che è finita per essere un enorme evento antisemita e anti-israeliano; o al Rapporto Goldstone, redatto da una Commissione ONU con un mandato razzista.
La consistente immigrazione islamica e le difficoltà nell’integrazione musulmana stanno rafforzando nuovi movimenti di estrema destra. Quali sono le conseguenze per l’Europa e per gli ebrei? È difficile dirlo, ma si può giungere a qualche conclusione osservando quanto accade in Ungheria e Grecia: in entrambi i Paesi si stanno sviluppando dei movimenti neo-fascisti e neo-nazisti, con elementi antisemiti. Tuttavia, la destra populista è talmente variegata che è difficile fare delle previsioni. Marine Le Pen in Francia è populista, ma non proprio neo-fascista, mentre il padre lo è. Geert Wilders in Olanda è populista, ma non neo-fascista.
Che cosa dovrebbe fare l’Europa? Ci sono pochi strumenti contro l’antisemitismo e l’Europa ha di recente fatto un enorme passo indietro: la definizione di antisemitismo è stata tolta dal sito internet della Fundamental Rights Agency, istituto dell’Unione Europea. A mio avviso i leader europei per lo più non vogliono combattere veramente l’antisemitismo e certamente non vogliono combattere l’anti-israelismo. Per dirla in maniera molto semplice, una brutta Europa sta crescendo. Se l’Ambasciatore dell’Unione Europea in Israele fa delle false dichiarazioni sull’atteggiamento della UE verso Israele, riflette la mentalità diffusa in Europa, che è anti-israeliana e basata su false convinzioni. Come ho detto, il problema principale dell’Europa è la struttura mentale criminale di molti cittadini e Israele è un’ottima cartina torna sole per testare la criminalità dell’Europa. L’Europa dovrebbe combattere l’antisemitismo e l’anti-israelismo perché sono fenomeni correlati; i leader europei dovrebbero analizzare come questa mentalità criminale anti-israeliana si sia sviluppata, ma non lo vogliono fare perché porterebbe ad accusare l’Unione Europea, i media, le ONG, i leader, i politici, i leader religiosi e la società civile in generale. Questo è proprio ciò che i leader europei vogliono evitare ad ogni costo.