Tzahal è l’acronimo ebraico di “Tzva haHagana leIsrael”, Forze di difesa di Israele, ufficialmente costituitosi nel 1948 dal gruppo paramilitare Haganah, e integrando altri gruppi paramilitari come il Lehi e l’Irgun, che servivano da forze di difesa delle comunità ebraiche durante il Mandato Britannico.
Combattenti dell’Haganah Simbolo del Lehi Simbolo dell’Irgun
Le sue radici affondano nella storia delle comunità ebraiche dell’Impero Ottomano, durante il cui governo è stata fondata l’organizzazione di difesa Bar Giora per proteggere le colonie ebraiche. Durante il Mandato molti gruppi paramilitari sono stati fondati con diverse missioni e orientamenti politici. Ben-Gurion li ha portati tutti dentro Tzahal, sciogliendo quelle organizzazioni che non hanno voluto accettare l’integrazione.
La missione di Tzahal è la protezione di Israele, facendo fronte ai pericoli di carattere unico, così come degli ebrei nel mondo. Il nome Tzahal reca in sé l’idea di difesa, “haganah”, ricordando anche l’organizzazione paramilitare attiva durante il Mandato.
Il Capo di Stato Maggiore è il verticle di Tzahal, ora Benny Gantz, che lavora sotto supervisione del Ministro della Difesa.
Tzahal comprende la leva militare di uomini e donne, obbligatoria per tre e due anni rispettivamente. I riservisti sono anche un’importante risorsa per Tzahal, che diversamente da altri eserciti ha un percorso unico e comune a soldati e ufficiali, creando un senso di eguaglianza caratteristico della sua struttura.
Tzahal costituisce una delle più importanti istituzioni sociali israeliane, per la sua capacità di integrare i diversi gruppi culturali, per le sue strutture educative che offrono opportunità di crescita professionale. Tzahal è anche al centro del dialogo e dei dibattiti sociali, costituendo l’esperienza fondamentale comune alla maggior parte dei cittadini e per la sua importanza nel fronte ai pericoli di sicurezza.
L’eguaglianza in Tzahal
Una delle prime battaglie sull’eguaglianza all’interno di Tzahal è stata la lotta per le pari opportunità. Anche se soggette a leva obbligatoria, alle donne sono sempre stati assegnati compiti nelle unità di fanteria o altri ruoli minori. Dal 1996, dopo l’intervento della Corte Suprema, le donne hanno fatto carriera in tutte le branche dell’esercito, compresa l’aeronautica e le unità di combattenti. Lo stesso vale anche per la polizia di frontiera, formalmente non parte dell’esercito e col compito di mantenere la sicurezza in aree urbane e rurali.
Soldati beduini
I cittadini non-ebrei di Israele solitamente non fanno il servizio militare. Drusi, circassi e molti beduini servono nell’esercito. Fino agli anni ’80 i membri delle minoranze servivano nella “Unità Minoranze”, ma Tzahal ha poi deciso di integrarli nelle unità regolari di tutte le branche, inclusa l’intelligence.
Padre Nadaf con Benyamin Netanyahu
Gli arabi israeliani non servono generalmente nell’esercito, e sono attivi tra beduini e drusi per scoraggiare il servizio militare. Tuttavia un numero crescente di cristiani si arruola volontariamente per integrarsi nella società israeliana. Padre Gabriel Nadaf, Greco ortodosso di Nazareth, è il leader spirituale dell’integrazione dei cristiani nella società israeliana, favorendo l’arruolamento. Di recente anche ragazze cristiane si sono arruolate.
La minoranza haredi (gli ultra-ortodossi) sono tradizionalmente contrari alla leva militare. La Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale la politica di esenzione dal servizio militare e il governo sta attuando politiche di integrazione dei haredim nell’esercito con molto successo. C’è un’unità haredi, che rispetta le norme alimentari e la divisione dei sessi; raramente i soldati haredi servono nelle altre unità, anche se nell’aeronautica le cose stanno cambiando.
I religiosi sionisti servono nell’esercito, che permette loro di combinare il servizio militare con gli studi religiosi.
Dagli anni ’90, Tzahal non discrimina sulla base dell’orientamento sessuale, con un sempre maggiore numero di soldati e ufficiali apertamente omosessuali.
Tzahal ha specifici servizi che permettono l’arruolamento di soldati con necessità fisiche particolari.
I vegani hanno diritto a un’uniforme con materiali non di origine animale e a un’alimentazione conforme ai loro valori.
Tzahal serve anche come istituzione che offre opportunità sociali, con percorsi educativi. Ci sono programmi particolari che arruolano studenti di talento per le unità di ricerca all’interno dell’esercito, con importanti sviluppi di uso civile. Lo stesso vale per altre branche, come l’intelligence, l’apparato legale e medico.
Tzahal è più che un esercito, potendo esser considerato una fabbrica sociale che dà valore ai talenti dell’individuo permettendo una vita pluralistica.
Missione e sfide Lo spirito di Tzahal
Tzahal ha un codice (in ebraico “ruah Tzahal, spirito di Tzahal”) che integra diritto internazionale, israeliano e tradizione ebraica. Oltre a disciplina, fedeltà e responsabilità, i principi cardine di Tzahal includono anche l’esempio personale, il rispetto per la vita e la dignità della persona così come il senso di missione. Questi principi generano alti principi morali.
Benny Gantz
Tra le principali sfide di Israele vi è la lotta al terrorismo, che è una guerra asimmetrica contro organizzazioni paramilitari che hanno scardinato i principi chiave del diritto umanitario, ossia la distinzione tra combattenti e civili. Tzahal ha contribuito con le proprie pratiche di lotta anti-terrorismo a sviluppare nuove norme di comportamento morale nella guerra asimmetrica.
Qual è la missione di Tzahal? Tzahal esiste per difendere Israele, i suoi cittadini, e gli ebrei nel mondo. Si sta formando un’opinione condivisa che considera Tzahal l’assicurazione sulla vita di Israele e degli ebrei, perché Tzahal è impegnato a difendere gli israeliani così come a salvare gli ebrei ovunque siano in pericolo nel mondo.
Tzahal ha appoggio internazionale? C’è un certo appoggio a livello internazionale, più che altro da parte delle comunità ebraiche, ma anche di altri gruppi. Questo sostegno rafforza il nostro spirito e la devozione alla missione dell’esercito israeliano, anche se si sentono di più le critiche che riceviamo. Oltre all’obiettivo primo di difendere Israele e gli ebrei nel mondo, le Forze di Difesa Israeliane hanno anche una missione universale, portando aiuto in situazioni di crisi ovunque nel mondo: Tzahal è il primo ad arrivare in situazioni di crisi dopo disastri naturali, costruendo interi ospedali operativi dopo 24 ore, distribuendo aiuti e aiutando le persone. L’ultimo caso è stato nelle Filippine, per esempio, dove Israele è stata uno degli attori principali nell’intervento post-crisi.
Cosa caratterizza Tzahal? Tutti gli eserciti esistono per proteggere i cittadini dei loro Stati. Tzahal è un esercito con una missione morale. Bisogna considerare la realtà che Israele ha davanti: siamo circondati da vicini il più delle volte ostili e questo significa che le nostre attività sono portate a termine in condizioni molto dure. Per fare un esempio, si può pensare alle attività militari che portiamo a termine quando Israele è sotto attacco da organizzazioni terroristiche: il nostro scopo è attaccare obiettivi militari, ma per farlo bisogna distinguere tra civili e combattenti e alle volte devi distinguere tra un terrorista che rappresenta un pericolo per la sicurezza di Israele da un civile innocente che sta a pochi metri.
I valori morali sono parte di Tzahal: come? Tzahal comprende che i valori morali sono parte della nostra storia e della cultura ebraica. Il nostro impegno di uomini prima, e soldati poi, chiarisce ogni dubbio su cosa dobbiamo fare. Esiste una relazione molto forte tra soldato e comandante che è basata sula fiducia, per cui il soldato capisce che la sua missione non solo è importante da un punto di vista tattico, ma anche che la decisione di portarla a termine ha già vagliato gli aspetti morali. Questa relazione di fiducia è costruita nel tempo e basta anche un piccolo errore per distruggerla.
Il codice di Tzahal comprende anche la possibilità di non portare a termine un’azione in certe condizioni. Tzahal, in quanto esercito, lavora sulla base di ordini, che sono il risultato di lunghe considerazioni, analisi e di fiducia. Tuttavia, non ho mai sentito di un soldato che non ha eseguito un ordine perché non si sentiva in grado di farlo. Come ho detto, soldati e ufficiali sono legati da un rapporto di fiducia, cosicché quando ricevono un ordine, sanno che è la cosa giusta da fare. Sono molto fiero che la fiducia sia l’essenza delle relazioni tra soldati e ufficiali nel nostro esercito.
Ma è successo anche nella Seconda Guerra in Libano che alcuni soldati abbiano deciso all’ultimo momento di non colpire certi obiettivi. Gli ufficiali decidono e pianificano una certa missione e il soldato sul campo porta a termine una certa politica, che incomincia dal Capo di Stato Maggiore per finire al singolo soldato seguendo una catena di ordini. Per esempio, nella politica contro le organizzazioni terroristiche, l’esercito può decidere di colpire una cellula terroristica, per cui un soldato ha l’ordine di colpire un determinato obiettivo a una determinata ora. Questo ordine è il risultato di considerazioni strategiche, tattiche, giuridiche e morali ed è definito da certe condizioni. Il singolo soldato che ha ricevuto l’ordine può rendersi conto che le condizioni sul campo di battaglia sono diverse e, di conseguenza, può decidere di non portare a termine la missione. Quindi un soldato può non eseguire un ordine se le condizioni sul campo sono diverse da quelle che hanno portato alla formulazione dell’ordine, ma non vuol dire che i soldati possono rifiutarsi di eseguire un ordine sulla base di considerazioni morali individuali.
Tra le critiche più comuni contro Israele c’è quella secondo cui Israele e l’esercito israeliano violano il diritto internazionale, ma Tzahal ha consiglieri giuridici al proprio interno? Ci sono diversi aspetti legati a una decisione: morali, politici, strategici, tattici e legali. Per quanto riguarda il diritto, ci sono anche diversi livelli: uno interno, uno nazionale e uno internazionale. Tzahal pianifica le azioni in conformità alla legge israeliana e al diritto internazionale. C’è una commissione dietro ogni azione, e il consiglio giuridico è parte della decisione. Ogni azione è il risultato di analisi molto approfondite; bisogna tener presente anche il contesto regionale e le sfide che Israele affronta: il minimo errore tattico nel Medio Oriente può inficiare un’intera strategia. Ci troviamo ad agire in una situazione molto complessa e dobbiamo continuare ad agire secondo il nostro codice.
Quali sono le sfide future di Tzahal? Stiamo vivendo in un periodo di profondi cambiamenti, che hanno importanti conseguenze geopolitiche, piene di rischi e di opportunità. Tzahal, in quanto esercito, deve prima considerare i rischi ed esser pronto a qualsiasi scenario. Per esempio, il confine settentrionale di Israele: anche se Israele non è coinvolta in quello che sta accadendo in Siria, la guerra ha delle conseguenze in Israele, perché molti missili spesso cadono sul territorio israeliano. In generale, l’intero Medio Oriente sta cambiando e dobbiamo esser pronti a rispondere a possibili scenari ostili, anche perché Israele è il nemico comune di molti attori nell’area che potrebbero unirsi.
Israele è comunque impegnato nella missione umanitaria. Certo. Più di 250 civili siriani, appartenenti a tutte le fazioni, sono stati portati in Israele e hanno ricevuto trattamento medico in ospedali israeliani per esser poi fatti rientrare in Siria.
Tzahal ha anche un’importanza sociale? Quando cammini per le strade di Israele, puoi vedere che quasi tutti i cittadini sono stati o saranno nell’esercito. L’esercito è parte della struttura sociale israeliana e dell’ethos israeliano. Negli ultimi anni un crescente numero di haredim, gli ebrei ultra-ortodossi, serve nell’esercito: ora c’è anche un’unità haredi e 1500 haredim servono nell’aeronautica. Israele è una società complessa piena di diversità, e l’esercito è molto attento a rispettare le diversità culturali.
Tzahal è stato uno dei maggiori attori che hanno contribuito all’integrazione dei diversi gruppi sociali israeliani: è ancora così? I haredim non servivano nell’esercito, ma ora ci sono sempre più soldati haredi. Gli arabi non devono servire nell’esercito, per varie ragioni, ma beduini e drusi fanno il servizio militare come altre minoranze. Tzahal rispetta il principio di eguaglianza tra i vari cittadini e integra le diversità. Per esempio, i nuovi immigrati, gli olim hadashim, fanno corsi di ebraico e di cultura israeliana per integrarsi nella società. Non solo, ma Tzahal offre istruzione in ogni campo perché sostiene la crescita individuale: le persone ne hanno beneficio e così anche lo Stato. Tzahal si basa sul principio di pari opportunità: non importa quale sia il contesto sociale, culturale o economico da cui un singolo individuo proviene, nell’esercito troverà eguali opportunità. Tzahal è conosciuto per le sue risorse tecnologiche, ma in realtà la prima risorsa dell’esercito israeliano e la sua prima forza sono le persone.
E sull’eguaglianza di genere? In Israele le donne devono servire nell’esercito come gli uomini. Una volta gli uomini e le donne avevano compiti diversi, ma di recente le cose stanno cambiando radicalmente e sempre più donne servono nelle unità combattenti, anche in aeronautica. Abbiamo anche un’ufficiale donna, la generalessa Orna Barbivai, che è la prima responsabile donna delle risorse umane di Tzahal.
Sulla cooperazione militare tra Israele e Italia? Italia e Israele hanno ottime relazioni costruite in molti anni di cooperazione e basate soprattutto su valori condivisi e interessi. La cooperazione militare include anche aspetti di politica militare e relazioni industriali, il che significa che c’è una profonda fiducia tra le due nazioni.
Qualcosa che vorrebbe aggiungere? Personalmente, vorrei dire che per me servire nell’esercito non è un lavoro: lo considero un servizio che rendo al mio Paese, in quanto israeliano. Ho combattuto nella Seconda Guerra in Libano, quando i cittadini del nord erano sotto attacco dei missili lanciati dal Libano. Mi ricordo di aver chiamato un giorno mia sorella e i miei genitori che vivono a Haifa, per dirgli che io stesso avevo preso parte al sistema di difesa. Prima di venire in Italia, la mia famiglia ed io vivevamo in una base militare nel nord, dove sono caduti molti missili, e ogni volta correvo sul mio F16 per fermare il lancio dei missili. Sono fiero di essere parte di Tzahal e di contribuire alla difesa dello Stato di Israele.
Quali sono le sfide di difesa che Israele deve affrontare nel prossimo futuro? Il Medio Oriente sta cambiando interamente e il primo problema che Israele deve affrontare è la nuova realtà geopolitica, con conseguenti sfide esterne. L’intero esercito e l’aeronautica in particolare devono trovare una soluzione a queste sfide militari per prevenire minacce esterne, il che significa che dobbiamo esser pronti a reagire a un diverso ventaglio di rischi.
Qualche rischio esterno di maggiore rilevanza? Non possiamo predire il futuro, ma i maggiori rischi possono provenire dal confine nord e sud. La questione non è quali sfide si dovranno affrontare, ma come le affronteremo. E per questo credo che lo sviluppo tecnologico sia la maggiore soluzione. Israele è un Paese piccolo, e non possiamo contare su un grande numero di soldati, anche se si includono i riservisti. Pertanto dobbiamo sviluppare altre forze, che sono nella tecnologia.
In questo campo, Israele e Italia hanno sviluppato relazioni militari. Israele e Italia hanno forti relazioni diplomatiche e questo si riflette anche nella cooperazione militare, che va oltre i due eserciti. La cooperazione militare comprende anche cooperazione industriale e tecnologica. Tre, quattro anni fa abbiamo incominciato a lavorare su progetti comuni e le relazioni si sono sviluppate nel lungo termine. Per esempio, compriamo aerei dall’Italia.
Un progetto su cui state lavorando? Sono ora a capo di un progetto di cooperazione tra Israele e Italia che comprende relazioni industriali. Il progetto riguarda aerei da addestramento, e l’Italia produce gli aerei più avanzati. Nello specifico stiamo lavorando con Alenia Aermacchi, il nostro partner nel progetto.
Altri campi di cooperazione? Italia e Israele cooperano anche a livello di politica e i due eserciti hanno sessioni di addestramento. Questo significa non solo che i due Stati hanno relazioni diplomatiche, ma anche che ci sono buone relazioni tra gli individui, basate su valori e obiettivi comuni. Questo tipo di cooperazione, basato su valori e anche relazioni personali è importante in ogni campo, e ancor più in quello militare.
Una delle sfide che Israele dovrà affrontare è la battaglia dell’informazione sulle questioni militari e nell’arena diplomatica. Tzahal sta lavorando a questo? Non sono un diplomatico, ma un soldato, quindi non sono un grande esperto. Come soldato e come israeliano posso dire che siamo rispettosi della sensibilità del pubblico, e questo può voler dire che alle volte siamo troppo delicati. In diplomazia abbiamo paura di mostrare le cose come sono, perché questo può urtare i sentimenti del pubblico, soprattutto per quanto accade alla popolazione civile sotto attacco o nel campo di battaglia. Senza dubbio i diplomatici dovranno forse parlare di più di quanto sta accadendo, della realtà, di come viviamo e delle minacce incombenti su di noi. Questo tuttavia non significa che dobbiamo cambiare il nostro approccio, perché continueremo a essere sensibili su certi argomenti: in Israele non mostriamo immagini crudeli di guerra o di attacchi terroristici, perché consideriamo quest’approccio irrispettoso del sentimento pubblico.