Israele è nata come Stato ebraico e democratico, quale Stato-nazione del popolo ebraico. Tuttavia, poiché l’ebraismo è anche una religione, questa gioca un ruolo particolare nel rapporto con lo Stato.
Il ruolo della religione nella sfera pubblica può definire uno Stato come laico, laicista o come una teocrazia. In una teocrazia, la legge religiosa è legge dello Stato che diviene difensore della religione. Nel laicismo, la religione è bandita dalla sfera pubblica e relegata a mero fatto privato. Nella laicità, la religione occupa uno spazio particolare nella sfera pubblica: come identificazione storico-culturale, come riferimento all’identità collettiva nel discorso pubblico, o come sfera autonoma in ambiti definiti (diritti delle comunità religiose, tribunali religiosi ecc.).
Lo status quo tra laici e religiosi
Al momento della fondazione di Israele nel 1948, i partiti laici hanno trovato un accordo con i rappresentanti dei gruppi religiosi sul rapporto tra religione e Stato, lo status quo del 1948.
Ben Gurion, 1947, sotto la scritta “ebraica”.
Secondo lo status quo, le istituzioni di Israele si identificano con la tradizione ebraica, rispettando il calendario ebraico e le regole alimentari ebraiche. Per questo il trasporto pubblico cessa di shabbath e durante le festività così come gli uffici pubblici servono cibo kasher. Lo status quo prevedeva poi il mantenimento dei tribunali religiosi con competenza in materia di diritto di famiglia. Infine, agli ultra-ortodossi è garantita l’esenzione dalla leva militare obbligatoria.
La definizione di Stato ebraico e democratico
Stato ebraico significa Stato-nazione del popolo ebraico, che adotta come missione storica la perpetuazione storica e culturale del popolo ebraico. Israele è uno stato ebraico nel senso che è lo Stato della nazione ebraica, la cui cultura maggioritaria è ebraica. Israele è uno Stato democratico nel senso che è uno Stato di diritto che rispetta i diritti umani, e il principio di libera auto-determinazione dell’individuo.
Con le parole di Aharon Barak, giudice della Corte Suprema di Israele, “gli elementi fondamentali che dànno forma a Israele quale Stato ebraico sono il Sionismo e la tradizione ebraica. A fondamento della visione sionista vi è il riconoscimento del diritto di ogni ebreo ad immigrare in Israele, dove gli ebrei costituiscono la maggioranza della popolazione, dove la lingua ufficiale maggioritaria è l’ebraico e dove festività e simboli rispecchiano la rinascita nazionale del popolo ebraico”.
La religione nella sfera pubblica
L’ebraismo come tradizione giuridico-religiosa entra nella sfera pubblica solo laddove la legge dello Stato lo permetta. È questo il caso dei tribunali rabbinici che, al pari dei tribunali delle altre religioni riconosciute (Islam, drusi, cristiani di varie confessioni), hanno competenza esclusiva in materia di matrimonio e divorzio, applicando la legge ebraica.
L’ebraismo è poi fonte di ispirazione nelle decisioni dei tribunali e in particolare della Corte Suprema, che decide in base alla legge di Israele, quale Stato ebraico e democratico. Pertanto, non è il diritto ebraico che viene applicato, ma è la tradizione storica e culturale ebraica che diviene fonte di ispirazione.
Le tensioni tra laici e religiosi
Le tensioni tra laici e religiosi in Israele riguardano questioni politiche e sociali. Il desiderio di trasformare Israele in uno Stato ebraico ove si applichi la legge ebraica è una visione che appartiene a un gruppo minoritario e marginale.
Al centro di queste tensioni vi è il riconoscimento del matrimonio civile, che in Israele non è riconosciuto. Quanti non possono contrarre matrimonio religioso, come chi non ha una particolare affiliazione religiosa o le coppie dello stesso sesso, lottano per l’introduzione del matrimonio civile, mentre i religiosi preferiscono mantenere lo status corrente, con la possibilità del riconoscimento delle coppie di fatto o dei matrimoni civili celebrati all’estero.
Altra questione rilevante è l’esenzione della leva militare per gli ultra-ortodossi, il cui numero è sensibilmente aumentato dal 1948, e che hanno benefici e sussidi per mantenere uno stile di vita dedicato allo studio della Legge. L’alta natalità, il basso livello di istruzione sono anche causa di ristrette opportunità economiche.
I gruppi religiosi hanno poi idee politiche ben definite sulla questione dei territori contesi di Giudea e Samaria, dove la vita ebraica è considerata un dovere religioso. Il loro attaccamento sentimentale e religioso alla terra li rende meno inclini a soluzioni che includano concessioni territoriali ai palestinesi.
Tra i religiosi nazionali o religiosi sionisti, che riconoscono Israele come Stato del popolo ebraico, e gli ultra-ortodossi (haredim), si è creata una tensione riguardo alla gestione degli affari religiosi delle comunità ebraiche, sinora dominata dagli ultra-ortodossi. I religiosi sionisti, che per la maggior parte sono ebrei ortodossi moderni, sono favorevoli all’estensione della leva militare obbligatoria o del servizio civile per tutti i cittadini, compresi arabi ed ebrei ultra-ortodossi; sono inclini ad alleggerire le pratiche di conversione all’ebraismo; e sono ferventi difensori del diritto di Israele ad esistere come Stato ebraico contro le correnti ultra-ortodosse che sono indifferenti o contrarie alla costituzione di Israele da un’impresa umana e non divina.
In generale, Israele è caratterizzata da un pluralismo radicale, per cui le tensioni tra visioni politiche, sociali e ideologiche diverse, compresa la questione laici-religiosi, si compongono nel discorso pubblico.
Dalia Dorner è stata giudice della Corte Suprema di Israele dal 1993 al 2004. È presidente del Consiglio dei Giornalisti di Israele. La sua attività giurisprudenziale si è caratterizzata per la difesa dei diritti umani e del principio di auto-determinazione dell’individuo.
Israele è stata fondata come Stato “ebraico e democratico”: come si integrano ebraismo e democrazia? Ebraismo e democrazia devono vivere in simbiosi. La “Grundnorm”, la norma di base di Israele, poiché non abbiamo una costituzione ma Leggi Fondamentali, è la Dichiarazione di Indipendenza, che stabilisce il principio di simbiosi tra la natura ebraica e la natura democratica dello stato. In molti pensano che questo possa essere un ossimoro, ma io sono di avviso contrario. I principi ebraici, che fanno parte della tradizione del popolo ebraico, sono principi universali che l’ebraismo ha diffuso nel mondo. La Dichiarazione di Indipendenza di Israele ha scelto tre di questi principi universali che sono anche ebraici: giustizia, libertà e pace. Israele è anche Stato ebraico nel senso di Stato degli Ebrei. Israele riconosce uno status particolare agli ebrei, e questo è dovuto al fatto che Israele è stata fondata dopo la Shoah, sulla base della risoluzione ONU che ha destinato il territorio a uno Stato ebraico e uno arabo. Pertanto, Israele è nata come Stato ebraico con lo scopo di riunire il popolo ebraico entro i propri confini. Mi ricordo personalmente delle navi di rifugiati ebrei che scappavano dalla Germania senza che alcuno Stato li accogliesse: né gli Stati Uniti, ora nostri amici, né l’Australia, né la Nuova Zelanda. Quelle navi sono ritornate in Germania e i rifugiati ebrei non si sono slavati. Secondo la Dichiarazione di Indipendenza, Israele, come Stato ebraico, è aperto all’immigrazione ebraica ed è per questo che è stata introdotta la Legge del Ritorno, che garantisce automaticamente la cittadinanza agli ebrei che vogliono vivere in Israele. La Legge del Ritorno, quindi, riflette lo scopo dello Stato che consiste nel riunire gli ebrei dalla Diaspora entro i confini di Israele.
E qual è lo status dei non-ebrei nello Stato ebraico e democratico? La Dichiarazione di Indipendenza stabilisce anche il principio di non-discriminazione, per cui Israele non discrimina su base di razza, religione o sesso, e qui si sostanzia la natura democratica dello Stato di Israele, che è uno Stato ebraico con cittadini non ebrei. Il principio di non-discriminazione è anche connaturato alla tradizione ebraica. Ci sono due esempi che si possono fare in proposito. Uno è dal libro del Levitico (19:34), che recita: “Lo straniero che soggiorna fra voi, lo tratterete come colui ch’è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”. Il principio espresso dal passo biblico è radicato nella storia ebraica: il popolo ebraico ha subito discriminazioni, deportazioni, violenze e genocidi e quindi proteggerà e tratterà con eguaglianza gli “stranieri”, cioè i non-ebrei. Inoltre, si legge nella Mishnah che Hillel il Saggio è stato avvicinato da un uomo che gli ha chiesto di spiegargli l’ebraismo sorreggendosi su una gamba sola. Hillel rispose: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te, questa è l’essenza della Torah, il resto è commento”. Ossia, per Hillel trattare il prossimo con lo stesso amore che si porta verso se stessi, quindi lo spirito di eguaglianza, è il principio fondamentale da cui tutti gli altri derivano. Israele favorisce gli ebrei nell’acquisizione della cittadinanza, ma riconosce anche il principio di eguaglianza tra ebrei e non-ebrei. Nella realtà è vero che ci sono conflitti e tensioni riguardo al rispetto dei diritti umani, tuttavia questa non è solo una questione di diritto, ma anche di sviluppo sociale e educazione. È importante notare, però, che la legge israeliana parla di “dignità umana”, di “autodeterminazione”, di “diritti umani”, ossia di tutti gli esseri umani non solo degli ebrei.
Israele è uno Stato democratico ed è considerato molto liberale. Tuttavia, Israele riconosce la giurisdizione dei tribunali religiosi in materia di diritto di famiglia. È una questione indubbiamente complessa. Israele ha ereditato il sistema dei tribunali religiosi dagli inglesi che hanno governato durante il Mandato, che a loro volta lo hanno ereditato dagli ottomani. È un sistema che è rimasto parte dell’ordinamento giuridico israeliano. Ci sono poi anche partiti religiosi che hanno un notevole potere politico. Il problema principale nei tribunali religiosi, e intendo tutti i tribunali, compresi quello rabbinici, islamici e cristiani, è che non c’è una piena eguaglianza tra uomini e donne. In Israele ci sono anche migliaia di persone che non appartengono a uno specifico gruppo religioso e non possono sposarsi poiché Israele riconosce solo il matrimonio religioso e non civile. È uno dei problemi che devono esser risolti, ma siccome siamo una democrazia, ci deve essere una maggioranza che vota a favore di questo cambiamento, e a quanto pare non c’è ancora un consenso a riguardo. I tribunali religiosi sono comunque soggetti alla giurisdizione della Corte Suprema, anche se è limitata agli aspetti concernenti il rispetto dei diritti fondamentali come il diritto di sentire l’altra parte, e non riguardo alla materia della causa in sé.
Come entra l’ebraismo nel lavoro della Corte Suprema? La Corte Suprema è una corte civile e giudica in base alla legge dello Stato. La “Grundnorm” in Israele, come ho detto prima, è la Dichiarazione di Indipendenza; non siamo, quindi, uno Stato ebraico nel senso di una teocrazia (ciò che in ebraico si dice medinat halakhah, dove halakhah è la legge ebraica). L’ebraismo è un concetto molto ampio, che comprende la religione ebraica ma anche la tradizione e la storia. Israele non è uno Stato ebraico nel senso della religione ebraica; Israele non è il Vaticano. Se ci sono corti religiose, per esempio, non è perché lo stabilisce la legge ebraica o islamica o cristiana, ma perché è la legge dello Stato che riconosce la loro giurisdizione, e questo sistema può esser cambiato solo dal legislatore. La Corte Suprema decide secondo le leggi dello Stato, ed è per questo che non si immischia nelle questioni di merito delle tribunali religiosi.
Ma i principi e la tradizione ebraici ispirano le decisioni della Corte. Certo, non l’halakhah, la legge ebraica, ma i principi ebraici. Come ho detto, sono convinta che i principi ebraici e democratici vivano in simbiosi. La Corte giudica secondo la legge dello Stato di Israele come Stato ebraico e democratico. Nel 1948, quando lo Stato di Israele è stato fondato, i gruppi laici e religiosi hanno firmato un accordo, chiamato status quo, per regolare il ruolo della religione nella sfera pubblica.
Cos’è cambiato negli anni alla nelle relazioni tra religiosi, haredim (ultra-ortodossi) e laici? I haredim sono un minoranza e hanno un certo potere politico perché sono pronti ad entrare in qualsiasi coalizione pur di perseguire i propri interessi di gruppo. Le ultime elezioni hanno parzialmente cambiato la situazione, perché i haredim sono rimasti fuori dal Governo. Questa però è una questione politica che riguarda la formazione delle coalizioni, come in altri sistemi democratici, come in Italia. Lo stesso vale per altri partiti religiosi. L’intera questione riguarda il potere politico dei partiti religiosi che sono più che altro di destra ed hanno posizioni ben definite su alcune questioni, come il futuro dei territori, per esempio. Come ho detto non è una questione di religione in sé, ma una questione politica.
Se si considera lo sviluppo sociale, come i diritti delle donne, dei gay, i diritti sociali e altro ancora si può affermare che Israele è uno stato liberale. Quindi perché Israele è considerato uno Stato religioso perché si definisce “ebraico e democratico”? Sul liberalismo di Israele, la questione non è semplice. Come ho detto c’è una certa influenza dei partiti religiosi in politica. Ci sono tribunali religiosi che hanno competenza esclusiva in materia di matrimonio e divorzio, il che non è la cosa più liberale del mondo. C’è anche una certa influenza religiosa o di tradizione nella vita quotidiana, ma come Lei ha accennato c’è ben di più in Israele. Spero che ci siano posti nel mondo dove siamo ben visti. Gli Stati Uniti ci vogliono bene, a quanto pare. Una volta dicevo che se, D-o non voglia, fossimo sconfitti, la gente ci vorrebbe più bene! Direbbero “oh, poverini!” e proverebbero pietà per noi. Credo però che siamo stati “poverini” per abbastanza tempo. Siamo ancora lungi dall’essere quello Stato che Herzl sognava per il popolo ebraico. Abbiamo differenze sociali ed economiche, non c’è ancora una completa eguaglianza tra uomini e donne, perlomeno non come io credo dovrebbe essere garantita l’eguaglianza tra i sessi; e poi abbiamo così tanti altri problemi di natura diversa. D’altra parte però abbiamo leggi, principi e giudici molto impegnati. Sono convinta che riusciremo a diventare quello Stato che Herzl sognava, il che rappresenta poi la realizzazione e l’attuazione della Dichiarazione di Indipendenza.
Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Israele è uno “stato ebraico e democratico”: come si integrano religione e stato? Si può affrontare la questione in diversi modi. Anzitutto si deve considerare che Israele è stata fondata come lo Stato del popolo ebraico, dove gli ebrei vivono in un Paese loro senza temere segregazione o discriminazione e senza vivere quella differenza identitaria che caratterizza la vita ebraica in contesti non-ebraici. Gli ebrei vivono in Israele come i francesi vivono in Francia, come gli italiani vivono in Italia o i greci in Grecia, ossia gli ebrei in Israele sono come gli altri popoli che vivono in uno Stato-nazione. La definizione di Israele come Stato ebraico e democratico reca in sé anche un messaggio implicito diretto agli ebrei affinché vadano a vivere in Israele per realizzare le loro aspirazioni nazionali quando invece sono una minoranza in ogni altro Paese. Israele è lo Stato dove gli ebrei possono vivere in completezza la loro identità, con un loro Stato, una loro terra, un loro esercito e con i loro errori. Israele, per essere lo Stato del popolo ebraico, è stata fondata come Stato ebraico, manifestando in sé l’identità ebraica, le tradizioni ebraiche e l’ethos ebraico. Pertanto, per esempio, il calendario ufficiale è quello ebraico, la lingua ufficiale principale è l’ebraico, il simbolo dello Stato è la menorah; la bandiera è il tallit (lo scialle di preghiera ebraico) con la Stella di Davide; l’inno è “ha-Tikva” che riflette la visione sionista. In altre parole, l’architettura istituzionale e simbolica di Israele rispecchia l’identità e la tradizione ebraiche. Il contenuto dello Stato è già qualcosa di diverso. Ci sono molti ebrei che si considerano ebrei nel senso che appartengono alla nazione ebraica, ma che non sono religiosi. Gli ebrei religiosi considerano Israele qualcosa di quasi messianico, la cui esistenza simbolizza l’inizio della redenzione del popolo ebraico. Gli ebrei laici considerano Israele da un punto di vista nazionale, per cui dopo duemila anni di diaspora, gli ebrei hanno diritto e necessità a un loro Stato. Di conseguenza, se si considera la ragion d’esser dello Stato, si capisce che Israele è pienamente ebraica; ma se si considera la vita istituzionale e sociale di Israele, allora si vede che Israele non è ebraica nel senso della religione ebraica. Infatti, Israele non rispetta la legge ebraica, anche se è uno Stato ebraico: la legge ebraica, per esempio, stabilisce nel dettaglio ciò che è permesso e ciò che non è permesso fare di Shabbath; tuttavia l’autorità di tele- e radiotrasmissione trasmette programmi di Shabbath. La società israeliana è molto diversa: ci sono laici, religiosi, più religiosi, religiosi light, ultra-ortodossi, tradizionalisti ecc. Quando si parla di Israele come Stato ebraico e democratico, dobbiamo pensare a quale aspetto considerare: le istituzioni, la ragion d’esser o la vita quotidiana e sociale? Un altro esempio che si può fare è la kashrut, cioè le leggi alimentari: negli uffici pubblici, il cibo è kasher, ma in Israele si possono trovare posti in cui allevano maiali o dove vendono carne di maiale, che una delle carni proibite dalla legge ebraica. In generale, in Israele l’ebraismo è vissuto in maniera diversa a seconda di come il singolo interpreta la propria identità ebraica. Ci sono quanti decidono di studiare nelle yeshivoth, le accademie talmudiche, e lo Stato li sostiene finanziariamente, ma lo stesso Stato permette di allevare maiali e vendere carne di maiale. La società israeliana comprende tutti i modi di vita ebraici, secondo il libero volere dei cittadini di esprimere la propria identità ebraica; e questo è dovuto al fatto che Israele è una democrazia, che include il principio di autodeterminazione dell’individuo. Inoltre, i principi democratici comprendono la libertà di religione così come la libertà dalla religione. Ecco perché la Corte Suprema ha anni fa vietato di indicare nella carta di identità l’affiliazione religiosa dei cittadini, poiché non deve essere di interesse dello Stato: i cittadini sono tutti eguali per lo Stato e sono liberi di definire la propria identità come più credono. L’unico ambito in cui la religione diventa un fattore rilevante è il diritto di famiglia, perché in Israele matrimonio e divorzio sono di competenza esclusiva delle tribunali religiosi, rabbiniche, islamiche e cristiane, ma dal punto di vista dello Stato, la religione è irrilevante. Insomma, Israele è uno Stato ebraico, ma la sfera pubblica è inclusiva poiché lo Stato permette a ciascuno di esprimere liberamente la propria identità.
C’è comunque una certa influenza religiosa nella sfera pubblica, se si tiene conto, per esempio, dell’esistenza di partiti religiosi. Anche in questo caso, la questione è più complessa. Basti pensare che ci sono molti ebrei religiosi che non votano per i partiti religiosi proprio sulla base della religione ebraica. La parola ebraica per partito è miflagah, che viene dalla radice p-l-g, che significa divisione, separazione. L’ebraismo non conosce divisione tra il proprio popolo, quindi l’idea di partito è un ossimoro da un punto di vista religioso ebraico. Ecco perché molti ebrei osservanti non votano per i partiti religiosi e preferiscono invece votare per i partiti laici. Tra gli ebrei osservanti c’è una percezione negativa dei partiti religiosi che sono di principio contro l’idea di unità del popolo ebraico. In più, secondo gli studi sociologici, più un gruppo è ideologizzato, più tende a dividersi in gruppi di opinione. Si pensi alle divisioni politiche nella sinistra israeliana degli anni ’50, quando l’establishment era di sinistra, divisa in almeno otto partiti. Oggi, dopo la progressiva perdita di potere della sinistra, quelle correnti sono ormai tutte ricomprese nel Partito Laburista (Avodah). Del pari, la società religiosa in Israele è divisa in varie correnti ideologiche, perché la religione in sé è una sorta di ideologia.
E qual è lo spazio pubblico dei non-ebrei nello Stato ebraico? Ci sono minoranze non ebraiche in Israele, che vivono come pieni cittadini con eguali diritti. Il gruppo maggiore è composto dagli arabi. Gli arabi dicono che Israele è uno stato ebraico e democratico: ebraico verso gli arabi e democratico per gli ebrei. È un gioco di parole che ha delle conseguenze politiche nell’immagine di Israele. Tuttavia, anche se accettassimo teoricamente la tesi secondo cui gli arabi sono discriminati, dovremmo comunque capire come mai il 98% della popolazione araba in Israele preferisce vivere in Israele rispetto a qualsiasi altro posto nel Medio Oriente, compresa l’Autorità Palestinese. Il villaggio arabo Umm al-Fahem, che giace sulla Linea Verde ed è la roccaforte del movimento islamico in Israele, organizza spesso dei referendum per capire il volere popolare sui progetti di scambio di terreni negli accordi di pace. La maggioranza vota in favore di Israele. Quindi anche se gli arabi non accettano la sua esistenza e continuano a sostenere che Israele è una democrazia parziale, vogliono comunque vivere in Israele piuttosto che in altri Paesi arabi.
Com’è cambiato lo status quo firmato da Ben Gurion e i leader religiosi nel 1948 per definire il ruolo della religione nella sfera pubblica? C’è stata una doppia evoluzione nelle relazioni tra i laici e i non-laici, che riguarda da una parte gli ultra-ortodossi (haredim) e dall’altra i religiosi nazionali o religiosi sionisti. Ben Gurion aveva garantito l’esenzione dalla leva obbligatoria agli ultra-ortodossi che allora erano un gruppo esiguo. Tra gli ultra-ortodossi ci sono anche quanti non accettano l’esistenza di Israele perché considerano lo Stato come un atto umano che si oppone al volere di D-o, per cui lo Stato di Israele si costituirà solo con la venuta del Messia. Secondo loro un’Israele fondata dagli uomini è una ribellione contro D-o, che ha mandato gli ebrei in diaspora e che solo potrà riscattarli dall’esilio. I Szatmar, per esempio, non vogliono nemmeno prendere la cittadinanza israeliana e si vestono a lutto il giorno in cui Israele celebra l’indipendenza. Negli anni, la demografia ha fatto sì che il numero di ultra-ortodossi crescesse esponenzialmente: possono avere fino a 15 figli a famiglia; mentre i laici vivono in maniera diversa: ci si sposa tardi e hanno due o tre figli a famiglia. Se si guarda alle statistiche degli iscritti al primo anno di scuola si vede che da qualche anno i laici rappresentano meno della metà degli iscritti, mentre la maggioranza è di religiosi nazionali, ultra-ortodossi e arabi. Le minoranze stanno diventando più grandi e la maggioranza si sta riducendo. Ora Israele si trova di fronte alla situazione in cui solo metà della popolazione va all’esercito, perché né gli ultra-ortodossi né gli arabi sono soggetti alla leva militare obbligatoria. La tensione sociale si è fatta sempre più profonda perché i laici fanno due o tre o più anni di esercito, spesso rischiando la vita, mentre gli ultra-ortodossi studiano nelle yeshivoth e si sposano. In più ci sono anche differenze sociali ed economiche molto marcate dovute agli stili di vita radicalmente differenti: gli ultra-ortodossi non studiano materie laiche, come matematica o inglese e quindi non hanno altra scelta se non continuare la loro vita nelle accademie talmudiche con ripercussioni nella loro capacità di entrare nel mercato del lavoro e trovare delle occupazioni che possano mantenere le numerose famiglie senza una laurea. Lo stato cerca di introdurre nei loro programmi scolastici materie laiche, ma questo è inteso come un tentativo di ledere la loro autonomia ed è percepito come una minaccia per i giovani ultra-ortodossi, che potrebbero essere indotti a lasciare le loro comunità. Questi problemi non possono essere risolti dall’oggi al domani, con delle decisioni o forzature: richiedono tempo, come ogni cambiamento sociale. Lo stesso vale per gli arabi, che sono stati esentati dalla leva obbligatoria perché non ci si poteva aspettare che combattessero contro i loro compagni arabi, e anche per ragioni di sicurezza–non ci si deve dimenticare che fino al 1967 gli arabi erano soggetti alla legge marziale perché si dubitava della loro lealtà verso lo Stato. Israele ha però introdotto il servizio civile, inizialmente pensato per quanti non potevano fare l’esercito. Lo Stato incoraggia gli arabi a fare il servizio civile, anche all’interno delle loro comunità, ma questo tentativo incontra forti opposizioni perché molti arabi non vogliono contribuire alla società israeliana in quanto Israele si definisce come Stato ebraico. Le nuove generazioni sono più inclini a fare il servizio civile, mentre i leader continuano a essere fermamente contrari; in particolare sono le ragazze arabe che vogliono fare il servizio civile perché lo vedono come un’occasione di emancipazione.
E per quanto riguarda i religiosi sionisti? Questa è una questione diversa. I religiosi sionisti, conosciuti in ebraico come kippoth srugoth (kippoth all’uncinetto), si identificano con Israele sia da un punto di vista nazionale sia religioso. Per esempio, il Giorno dell’Indipendenza, in ebraico Yom ha-Atzmaut, non è solo un giorno in cui si festeggia il fatto che finalmente gli ebrei hanno uno Stato, ma è un’occasione anche di celebrazione religiosa, con delle preghiere speciali, come al ha-nissim (riguardo i miracoli). Per i religiosi nazionali l’esistenza dello Stato di Israele rappresenta non solo la realizzazione delle aspirazioni nazionali del popolo ebraico ma anche l’inizio della redenzione del popolo ebraico. In generale, la visione dello Stato dipende dalle convinzioni personali e politiche. Gli arabi tendono a considerare Israele una disgrazia; gli ebrei ultra-ortodossi lo vedono con sospetto; i laici lo considerano come una realizzazione nazionale; gli ortodossi moderni tendono a considerare Israele come l’inizio della redenzione. Ma gli israeliani laici sono molto chiari nella loro opposizione alle idee religiose sioniste: molti ebrei laici considerano persone come me, un ebreo religioso nazionale, come un fascista. Il prof. Leibovitch ha chiamato i religiosi sionisti “yudo-natzim” (giudeo-nazisti), una definizione esecrabile e vergognosa: non ci si ricorda che era un genio in matematica e biochimica ma questa sua trovata abominevole sugli ebrei religiosi sionisti è invece ancora in uso.
L’ostilità tra israeliani laici e religiosi è dovuta perlopiù al dibattito politico sui territori contesi, che rispecchia anche la questione del rapporto tra religione e Stato. Non è così? È una questione molto complessa. Secondo gli arabi, tutta Israele è un territorio occupato, compresa Giaffa, Tel Aviv e Haifa. Secondo gli ebrei laici, che non hanno un legame sentimentale con la Terra di Israele poiché considerano lo Stato come uno strumento per le aspirazioni nazionali, uno Stato ebraico potrebbe essere anche in Uganda o in Birobigian. Non vedono lo Stato come qualcosa di sacro. Gli ultra-ortodossi vedono ogni cosa dal punto di vista della legge ebraica, per cui si può vivere secondo le leggi della Torah in qualunque parte del mondo. Ci sono anche comunità ultra-ortodosse nei territori contesi di Giudea e Samaria, come Beitar Illit e Immanuel, ma non ci vivono per ideologia. Al contrario, per gli ebrei religiosi sionisti vivere in giudea e Samaria è in sé una questione religiosa, poiché è qui che gli ebrei hanno vissuto come nazione prima della diaspora. Per i religiosi sionisti c’è un dovere di stabilirsi nella Terra di Israele (mitzvat yishuv Eretz-Israel). Pertanto anche la posizione sulla questione dei territori cambia secondo l’identità religiosa: gli arabi considerano le comunità israeliane in Giudea e Samaria con orrore; gli ebrei laici le vedono in parte dal punto di vista della sicurezza; gli ultra-ortodossi non lo considerano affatto un problema di alcuna rilevanza; ma i religiosi nazionali credono che vivere in Giudea e Samaria sia un dovere religioso, anche se contrario a certe interpretazioni del diritto internazionale. L’identità personale influenza anche l’opinione su questa questione.
Israele è uno Stato democratico e lo si nota da diverse cose. Ma la sua particolare relazione con la religione, che è tipicamente mediorientale, fa sì che l’Occidente tenda a credere che Israele non è una vera democrazia. Perché, secondo Lei, Israele è vista come uno Stato non democratico proprio perché si definisce ebraico? Sa quante moschee ci sono in Grecia? Nessuna. Zero. I greci non permettono ai musulmani di costruire moschee e devono quindi riunirsi in spazi privati che funzionano come moschee. Quante moschee ci sono in Israele? Una ogni gruppo tribale in tutto il territorio nazionale. In Svizzera non si possono costruire minareti; in Israele, i musulmani possono costruire quanti minareti vogliono e come vogliono. In questo senso, Israele è molto più avanzata di molti Stati in Europa. Consideriamo anche il caso di gay e lesbiche: ci sono posti in Europa in cui non possono vivere liberamente, mentre in Israele possono vivere anche come coppie di fatto riconosciute dallo Stato. Il fatto è che all’Occidente dà fastidio una cosa di Israele: il profondo senso di identità nazionale. L’Europa in particolare ha rinunciato all’idea di Stato-nazione e l’identità nazionale è divenuta poco rilevante. Ecco perché quanti invece difendono lo Stato-nazione sono considerati fascisti. Israele è percepita come uno Stato che si sforza di mantenere la propria identità nazionale e di perseguire i propri interessi nazionali. E questo è condannato. In secondo luogo, l’Occidente si sta secolarizzando e l’Europa in particolare ha messo da parte la propria identità cristiana, guardando alla religione con il dileggio che si riserva ad un’istituzione arcaica. Israele al contrario non solo mantiene la propria identità nazionale, ma anche preserva le antiche tradizioni e il proprio credo. Non si sa perché, ma l’Europa accetta che i musulmani pratichino la loro religione e conducano la loro vita secondo leggi diverse. Ma ai loro occhi è incomprensibile come gli israeliani, che vivono in uno Stato moderno tecnologico e fiorente, possano ancora preservare un’identità religiosa così forte e rispettare allo stesso tempo pratiche tradizionali antiche. È il solito doppio standard: Israele è moderna e democratica, e pertanto ci si aspetta che rinunci alla propria identità nazionale e anche alla lotta per la sopravvivenza, mentre dagli arabi non ci si aspetta altrettanto perché son considerati diversi. Gli europei, però, non capiscono che qui viviamo nel Medio Oriente, dove i concetti politici e sociali sono diversi, e qui sopravvive solo il più forte. Credo che i problemi con l’Europa derivino proprio da ciò che gli europei si aspettano da Israele: ci chiedono di comportarci secondo i principi e le leggi occidentali. Ma qui nel Medio Oriente non puoi mostrare nessuna debolezza: se vuoi sopravvivere devi vincere. Questa è una regione di conflitti e Israele combatte per la propria sopravvivenza: non possiamo permetterci di comportarci con la benevolenza e l’amichevolezza europee. Suleyman Demirel, un politico turco, ha detto una volta che il Medio Oriente è come una grande cena cui partecipano tutti: o sulla sedia, o sul piatto. Pare che gli europei non vogliano vederci sedere sulle sedie, ma preferiscano vederci sconfitti sui piatti.
Ma Israele non è una democrazia secondo gli stesi principi occidentali dei diritti umani e dello stato di diritto? Certo che lo è, ma verso i propri cittadini, ebrei o non-ebrei. Negli affari interni Israele è una democrazia che rispetta i diritti umani, il principio di non-discriminazione ecc. Ma in politica estera Israele deve comportarsi come uno Stato mediorientale perché i nostri vicini sono nemici che ci vogliono distruggere. E questa è anche l’origine dell’identità ebraica: l’unità del popolo ebraico nel destino ebraico. Il popolo ebraico è unito e supera le proprie divisioni di fronte a un destino comune, che è combattere per la propria esistenza e per il solo Stato che abbiamo.