Women of the Wall è un’organizzazione fondata nel 1988 da donne ebree ortodosse, riformate e conservative, per riunirsi in preghiera al Muro Occidentale, in ebraico Kotel, secondo pratiche che includono la lettura dei rotoli della Torah e l’uso dei capi tradizionali di preghiera ebraici, i filatteri (teffilin) e lo scialle (tallit).
La questione sulla preghiera delle donne al Kotel riguarda le tradizioni religiose e la libertà di religione nella società israeliana.
Il Kotel è passato sotto sovranità israeliana in seguito all’occupazione giordana (1948-1967) durante la quale agli ebrei era impedito l’accesso al sito religioso più sacro per l’ebraismo. In seguito, la gestione dello spazio fu affidata ai leader ultra-ortodossi.
L’area di preghiera al Kotel è divisa in un’ampia sezione maschile e una ridotta femminile, con il controllo di guardie che assicurano il rispetto della santità del luogo da parte dei visitatori.
Il dibattito religioso
Women of the Wall sostiene che la questione fondamentale in diritto ebraico riguardo alla preghiera sia la separazione tra uomini e donne. Oltre a non essere quindi un gruppo di preghiera egualitario, molti membri di Women of the Wall rivendicano il diritto di pregare in pubblico leggendo i rotoli della Torah e indossando capi di preghiera tradizionali.
Secondo gli ultra-ortodossi, la preghiera degli uomini e delle donne è essenzialmente diversa. In particolare, la lettura della Torah in pubblico è ritenuta un compito riservato agli uomini mentre la voce delle donne non dovrebbe sentirsi in pubblico. Nonostante sia teoricamente conforme alla legge, la preghiera delle donne non è conforme alla tradizione.
Il dibattito politico
Nel 2002 i membri della Knesset (MK) ortodossi hanno tentato di far passare una legge che criminalizzasse la preghiera delle donne al Kotel, ma la legge non fu approvata.
MK Aliza Lavie
L’attività di Women of the Wall ha l’appoggio di molti parlamentari israeliani con posizioni diverse. MK Aliza Lavie del partito Yesh Atid appoggia il diritto dei gruppi non-ortodossi di pregare al Kotel, ma si dichiara contraria alla partecipazione dei politici israeliani ai gruppi di preghiera finché non sarà trovata una soluzione alla questione.
MKs pregano al Kotel con WoW
MK Stav Shaffir, dei laburisti, Michal Rozin e Tamar Zandberg del Meretz hanno partecipato alla preghiera delle donne al Kotel nel marzo 2013. La loro scelta è stata criticata perché la controversia, ancora in via di definizione, tocca la più ampia discussione sul ruolo degli ultra-ortodossi nella società israeliana.
Nathan Sharansky
Dopo un ordine emesso dalla Corte Suprema nel 2003, il Primo Ministro Benyamin Netanyahu ha di recente incaricato Nathan Sharansky, presidente dell’Agenzia Ebraica, di trovare una soluzione adeguata nella definizione degli spazi di preghiera. Sharansky sta elaborando un piano per divider lo spazio di preghiera al Kotel tra i vari gruppi. La proposta di assegnare il sito archeologico “Arco di Robinson” alla preghiera delle donne è stato ampiamente criticato da Women of the Wall, che lamentavano il fatto che a loro fosse assegnato un luogo di minore importanza.
Il dibattito giuridico
Il sistema giuridico israeliano riconosce la libertà di culto e religione; in più, la Corte Suprema considera il sentimento religioso come un fattore di bilanciamento nelle proprie decisioni riguardanti i rapporti tra religione e Stato.
In seguito alle prime preghiere di donne al Kotel, il Ministro degli Affari Religiosi ha approvato negli anni ’90 un decreto che impedisce le pratiche religiose al Kotel contrarie alla tradizione ebraica.
La Corte Suprema israeliana
Nel 2003, la Corte Suprema ha ordinato al governo di trovare una soluzione accettabile nella divisione dello spazio tra i diversi gruppi religiosi. La sentenza è stata anche interpretata come una decisione che vieta alle donne di pregare secondo pratiche non-ortodosse, in particolare vietando alle donne di indossare lo scialle di preghiera e di leggere la Torah.
La Corte d’Appello di Gerusalemme
Nell’aprile 2013, la Corte d’Appello di Gerusalemme ha dichiarato che l’arresto delle donne che pregano al Kotel per “disturbo dell’ordine pubblico” è illegale. In più, il giudice ha interpretato la sentenza della Corte Suprema del 2003 come una raccomandazione e non un ordine, argomentando che la preghiera non-ortodossa non è da considerarsi contraria alla tradizione.
Il dibattito sociale
La preghiera delle donne al Kotel si è sviluppata in un dibattito politico che riguarda considerazioni opposte sulla libertà religiosa e sui diritti delle donne. Altresì, la controversia riguardante i diritti delle donne di pregare secondo pratiche non-ortodosse al Kotel è divenuta parte di un dibattito più ampio sul ruolo degli ultra-ortodossi nella società israeliana.
Gli ultra-ortodossi, che sono responsabili della gestione del Kotel, sostengono che la preghiera non-ortodossa delle donne al Kotel offenda la loro sensibilità religiosa.
Women of the Wall interpreta il diritto alla libertà religiosa come anche il diritto di pregare secondo culti e pratiche diversi.
La preghiera delle donne al Kotel è causa di disordini scatenati dai tentativi degli ultra-ortodossi di interrompere o impedire che le donne preghino, con anche casi di attacchi verbali e fisici.
Anat Hoffmann, arrestata nell’ottobre 2012
La polizia ha a lungo tentato di evitare gli scontri, anche arrestando le donne per il loro comportamento ritenuto contrario all’ordine pubblico.
Nel 2009, la prima donna è stata arrestata per aver indossato lo scialle di preghiera ebraico. La presidente di Women of the Wall, Anat Hoffmann, è stata arrestata due volte, nel 2010 e 2012, per essersi avvicinata al Kotel con i rotoli della Torah. Altre due donne del consiglio direttivo di Women of the Wall sono state arrestate nel 2012, mentre nel 2013 la polizia ha arrestato altri dieci membri.
La polizia esegue gli arresti per “disturbo dell’ordine pubblico”.
I rabbini ultra-ortodossi hanno di recente condannato le proteste violente dei giovani studenti di yeshiva, preferendo opporsi alle richieste delle donne nei media e nel dibattito politico.
Secondo un sondaggio condotto dal think tank “Israel Democracy Institute”, metà del pubblico israeliano è favorevole alle richieste di Women of the Wall; tra i sostenitori vi sono più uomini che donne.
Intervista con Shira Pruce, portavoce di “Women of the Wall”
Qual è la missione di Women of the Wall? La vostra battaglia riguarda lo status delle donne nell’ebraismo, nella società israeliana o riguarda un cambiamento sociale più ampio?
Gli obiettivi di Women of the Wall sono molto specifici. Ciò che vogliamo ottenere è il riconoscimento del diritto delle donne a pregare al Muro Occidentale, il luogo più sacro per gli ebrei, secondo le pratiche che rispecchiano le loro diverse convinzioni.
Come organizzazione, Women of the Wall ha come obiettivo il riconoscimento del diritto e dell’accettazione sociale della preghiera delle donne al Muro Occidentale. In proposito definiamo la preghiera in modo pluralistico, accettando e rispettando ogni donna secondo la propria tradizione e convinzione, incluse le donne che pregano con lo scialle tradizionale ebraico (tallit), con i filatteri (tefillin), e con il Sefer Torah, i rotoli della Torah che si leggono durante le funzioni.
Il Muro Occidentale, conosciuto in ebraico come Kotel, è il luogo sacro dell’Ebraismo, ma da un punto di vista giuridico è uno spazio pubblico; non è uno spazio privato che appartiene a un’organizzazione e pertanto non c’è ragione per cui lo spazio debba esser gestito secondo una tradizione in particolare, che per ora è quella ultra-ortodossa.
Women of the Wall è un’organizzazione che non ha un’affiliazione religiosa specifica, ma a quali tradizioni appartengono i vostri membri?
L’organizzazione Women of the Wall è stata fondata da donne ebree ortodosse, donne dell’ebraismo “Reform” e dell’ebraismo “Conservative” nel 1988, in occasione della prima conferenza femminista a Gerusalemme nello stesso anno. Un gruppo di circa cento donne si recò al Kotel per pregare, e così nacque Women of the Wall.
La nostra organizzazione comprende anche membri dei gruppi “Renewal” e “Reconstructionist”. Ci sono poi molte donne che non si identificano con un gruppo religioso specifico e altre che si uniscono solo per la preghiera in gruppo.
Ci sono anche uomini?
Ci sono uomini che appoggiano la nostra organizzazione, ma non si uniscono ai nostri gruppi di preghiera. A questo proposito vorrei rilevare che la pratica di preghiera di Women of the Wall non è contraria alla legge ebraica, la halakha.
È importante riprendere la tradizione ebraica in prospettiva storica: le due scuole che hanno formato la legge rabbinica e influenzato l’ebraismo di oggi, cioè Bet Hillel e Bet Shammai, avevano dei punti di vista molto diversi sulle questioni di legge, etica e teologia. Da un punto di vista di halakha, legge ebraica appunto, donne e uomini dovrebbero pregare separatamente e, in effetti, noi non siamo un gruppo di preghiera egualitario, il che significa che non ci sono uomini che si uniscono ai nostri gruppi di preghiera. Appoggiamo anche i gruppi di preghiera egualitari, ma non fa parte della nostra missione.
Lei sostiene che la pratica di preghiera di Women Of the Wall non è contraria alla legge ebraica, la halakha. Tuttavia i vostri oppositori sostengono, proprio da un punto di vista di legge ebraica, che il vostro modo di pregare offende la sensibilità religiosa ed è contrario alla tradizione. Quindi è un problema religioso o politico?
Il problema è esclusivamente politico. Rabbi Shmuel Rabinovitch, presidente della fondazione che gestisce il Muro Occidentale, la “Western Wall Heritage Foundation”, e soggetto alla diretta autorità del Primo Ministro, è l’autorità preposta alla gestione del Muro Occidentale. Rabbi Rabinovitch in persona ha detto che non è una questione halakhica, ossia non è una questione che attiene alla legge ebraica. In più, la parlamentare israeliana Aliza Lavie, presidente della Commissione della Knesset sullo Status delle donne, ha anche dichiarato che il diritto delle donne a pregare al Muro Occidentale non è un affare religioso.
È anzitutto una questione politica e, secondo noi, è una questione di tolleranza, di accettazione e pluralismo. È anche una questione sociale, in particolare riguardo ai ruoli di genere della società israeliana. Chi ci attacca sa che non violiamo la halakha, mentre si oppongono a noi perché credono che stiamo assumendo un ruolo tradizionalmente riservato agli uomini. Per questo riteniamo sia una questione di genere, che riguarda i diritti delle donne e, specificamente, il diritto delle donne garantito dal principio di eguaglianza, riconosciuto dalla legge israeliana, di praticare la religione secondo le loro convinzioni.
L’intera contorversia è, in effetti, un problema di tolleranza cioè accettare diverse interpretazioni sui ruoli di genere, su cosa le donne possono o hanno il diritto di fare.
In che senso è una questione di genere?
È una questione di genere, così com’è una questione politica e non religiosa. Ha a che fare con il fatto che le donne assumono dei comportamenti e ricoprono ruoli che sono considerati come esclusivamente riservati agli uomini. Questo attiene ai ruoli di genere così come si sono formati nella tradizione e nelle pratiche sociali, ma non secondo dei precetti religiosi.
Ed è in questo senso anche una questione più ampia, cioè di libertà religiosa e di eguaglianza delle donne nella società israeliana.
Con la nuova coalizione di governo, il Ministero degli Affari Religiosi è passato ai religiosi sionisti. La parlamentare Ruth Kalderon, del partito Yesh Atid, ha anche dichiarato che appoggerà l’avanzamento di tutti i gruppi religiosi ebraici in Israele. Vedete un cambiamento in atto?
Come organizzazione, abbiamo certamente visto un aumento dell’interesse e appoggio da parte dei membri della Knesset, il parlamento israeliano, ma non è lo stesso da parte del Governo. Non sto muovendo una critica, ma credo che siano impegnati su altre questioni.
L’aumento dell’interesse nelle questioni avanzate dalla nostra organizzazione è dovuto anche alla maggiore attenzione risposta nel più grande argomento che riguarda l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica in Israele. Sicuramente questa coalizione di Governo è più sensibile alla questione. Mi riferisco, per esempio, alla separazione di uomini e donne negli autobus, al maltrattamento delle ragazze per strada da parte degli ultra-ortodossi, alla violenza contro le donne accusate di comportarsi in violazione delle regole sulla modestia. Tutto questo avviene negli spazi pubblici: autobus, marciapiedi, strade, non in luoghi privati. E questo è dovuto all’influenza degli ultra-ortodossi nella sfera pubblica.
La maggior parte degli israeliani si oppone al ruolo degli ultra-ortodossi nella sfera pubblica, in particolare per quanto riguarda le corti religiose che applicano il diritto di famiglia o nelle conversioni. In Israele, il diritto di famiglia è giurisdizione delle corti rabbiniche che applicano il diritto ebraico. In un qualche modo, Women of the Wall tocca un tasto dolente, che riguarda il crescente estremismo, prendendo la questione da una prospettiva giuridica e politica, per una società pluralista e tollerante.
Lo Stato di Israele si identifica da un punto di vista storico e culturale con l’Ebraismo e con il popolo ebraico. Lei sostiene che in certi ambiti, compresa la questione del Muro Occidentale, la comunità ultra-ortodossa abbia una posizione privilegiata rispetto ad altri gruppi religiosi ebraici. Perché?
Il Muro Occidentale è tornato agli ebrei nel 1967, per la prima volta dopo molti anni durante i quali agli ebrei ne è stato vietato l’accesso. È stato un momento molto commovente anche da un punto di vista sionista, come riportato nelle foto storiche dei soldati di fronte al Muro subito dopo l’entrata a Gerusalemme. Una volta che il Muro è ritornato sotto giurisdizione israeliana, l’allora Primo Ministro Levy Eshkol ha dovuto prendere delle decisioni su come gestire lo spazio. Ciò che è capitato è che il Ministro delle Religioni, all’epoca Zorach Warhaftig, ha dato la gestione del Muro Occidentale ai leader ultra-ortodossi.
Da allora, c’è stata una serie di provvedimenti sulla gestione del Muro Occidentale conformi alla tradizione e agli standard ultra-ortodossi. In primo luogo gli uomini sono stati separati dalle donne, quando prima pregavano insieme, come si può vedere in varie foto e video. Poi la sezione femminile è stata ridotta: uomini e donne avevano sezioni di pari dimensioni ma ora la sezione maschile è quattro volte più grande di quella femminile. Infine è stata introdotta una pattuglia di controllo della morale per assicurare che i visitatori rispettino i codici di modestia ultra-ortodossi, in particolare nel modo di vestire.
Dal 1967 si nota un crescente estremismo. Gli ultra-ortodossi sono diventati sempre più conservatori e si sono sempre più isolati dalla società israeliana. Basta considerare, per esempio, i quartieri, il cambiamento nel modo di vestire, l’introduzione delle pattuglie della morale che sovrintendono ai codici di modestia e che puniscono le donne per strada quando non abbastanza “modeste”.
Un altro esempio di estremismo è la separazione di uomini e donne negli autobus. La vedo come un’evoluzione, mentre nella società israeliana è in atto un processo di passiva accettazione. La gente dice: “Se gli ultra-ortodossi vogliono il Kotel bisognerebbe semplicemente darglielo”, e reagisce con un semplice: “Ci trasferiremo a Tel-Aviv”. Gli israeliani hanno ceduto sulla questione del Muro e questo dà agli ultra-ortodossi la sensazione di poter dettare legge su come celebrare le funzioni e su come pregare.
È questo che facciamo a Women of the Wall: ci riappropriamo dello spazio per raggiungere l’eguaglianza tra uomini e donne. Due mesi fa, a maggio, eravamo 400 persone al Muro Occidentale, venute da tutto il Paese per pregare affermando la nostra presenza proprio sul terreno.
In tutto questo, qual è il ruolo delle istituzioni israeliane?
Assistiamo a dei cambiamenti indicativi nella Knesset, il parlamento israeliano, dove stiamo guadagnando l’appoggio di molti parlamentari. Tuttavia, gli enti locali sono soggetti a una consistente pressione da parte delle comunità ultra-ortodosse, che si sente anche nella società israeliana in generale, perché hanno una lobby molto forte.
In questo momento, per esempio, stiamo discutendo in Israele della leva obbligatoria per gli ultra-ortodossi, ossia se debbano o no servire nell’esercito, e questo è uno dei punti più dibattuti in politica e nella società.
E riguardo alla Corte Suprema?
La Corte Suprema, che per molto tempo ha cercato di rimanere fuori dalle questioni religiose, si sta facendo coinvolgere sempre di più. C’è un cambiamento radicale nelle decisioni delle corti e nei precedenti che si stabiliscono con le sentenze. Per esempio, l’Alta Corte di Giustizia ha di recente sentenziato che la separazione di uomini e donne negli autobus pubblici è illegale.
La Corte Suprema si è anche espressa sulla questione della preghiera delle donne al Kotel…
Riguardo a Women of the Wall, la Corte Suprema ha deciso nel 2003 che le donne hanno diritto di pregare al Muro Occidentale secondo le loro pratiche e convinzioni e ha ordinato allo Stato di trovare una soluzione per la divisione degli spazi. Tuttavia l’ordine non è stato ancora eseguito.
In più, una decisione recente di un tribunale di prima istanza ha trovato che l’arresto delle donne che pregano al Kotel in ragione del rispetto dell’ordine pubblico è illegale. La giudice ha dichiarato che le donne stavano pregando e quindi non disturbavano l’ordine pubblico, come hanno fatto invece coloro che le hanno attaccate per interrompere la loro preghiera. La giudice si è anche espressa sulla questione che riguarda le “tradizioni locali” secondo cui la preghiera dovrebbe esser condotta.
Un decreto ministeriale del 1990 vieta le “cerimonie contrarie alla tradizione del luogo” e che possono “offendere la sensibilità del pubblico che prega”. La giudice ha stabilito che il decreto deve esser interpretato in maniera pluralistica, quindi non solo tenendo conto della tradizione ultra-ortodossa. Un’altra richiesta della polizia di emettere un ordine restrittivo che impedisse alle donne di avvicinarsi al Kotel è stata rifiutata. Crediamo che la sensibilità religiosa non debba essere una questione giuridica; è una questione sociale, non un argomento da esser discusso in tribunale.
Quali sono le vostre attività nelle altre istituzioni israeliane?
Women of the Wall lavora dentro il sistema. Collaboriamo con altre organizzazioni della società civile e con altri cittadini molto attivi nelle battaglie presso la Corte Suprema. Organizziamo anche incontri con i parlamentari. Siamo molto presenti nei mezzi di comunicazione, e questo è importante per sfatare miti e le incomprensioni legate alla nostra organizzazione.
Prendiamo il caso dell’arresto e della detenzione dei membri di Women of the Wall. Più di 50 donne sono state finora arrestate e portate in tribunale. Erano proprio le donne che pregavano a esser vittime degli attacchi fisici e verbali di coloro che si sono opposti alla nostra preghiera; fatto è che hanno arrestato noi per quanto stava accadendo. La situazione è piuttosto semplice: delle donne vanno al Kotel a pregare; gli ultra-ortodossi disturbano la preghiera, ma sono le donne che finiscono in manette.
Come dicevo, i membri della Knesset hanno cambiato opinione su questi temi. Quindi c’è un’evoluzione positiva.
Dalle sue parole sembra proprio una battaglia sul terreno.
La definiamo certo una battaglia, ma preferiamo non usare un linguaggio aggressivo. Siamo state vittime di violenza, attacchi verbali e anche fisici. Siamo state arrestate, detenute, e anche tenute ammanettate per un’intera notte e maltrattate. Anat Hoffman, la presidente di Women Of the Wall, è stata detenuta una notte intera con criminali comuni, ammanettata e maltrattata, anche se non è per nulla una criminale! Ci hanno anche tirato gas lacrimogeno. Ma visti i cambiamenti e l’evoluzione nelle istituzioni e nella società israeliane, vediamo anche un cambiamento positivo.
In realtà la polizia ci tratta meglio, sono più moderati e stanno facendo un ottimo lavoro, in fondo sono anche loro vittime dei disturbi. Insomma le cose stanno cambiando. Ma dobbiamo esser presenti al Kotel: è la nostra battaglia sul terreno, per assicurare spazi di preghiera per tutte le donne.