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Marzo 2013


L'Islam in Europa
Intervista a Bat Ye'or






L'Islam in Europa


L’ISLAM IN EUROPA

Islam e Occidente nel Medioevo

  • I primi contatti tra Islam e Occidente furono gli scontri tra i gruppi arabo-islamici, il mondo bizantino e le popolazioni del Caucaso.
  • Le relazioni tra Islam ed Europa sono iniziate con le invasioni arabo-islamiche nei territori europei alla fine del VII secolo d.C., seguite dalla conquista omayyade della Spagna all’inizio dell’VIII secolo.
  • L’espansione dei governi arabo-islamici in Spagna verso occidente si è fermata con la vittoria europeo-cristiana nella battaglia di Tolosa del 721 d.C., sotto il condottiero Duca di Aquitania.
  • Anche la Sicilia cadde sotto il governo arabo, divenendo un Emirato arabo tra il IX e l’XI secolo, quando i Normanni la invasero conquistandola.

Le relazioni tra musulmani, cristiani ed ebrei nella Spagna araba medievale

al-Andalus

Bernard Lewis, storico del Medio Oriente

  • Lo scambio culturale tra musulmani, cristiani ed ebrei nella Spagna governata dagli arabi, e in al-Andalus nello specifico, è stato oggetto di un ampio dibattito che comprende diverse voci.
  • La posizione tradizionale considera al-Andalus un esempio di armonia multiculturale, definita, “convivencia”. Secondo questa visione, il moderato governo islamico avrebbe favorito il fiorire della cultura ebraica, il pacifico sviluppo delle comunità cristiane e l’avanzamento scientifico dei musulmani.
  • Altri autori ritengono che al-Andalus non possa esser considerato un esempio di pacifica coesistenza. Mark Cohen sostiene che il dialogo interreligioso sia un mito storico, funzionale alla condanna delle persecuzioni anti-ebraiche da parte dei cristiani.
  • Dario Fernández-Morera pure ritiene che la “convivencia” sia un mito storico; secondo quest’autore, dipingere il governo islamico nella Spagna medievale come un esempio di tolleranza è semplicemente funzionale al sostegno del multiculturalismo e all’attacco alla cristianità.
  • Infine, Bernard Lewis spiega che la presunta accettazione positiva della diversità da parte dell’Islam sia una visione a-storica e teologicamente errata.
  • Questi autori evidenziano che i non musulmani, chiamati “dhimmi”, erano soggetti allo status giuridico speciale della “dhimma”, che accordava diritti limitati e specifici doveri ai non-musulmani soggetti a un governo islamico, ivi compreso il pagamento della jizya (la tassa sugli infedeli), la proibizione di andare a cavallo, le limitazioni all’esercizio del culto, e anche a volte l’obbligo di portare segni distintivi.
  • Altresì, questi autori documentano episodi di violenza anti-ebraica e anti-cristiana, benché tale violenza non fosse istituzionalizzata in politiche di persecuzione come accadeva nei governi cristiani.

L’Islam e l’Occidente nella modernità

Mappa dell'Impero Ottomano

  • Dopo anni di scontri, invasioni e guerre, le popolazioni turco-islamiche conquistarono Costantinopoli nel 1453. Con la caduta dell’Impero Bizantino, il regno islamico si sviluppa rapidamente nel potente Impero Ottomano, che si espandeva da occidente, con la conquista dell’Ungheria e dei Balcani, a oriente, verso la Persia, l’Arabia e l’Africa del Nord.
  • Le invasioni ottomane per mare e per terra interessavano l’intera Europa: nel Mediterraneo, i Turchi dovettero affrontare l’influenza e il potere della Repubblica di Venezia; nell’Europa Centrale, i turchi combatterono contro gli austro-ungarici; mentre le invasioni turche arrivarono fino alla Polonia e all’Islanda.

La Battaglia di Lepanto

  • La prima battuta d’arresto delle invasioni ottomane in Europa si ebbe con la sconfitta ottomana nella battaglia di Lepanto del 1571, quando la marina turca fu Battuta dall’alleanza degli eserciti dell’Europa del Sud guidata da Venezia, per il consolidamento dell’influenza “italiana” nel Mediterraneo e per la preservazione della supremazia cristiana in Europa.

Eugenio di Savoia

  • La seconda battuta d’arresto delle invasioni ottomane in Europa fu la sconfitta dell’esercito ottomano nella battaglia di Zenta del 1699, sotto la guida del condottiero Principe Eugenio di Savoia (Eugene von Savoy), seguita dal Trattato di Karlowitz, che segna l’inizio del progressivo declino dell’influenza ottomana nell’Europa Centrale.
  • In seguito alla caduta dell’Impero Ottomano nel 1922, gli Stati di recente formazione hanno adottato istituzioni occidentali, ivi comprese costituzioni, parlamenti e governi, così come ideologie occidentali, compresi il fascismo, il socialismo e il nazionalismo. Tra questi Stati, la Turchia ha affrontato un importante processo di secolarizzazione e occidentalizzazione.

Le comunità islamiche contemporanee in Europa



  • Le comunità islamiche in Europa comprendono comunità musulmane storiche, originarie del periodo ottomano, e comunità musulmane costituite da immigrati e dai loro discendenti.
  • Le comunità musulmane storiche sono presenti in Grecia (Tracia), Bulgaria e in altri Stati non membri dell’UE (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Montenegro).
  • Le comunità musulmane più recenti hanno origini dai Paesi nordafricani (Marocco, Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto), Paesi subsahariani (principalmente dal Mali, Camerun e Sudan), dai Paesi arabi (principalmente Egitto, Giordania e Iraq) e dai Paesi asiatici (principalmente dall’Iran, Pakistan, India e Bangladesh).
  • Le più grandi comunità islamiche risiedono in Francia (Marsiglia, Parigi) di origine araba, in Austria (Vienna) e Germania (Berlino) di origine turca, nei Paesi Bassi (Amsterdam) di origine turca e araba, in Belgio (Bruxelles) di origine turca e araba, in Danimarca e Svezia (Copenaghen, Stoccolma e Malmö) di origine turca e araba, e nel Regno Unito (Londra e Birmingham) origine asiatica e araba.

Impatto culturale



  • Nel contesto della tutela delle minoranze, le minoranze islamiche richiedono il riconoscimento della shari’a (legge islamica), nell’attuazione dell’autonomia collettiva. Il Regno Unito ha riconosciuto le corti arbitrali islamiche (volontarie) in materia di diritto di famiglia e per una certa parte anche di diritto contrattuale.
  • In molti Stati europei, le istituzioni sono di fronte al dilemma del riconoscimento di istituzioni giuridiche islamiche come, per esempio, la poligamia, attraverso le richieste di unione famigliare per moglie e figli dei matrimoni poligami.


  • Le comunità islamiche godono della libertà religiosa, benché non sempre sia loro garantita la libertà di costruire nuovi siti religiosi. Per citare alcuni esempi: la controversia sulla moschea in Svizzera, dove nel 2009 un referendum ha introdotto il divieto di costruire nuovi minareti; il Regno Unito, dove il progetto non ancora eseguito di ampliamento della moschea di Stratford comporterebbe la costruzione della più grande moschea in Europa; la Germania, dove il progetto di una nuova moschea a Monaco ha scatenato proteste popolari; e l’Italia, dove attivisti politici cercano di impedire alle comunità islamiche di costruire nuove moschee.


  • La mobilitazione islamica in Europa è aumentata in conseguenza all’11 settembre 2001, con episodi di terrorismo islamico, proteste e scontri.


  • Gli attacchi terroristici in Europa colpiscono obiettivi europei, giustificati dalla politica estera europea, come l’attacco terroristico a Madrid nel 2004 e l’attacco alla metropolitana di Londra nel 2005, così come obiettivi non europei, come l’attacco ai turisti israeliani in Bulgaria del 2012. Una particolare forma di terrorismo islamico è diretta contro obiettivi ebraici in Europa, come gli attacchi alla scuola ebraica di Tolosa nel marzo 2012.
Theo van Gogh
  • La mobilitazione islamica comprende anche proteste contro comportamenti o posizioni percepiti come lesivi della sensibilità islamica. È il caso della controversia conseguente alla pubblicazione dei fumetti che ritraevano Maometto nel giornale danese Jyllands-Posten e ripubblicati da molti altri giornali, incluso il francese “Charlie Hebdo” oggetto di un attacco terroristico. Il regista olandese Theo van Gogh fu assassinato nel 2004 per il suo film “Submission”, ritenuto dall’Islam blasfemo. Casi simili di mobilitazione anti-europea riguardano la controversia sul film “Innocence of Muslims”, considerato molto lesivo della sensibilità islamica e blasfemo. Un certo numero di politici e intellettuali europei vive sotto minaccia di morte per le posizioni sull’Islam e sull’integrazione dei musulmani in Europa.
  • Per favorire l’integrazione dell’Islam nelle società europee, si sono create molte istituzioni in sostegno del dialogo tra comunità islamiche e Paesi ospitanti, come il “Conseil des Musulmans de France”, la “Comisión Islámica de España”, la “Consulta per l’Islam italiano”, il “Muslim Council” nel Regno Unito, e il “Zentralrat der Muslime” in Germania. Spesso queste istituzioni sono accusate di comprendere organizzazioni dell’Islam militante, mettendo in dubbio il modello di integrazione che si concretizza nel “dialogo istituzionalizzato”.





Bat Ye'or


BAT YE'OR

Scrittrice, ricercatrice, pioniera negli studi su dhimmitudine e jihad




  • Bat Ye’or nasce in Egitto nel 1933, da cui viene espulsa nel 1957 perché ebrea. Stabilitasi in Gran Bretagna, studia archeologia allo University College di Londra e poi scienze sociali a Ginevra.
  • Bat Ye’or è ricercatrice e scrittirice, pioniera negli studi sulla dhimmitudine e sulla jihad.
  • Bat Ye’or definisce la jihad come una struttura concettuale teologico-giuridica, che regola le relazioni tra musulmani e non-musulmani (dhimmi) come belligeranza, armistizi temporanei e sottomissione.
  • L’autrice, analizzando l’universalità della jihad quale precetto teologico, descrive il nesso tra jihad e dhimmitudine, che consiste nell’accettazione di uno statuto di sottomissione e oppressione (dhimma, lo statuto giuridico da applicare ai dhimmi, non-musulmani soggetti di un governo islamico) in cambio di protezione e al fine di evitare la morte o la riduzione in schiavitù.
  • La dhimmitudine è per Bat Ye’or anche una condizione psicologica di sottomissione, che si esprime secondo l’autrice nella progressiva islamizzazione dell’Europa, sottomessa alla politica energetica dei Paesi arabi e islamici, la cui influenza politica e culturale si ripercuote sulle relazioni con Israele, sulle relazioni con gli ebrei e sulle politiche dell’immigrazione.
Tra le sue pubblicazioni più importanti:


  • Eurabia. Come l'Europa è diventata anticristiana, antioccidentale, antiamericana, antisemita. Lindau, Torino, 2007;
  • Il declino della cristianità sotto l'Islam. Lindau, Torino, 2009; 
  • Verso il califfato universale. Come l'Europa è diventata complice dell'espansionismo musulmano. Lindau, Torino, 2009.





Intervista


Le minoranze islamiche in Europa avanzano continue richieste di maggiore indipendenza per gestire autonomamente gli affari delle comunità. Qual è a suo avviso la ragione del loro malcontento riguardo agli strumenti giuridici, politici e sociali di protezione delle minoranze che sono riconosciuti e loro accordati dagli Stati europei?

Gli immigrati musulmani provengono da Paesi in cui vige la legge islamica tradizionale e appartengono a una civiltà che ha forgiato disposizioni mentali e di pensiero così come modalità di comportamento che sono conformi ai valori e alle concezioni della shari’a. Alcuni immigrati hanno la forza di allontanarsi da questo condizionamento mentale, ma la più parte rimane fedele alla tradizione.

Le leggi della shari'a dànno forma a una società che contraddice in quasi ogni ambito lo stile di vita occidentale. Questo è vero non solo per l’eguaglianza di genere e della libertà sessuale, ma è vero anche per la politica, la religione, l’educazione, la scienza. Altresì, il Corano e gli Hadith (che insieme compongono le sacre scritture islamiche) proibiscono categoricamente ai musulmani di adottare usanze cristiane ed ebraiche. Questo divieto è proclamato nella prima surah del Corano, che dev’esser ripetuta cinque volte al giorno in occasione di ogni preghiera. Per questi motivi, il mondo islamico non ha adottato la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (del dicembre 1948), ispirata a valori europei universali e non religiosi, ma ha invece proclamato la Dichiarazione del Cairo sui Diritti Umani (nel 1990), i cui articoli si conformano interamente ai precetti della shari’a.

Oltre al rigetto delle usanze occidentali, ci sono altre due ragioni che sottostanno al rifiuto di integrarsi: 1) il tradizionale disprezzo per i cristiani, che devono esser sottomessi alla supremazia islamica, com’è avvenuto nei passati tredici secoli e come continua ad accadere oggi, e 2) l’obbligo religioso di imporre la legge islamica ai Paesi non musulmani per applicare la legge di Allah sul mondo.


Un crescente numero di Stati europei è favorevole all’adozione della shari’a, perlomeno in corti arbitrali di diritto di famiglia, come avvenuto qualche anno fa nel Regno Unito. Che cosa potrebbe comportare questo cambiamento?

In una democrazia la giustizia e la legge devono essere le medesime per tutti. L’applicazione di leggi diverse secondo la diversità della popolazione porterebbe alla rottura della coesione nazionale, favorendo invece l’acuirsi dei conflitti. Questo è vero in particolar modo con riferimento agli immigrati musulmani: stiamo parlando di svariati milioni di persone in molti Stati europei, non di qualche migliaio. Secondo alcune stime, in Francia ci sarebbero più di dieci milioni di musulmani, che costituiscono una nazione all’interno di una nazione.

Nelle sue fonti e nel suo spirito, basati sulla parola “increata” del Corano e, pertanto, non suscettibile di discussione, modifica o critica (blasfemia), la shari’a contraddice la struttura logica della legge europea, della libertà di parola e di ricerca scientifica. In più, la shari’a discrimina tra uomini e donne, musulmani e non-musulmani, come si può osservare nei Paesi islamici contemporanei e anche in Europa. Le divisioni religiose tra gruppi che vivono nello stesso Paese si inasprirebbero. La shari’a, il suo spirito e la sua applicazione, costituisce un insieme sistemico totalizzante. Se si finisse per accettarne alcuni elementi, come per esempio l’educazione scolastica delle ragazze o la loro segregazione dalla società, dove ci fermeremo?

L’adozione della legge islamica in tanti Paesi europei porterebbe senza dubbio all’accelerazione dell’islamizzazione del continente, una prospettiva che gli europei non accettano. In alter parole, più importiamo fondamenti della civiltà islamica nei nostri Paesi, più assomigliamo a società islamiche. Questa situazione richiede una riflessione seria, che dev’esser oggetto di un dibattito pubblico perché potrebbe comportare cambiamenti irreversibili e conflitti sociali. Non può esser semplicemente accantonata.


Uno degli argomenti in favore dell’adozione della shari’a consiste nella convinzione che il riconoscimento della legge islamica assoggettata alla supervisione delle corti civili degli Stati comporterebbe un avanzamento degli standard occidentali nell’interpretazione della legge islamica, e, di conseguenza, le pratiche sociali illiberali interne alle comunità islamiche avrebbero più probabilità di essere abbandonate. Lei condivide quest’opinione?

Non si può basare una politica su una pia illusione. Quest’argomentazione afferma l’opposto della verità e rivela, invece, la debolezza dei governi che non possono o temono di imporre agli immigrati musulmani la legge dello Stato in cui risiedono, consci che loro la violano proprio perché le leggi europee sono contrarie alla shari’a.


Nei suoi libri, Lei definisce la dhimmitudine come la sottomissione all’Islam e l’accettazione di uno status inferiore nella società al fine di evitare la morte o la riduzione in schiavitù; definisce inoltre la dhimmitudine contemporanea come la soggezione all’Islam al fine di evitare manifestazioni di violenza anti-occidentale. Oltre alla paura, come si esprimono la dhimmitudine e l’atteggiamento del dhimmi?

Molti sono i motivi che spingono le persone, e in particolare i politici, ad accettare la dhimmitudine senza nemmeno rendersi conto della loro passività. Anzitutto mi permetta di rimarcare che sia i politici sia il pubblico ignorano completamente il significato di dhimmitudine. Hanno una nozione vaga della condizione particolare dei non musulmani, solitamente cristiani, nei Paesi islamici, ma non hanno una parola per definirla. Non vedono che tutto ciò è la conseguenza di una legislazione militare e teologica obbligatoria che poggia su un fondamento ideologico. La loro ignoranza è anche causa della loro vulnerabilità.

Inoltre, siamo prigionieri di un indottrinamento sociale sistematico propagato dai media, dai libri, i film, dalla pubblicità attraverso cui si predica il multiculturalismo, il relativismo culturale, la decostruzione dei principi fondamentali dell’Occidente, il dialogo interreligioso, la colpa dell’Occidente, il debito scientifico e artistico dell’Europa nei confronti dello splendore della civiltà islamica di tolleranza e pace. Le nozioni di dhimmitudine e jihad sono completamente rigettate, e anche proibite. Le specifiche identità e la storia europee sono intenzionalmente confuse e respinte per soddisfare gli stranieri che, disprezzandole, mantengono fieramente le loro tradizioni e le loro credenze.

Vorrei anche precisare che la dhimmitudine non è solo una condizione militare, politica, giuridica, sociale e religiosa, ma anche il perverso condizionamento mentale di una persona che giustifica la propria sottomissione. La dhimmitudine intellettuale precede e facilita la realizzazione pratica della dhimmitudine.

La dhimmitudine in Occidente si manifesta nell’adozione libera e ufficiale della narrativa storica islamica da parte delle élite. Ritengo che i pregiudizi tanto frequenti nei resoconti storici debbano essere eliminati. Tuttavia, la struttura storica di dati e documenti dovrebbe esser preservata, poiché costituisce il fondamento dell’apprendimento e delle civilizzazioni. Nelle scuole e nelle università si assiste, invece, al costante scontro tra la concezione occidentale e la concezione islamica della storia, che elimina qualsiasi critica alla jihad in quanto sacro comando religioso. La jihad non è percepita come una guerra aggressiva, ma come un’attività islamica pacifica volta a sottrare agli infedeli occupatori le terre che dovrebbero diventare islamiche.


Si riferisce anche a Israele?

Fa impressione in particolar modo la narrativa islamica che l’Europa ha adottato con riferimento a Israele, poiché nega al popolo ebraico i diritti sulla propria terra ancestrale, sottomettendosi alla logica della jihad. L’Europa, ossessionata da un odio anti-israeliano colmo di risentimento, assieme ai Paesi arabo-musulmani, conduce a ogni livello una guerra di delegittimazione e demonizzazione contro Israele, con il fine ultimo di distruggerlo. Considero questa politica un esempio importante di dhimmitudine. L’Europa conosce molto bene la storia del popolo ebraico nella propria terra, perché è rimasta per venti secoli il fondamento della sua spiritualità e dei suoi valori. Tuttavia, l’Europa abbraccia l’ideologia jihadista che ne predica il disprezzo e che mira alla stessa distruzione dell’Europa così come di Israele. L’Europa sta perseguendo gli stessi fini islamisti diretti alla propria distruzione come un continente servitore.

Un altro segno di dhimmitudine è la creazione di un’intera industria europea di falsificazione della storia e dell’archeologia di Israele, compresi i siti biblici, per “palestinizzarli” e quindi islamizzarli. Nei musei di Parigi e Londra si usano le parole “Palestina” e “palestinesi” con riferimento agli ebrei del 2000 a.C., quando solo l’imperatore romano Adriano ha chiamato “Palestina” la terra ebraica dopo aver sconfitto gli abitanti ebrei nel 135 d.C.!


Quindi la dhimmitudine si ripercuote anche nella reazione alla mobilitazione politica delle minoranze islamiche in Europa?

Oltre alla politica da dhimmi servile nei confronti del mondo islamico con riguardo a Israele, all’immigrazione e ai testi scolastici, i governi europei impongono ai propri cittadini le leggi della shari’a che regolano la blasfemia. Il cosciente rifiuto dell’Unione Europea di denunciare il terrorismo e l’insicurezza è espressione della rassegnazione del dhimmi alla sua distruzione. La libertà di parola e la libertà di pensiero sono scomparse dalle università e dai media, rimpiazzate da aggressività e intolleranza.

Coloro che resistono, come Geert Wilders, Magdi Cristiano Allam, e altri ancora, finiscono nel mirino degli assassini. Di recente, Lars Hedegaard, paladino della libertà di parola, è sopravvissuto a un attentato mortale, ma poiché il sospettato non è stato trovato, si possono solo formulare congetture a riguardo. L’Europa sta diventando sempre meno europea e sempre più islamizzata, mentre i nativi non musulmani si abituano alla dhimmitudine e, di conseguenza, si assuefanno inconsciamente anche all’insicurezza, alle aggressioni, agli insulti.

La tendenza alla dhimmitudine avanza in un’Europa che ha scelto lo smantellamento delle proprie fondamenta e la distruzione delle strutture dello Stato-nazione. L’Islam radicale è un’ideologia anti-liberale.


Lei sostiene che l’atteggiamento ambivalente dell’Europa e la condotta dei dhimmi finiscono per darne un sostegno indiretto all’Islam radicale. Come spiega che i Paesi europei abbiano fatto enormi progressi nel campo della scienza, della tecnologia, del benessere, della cultura e di altre questioni sociali come i diritti delle minoranze o di genere e allo stesso tempo aprono le porte a ideologie anti-liberali?

La politica e la storia sono colme di contraddizioni e solitamente una molteplicità di fattori contribuisce a sopprimere la coerenza e l’uniformità. Grandi scoperte e successi artistici sono spesso avvenuti in periodi di guerre e ingiustizia sociale. Sotto i nazisti, la vita intellettuale e artistica continuava; nella Francia occupata, Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, così come molti altri grandi autori e artisti, continuavano le loro attività indisturbati dall’inumanità del periodo. Il progresso nella scienza, nella tecnologia e negli altri settori è conseguenza della devozione e dell’impegno di medici, scienziati, ricercatori e altri individui, non dei politici.

Come accade ai dissidenti nei regimi totalitari, l’opposizione alla politica europea pro-islamica esiste, benché sia bloccata. I dissidenti sono accusati di razzismo e sono dipinti come nazisti da una campagna mediatica internazionale che è diventata una caccia alla strega. I dissidenti sono vittime di boicottaggi, discriminazione, ostracismo sociale e professionale e soffrono di uno stato di insicurezza materiale proprio perché combattono contro la dhimmitudine. Non solo sono perseguitati dai loro governi e dagli apparati statali, ma sono anche nel mirino dei jihadisti che applicano in Europa la legge islamica della blasfemia.


Molte ONG, come l’inglese “One Law for All”, si oppongono all’adozione della shari’a e propongono invece l’integrazione delle minoranze islamiche nelle società europee, per prevenire la radicalizzazione che consegue all’educazione separata, ai sistemi giuridici separati e all’attivismo politico e religioso clandestino. Lei vede in queste iniziative un movimento sociale che emerge per contrastare la passività istituzionale?

Sì, sono iniziative positive, anche per gli stessi musulmani, perché impediscono l’acuirsi dei conflitti sociali e del malcontento contro di loro. Ci sono cinquantasei Paesi islamici e in più la Striscia di Gaza che applicano la shari’a. I musulmani che desiderano esser soggetti della legge islamica dovrebbero immigrare in questi Paesi, non nei Paesi occidentali.


I Paesi del Medio Oriente contemporaneo hanno ereditato il sistema ottomano del “millet”, che consisteva nell’autogoverno delle comunità etno-religiose circa gli affari interni e il diritto di famiglia (status personae). Israele ha adattato questo sistema riconoscendo le corti religiose, sia rabbiniche sia islamiche, con ampie competenze in materia di diritto di famiglia. La supervisione della Corte Suprema sulle decisioni dei giudici religiosi ha influenzato la loro giurisprudenza, comprese le corti shariatiche. A Suo avviso, può essere questo un modello da adattare in Europa per il riconoscimento delle corti islamiche, come già avvenuto nel Regno Unito?

Il cosiddetto sistema del millet è stato ideato dai Romani: con l’espansione dell’Impero e la conquista di territori e popoli, gli imperatori romani accettavano che i soggetti delle province praticassero culti religiosi propri della loro nazione, venerassero i loro dèi e applicassero le loro leggi. In questo contesto, il giudaismo, che era religione di una nazione alleata e amica di Roma, fu riconosciuto quale religio licita, e di conseguenza agli ebrei venne accordata autonomia giuridica. Anche in seguito alla distruzione dell’indipendenza ebraica da parte degli eserciti romani e la successiva inclusione della loro patria come nuova colonia dell’Impero Romano rinominata Palaestina (135 d.C.), lo statuto di autonomia rimase in vigore, pur con alcune modifiche.

È con la cristianizzazione dell’Impero Romano che la situazione “liberale” in cui versavano gli ebrei si trasformò in una condizione di miseria ed emarginazione. Tuttavia, mentre i culti pagani furono tutti proibiti, l’ebraismo fu tollerato, nei limiti di una legislazione discriminatoria e oppressiva, con lo scopo di umiliare e incitare all’odio. Tale legislazione fu poi codificata nei codici bizantini, dal V secolo in poi, costituendo lo statuto degli ebrei, applicato alle comunità ebraiche in tutta Europa fino al XVIII-XIX secolo e abolito dalla Rivoluzione Francese. Alcune di queste norme furono poi incluse nelle leggi anti-ebraiche varate dal governo di Vichy durante la Seconda Guerra Mondiale.

Quando gli arabi invasero le terre bizantine nel VII secolo, adottarono lo statuto degli ebrei in una versione islamizzata e ancor più oppressiva, integrandola nell’ordinamento giuridico della shari’a, da applicare a ebrei e cristiani. Nell’Impero Ottomano questo sistema assunse il nome di “millet”, e costituisce l’insieme di norme ancora vigenti oggi nei Paesi islamici che regolano la condizione sociale definita “dhimmitudine”, che è stata oggetto dei miei studi.

Mi permetta ora di spiegare perché sono contraria all’introduzione del sistema del millet in Europa nel XXI secolo. Anzitutto il sistema del millet non comporta solamente autonomia religiosa e civile per le minoranze, ma è un modello sociale che deriva dalle conquiste jihadiste e, pertanto, è intrinsecamente legato all’insieme delle norme jihadiste. È legato alle conquiste territoriali poiché è nato ed è stato applicato, sia nella più moderata forma ideata dai Romani sia nella più oppressiva forma regolata dalla shari’a, a svantaggio delle popolazioni conquistate dall’Impero islamico. In secondo luogo, il millet è parte integrante dell’intero sistema di de-umanizzazione costituito dalla dhimmitudine, i cui elementi fondamentali sono:

  • Ineguaglianza economica, sociale, religiosa, culturale e giuridica tra musulmani e non-musulmani;
  • Responsabilità collettiva delle comunità non-musulmane;
  • Limitazioni culturali;
  • Statuti giuridici discriminatori;
  • Protezione condizionata alla sottomissione a uno status civile inferiore;
  • Divieto di avere la proprietà di terre.
La colonizzazione europea dei Paesi musulmani e i governi arabi nazionalisti hanno abolito il millet, ma le disposizioni discriminatorie contro i non-musulmani sono state integrate nella shari’a e pertanto sono ancor oggi in vigore e applicate persino in Turchia—mentre in Arabia Saudita non sono mai state applicate perché i non-musulmani non ci potevano abitare.

La situazione delle comunità di immigrati musulmani in Europa è essenzialmente diversa dalle condizioni in cui versano i soggetti nativi dei Paesi musulmani cui è applicato il millet. Gli immigrati musulmani non sono nazioni originarie dell’Europa, ma stranieri che hanno deciso di immigrare per loro libera scelta. Ritengo che i giuristi dovrebbero elaborare un sistema che rispetti i loro principi religiosi in conformità con la legislazione nazionale dei Paesi ospitanti.

La Sua descrizione del sistema del millet nell’ordinamento giuridico israeliano è molto approfondita, ma c’è da ricordare che questo sistema è stato imposto dai britannici all’epoca della colonizzazione, mentre non è stato adottato da nessuno dei Paesi che sono riusciti a liberarsi dal giogo della dominazione coloniale islamica: Spagna, Sicilia, Serbia, Grecia, Bulgaria, Romania e Armenia.

I giuristi e i politici europei dovrebbero peraltro considerare tre questioni che attengono esclusivamente all’Islam:
  1. Il vincolo inscindibile tra religione e politica;
  2. L’origine “increata” delle sacre scritture dell’Islam, che pertanto sono immutabili;
  3. Il precetto religioso della jihad universale.


Quando si parla di Islam, si parla anche di relazioni islamico-ebraiche e dell’atteggiamento dei musulmani verso Israele. Formulerò una domanda apparentemente naïf. Perché agli ebrei è richiesto di assimilarsi nella cultura della maggioranza dei Paesi in cui risiedono, mentre i musulmani sono esortati nel chiedere maggiore indipendenza e autonomia sotto l’egida della protezione delle minoranze e dei diritti umani? Perché gli ebrei sono considerati un popolo incorreggibilmente “diverso”, attaccato a tradizioni antiche, mentre le pratiche musulmane sono accolte come espressione positiva di diversità, quasi romantica?

Le relazioni dell’Europa con i musulmani rientrano nello schema della dhimmitudine. I politici europei non osano confrontarsi con la potente Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), che è la fonte dei diktat che impongono all’Europa una politica anti-israeliana, la strategia sull’immigrazione islamica con riferimento all’educazione, ai libri di testo, alla non-integrazione, alla scolarizzazione islamica separata, alla discriminazione positiva, alla promozione della diversità, alla legge sulla blasfemia, alle politiche bancarie islamiche ecc. L’Unione Europea e i suoi leader sono i semplici esecutori degli ordini dell’OIC, che recluta e paga numerose lobby e numerosi collaboratori per attuare la mite strategia jihadista.

Israele non ha questa stessa strategia verso l’Europa, né un comparabile potere finanziario e nemmeno la stessa influenza politica. Per quanto riguarda il risentimento anti-ebraico, questo atteggiamento è una combinazione in molti ambiti del tradizionale antisemitismo cristiano con la diffusa giudeofobia islamica e con il “palestinismo”.


Portare dei simboli ebraici è diventato sempre più pericoloso in Europa, a causa della violenza mossa sia dall’estrema sinistra sia dall’antigiudaismo islamico. La propaganda antisemita nelle comunità, nelle moschee e nelle scuole islamiche è nota. Qual è la ragione del disinteresse che le autorità mostrano verso questo fenomeno?

Non so se si possa più parlare di autorità. Grazie all’Unione Europea e all’OIC, gli Stati europei sono allo sbando, incapaci di imporre l’ordine e di garantire la sicurezza entro i loro confini, il che sarebbe il primo dovere verso i cittadini. Ora invece si pianifica di abolire i confini e rigettare i limiti dello Stato-nazione in favore dell’accettazione di un’immigrazione massiccia, da cui deriva la necessità di promuovere il multiculturalismo e il relativismo culturale. La crisi economica non fa che peggiorare la situazione.

Per quanto riguarda l’antisemitismo, è stato dapprima promosso dalla Commissione Europea nel 1999, per impaurire le sparute comunità ebraiche sopravvissute alla Shoah. Lo scopo è sempre stato quello di spingere gli ebrei a denunciare Israele per aumentare l’isolamento dello Stato ebraico. La campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni), il boicottaggio economico, le accuse lanciate a Israele di apartheid e “occupazione”, che innescano la miccia dell’antisemitismo, derivano proprio dall’Unione Europea, dall’OIC e dai suoi collaboratori europei, così come dalle Chiese palestinesi ridotte allo stato di dhimmi.

L’Europa politica si è sempre dimostrata ostile al movimento di liberazione nazionale ebraico, il Sionismo. Ad eccezione di alcuni individui e qualche politico, i governi europei hanno tutti collaborato alla Shoah per un verso o per l’altro. La condiscendenza europea verso l’Islam radicale si integra nel sostegno al “palestinismo”, un’ideologia che impregna l’iniqua guerra contro Israele.


Hezbollah ha organizzato un attacco terroristico contro turisti israeliani in Bulgaria. In precedenza, l’OLP capeggiata da Arafat ha colpito ripetutamente obiettivi ebraici e israeliani in Europa, appoggiata dalle organizzazioni terroristiche della sinistra estrema. Purtuttavia, l’UE non si decide a inserire Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche. È anche questo un esempio di dhimmitudine?

Certo. I dhimmi temono le rappresaglie terroristiche in Europa e in altri Paesi. Questo esempio dimostra come sia grottesca l’immagine da paladino dei diritti umani di cui si fregia l’Unione Europea. La Francia, grande nemico della politica israeliana di autodifesa, ha dichiarato molto eloquentemente che i terroristi devono essere sradicati dal Mali. E perché a Gaza no?


La sinistra estrema e i gruppi islamici hanno interessi convergenti nella delegittimazione e demonizzazione di Israele. Quali sono le ragioni di questa comunanza ideologica? I due gruppi, in fondo, sono radicalmente diversi quanto a concezioni basilari come il ruolo della religione, i diritti di genere e la politica. Il violento antisemitismo è sempre esistito nei partiti di sinistra.

Gli Stati comunisti hanno sostenuto Arafat, i palestinesi e il terzomondismo con una grande alleanza contro le democrazie. La moribonda sinistra estrema sopravvive proprio reclutando i propri adepti tra gli immigrati musulmani e le campagne anti-israeliane inondate di petrodollari.


Un’ultima domanda. Come vede il futuro dell’Europa? Cosa si può fare per contrastare la dhimmitudine?

È difficile prevedere il futuro dell’Europa perché è ancora in uno stato di transizione, avendo perso i propri punti di riferimento per l’intenzionale scelta di autodistruggersi, rinunciando alla stabilità territoriale e alle radici storiche e culturali. Ma una civiltà che disconosce i propri valori, la propria storia e cultura è una civiltà senza animo e si trasforma in una facile preda. I cambiamenti e l’adattamento alle situazioni in evoluzione sono necessari, ma la sopravvivenza dell’Europa richiede la difesa e la salvaguardia delle radici giudaico-cristiane e dei valori umanisti.

Per fermare la dhimmitudine, che promuove la soppressione delle libertà e della dignità umana, dobbiamo anzitutto esser capaci di riconoscerne i segni. Non puoi combattere qualcosa che non vedi né comprendi. Dobbiamo superare la politica di rifiuto ideologico imposto dalle élite dell’Unione Europea e il controllo fascista esercitato sulla cultura e sull’opinione pubblica al fine di controllarle e circoscriverle entro i limiti del politicamente corretto. Dobbiamo sostenere i politici, gli scrittori, i giornalisti e le persone comuni che mettono la loro vita in pericolo e accettano i sacrifici che impone la difesa dei valori fondamentali della democrazia.





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