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Il Foglio Rassegna Stampa
21.11.2007 Come il caso Dreyfus
David Frum sul falso video di Mohammad Al-Dura

Testata: Il Foglio
Data: 21 novembre 2007
Pagina: 2
Autore: David Frum
Titolo: «Storia di un falso»
Il 16 novembre 2007 abbiamo ripreso da LIBERO l'articolo di Angelo Pezzana sulla ormai provata falsità del video della morte di Mohammad al Dura (ecco il link ).
Dal FOGLIO del 21 novembre 2007, riprendiamo sullo stesso tema un articolo di David Frum:

Quella che sto per raccontarvi è la storia di un falso. Tutto iniziò quando alcuni falsari decisero di fomentare l’odio contro gli ebrei e lo stato d’Israele (e, per molti versi, ci sono riusciti). Il falso è un videoclip di appena 55 secondi, il cui intento è quello di mostrare la tragica fucilazione di un dodicenne a un incrocio stradale a Gaza, a seguito di una strana imboscata palestinese contro un avamposto israeliano. Il video fu trasmesso dall’emittente tv France 2 il 30 settembre 2000 con un resoconto di Charles Enderlin, uno dei volti più noti del giornalismo televisivo francese. Dopodiché, il giovane protagonista del filmato – Mohammad al Dura – è diventato il simbolo della crudeltà israeliana, contro cui nessuna rappresaglia può essere troppo raccapricciante. Il corpo disteso di al Dura campeggia sui video di scontri finalizzati alla propaganda, sugli schermi televisivi durante le teleprediche, persino su un francobollo egiziano. In questi anni, tuttavia, sono state raccolte prove su prove a sostegno di un’altra tesi: la fucilazione di al Dura fu una messinscena. Infatti, a) i 55 secondi di filmato trasmessi da France 2 non rappresentano una sequenza continua, bensì un collage di 6 frammenti distinti, goffamente rabberciati e poi montati; b) nessun fotogramma mostra l’effettiva fucilazione del ragazzo, né si vede alcuna goccia di sangue, né l’uomo accenna a muoversi verso suo figlio; c) la folla sullo sfondo grida “E’ morto!” prima che il giovane cada a terra. A dispetto delle ipotesi per cui il ragazzo sarebbe stato colpito all’addome, nel video si vede al Dura intento a coprirsi gli occhi con le mani; d) in un video dell’incidente girato da altri operatori si vedono alcuni passanti camminare indifferenti tra padre e figlio accovacciati e la postazione israeliana da cui sarebbe partito il fuoco; e) sempre in questo video si vede un cameraman accovacciato dietro all’uomo e al ragazzo; f) pur sostenendo di essere in possesso del filmato integrale della fucilazione, della durata di 27 minuti, i responsabili di France 2 si sono rifiutati di diffonderlo. A tutt’oggi, sebbene la vicenda sia oggetto di contenzioso, l’emittente non ha potuto produrre in tribunale il filmato integrale a partire dal quale il servizio è stato confezionato. Lo stesso Enderlin, che pure ha curato il reportage e ne ha garantito la veridicità, quel giorno non si trovava sul posto, bensì a Ramallah, in qualità di corrispondente dalla Cisgiordania. La sequenza è stata realizzata da un operatore free-lance di origini palestinesi, Talal Abu-Rahma. Nel 2003, un americano scettico riguardo al video dell’assassinio di al Dura (Richard Landes, professore di storia medievale alla Boston University, ndt) convinse Enderlin a mostrargli alcuni spezzoni del filmato integrale girato quel fatidico giorno da Abu-Rahma. Guardando il video con Enderlin e al sottoscritto, un cameraman israeliano dell’emittente France 2 si lasciò sfuggire, di punto in bianco, una risatina. Quando gliene chiesi ragione, rispose: “Sembra così artefatto!”. Al che Enderlin soggiunse: “Oh, fanno sempre così. E’ il loro imprinting culturale. Esagerano”.
“La battaglia del mio popolo”
Ma Rahma non stava esagerando. Sapeva perfettamente quel che stava facendo. E nel 2001, in Marocco, subito dopo aver ricevuto un premio per il suo lavoro, egli stesso confessò a un cronista: “Sono entrato nel mondo del giornalismo per promuovere la battaglia del mio popolo”. Forse per compassione, per pigrizia o per vanità, Enderlin ha messo la sua credibilità alla mercé del bluff di Rahma. L’anno scorso, quando Philippe Karsenty, presidente dell’ente di controllo sui mezzi d’informazione “Media Ratings”, stigmatizzò il reportage di Enderlin, quest’ultimo lo citò per diffamazione. E vinse la causa, perché l’allora presidente Jacques Chirac intervenne direttamente nella vicenda. Il giudice ha condannato il critico francese al pagamento simbolico di un euro soltanto. La scorsa settimana si è tenuta in un tribunale di Parigi la prima udienza d’appello. E’ bene ricordare che, in questo caso, sono Enderlin e TV2 ad avere sporto querela. I falsari, cioè, stanno tentando di sfruttare i tribunali per mettere a tacere i propri critici. Difficile non scorgere numerose affinità con un altro celebre falso, che pure coinvolse quasi tutti i maggiori esponenti del governo francese: l’affare Dreyfus. Anche allora buona parte del governo d’Oltralpe distolse lo sguardo da una congiura antisemita. Anche allora i falsari si avvalsero della legge anti-diffamazione per tentare di mettere a tacere il loro critico numero uno, Emile Zola. Qualcosa è cambiato, va da sé, dopo oltre un secolo. Lo stesso Enderlin, difatti, è ebreo. Almeno di questo, all’antisemitismo contemporaneo va reso merito: è una macchina delle pari opportunità, disposta a reclutare gente di qualsiasi razza e background, pur di diffamare gli ebrei e lo stato ebraico.

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