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21/5/02 LIMES Numero intitolato "Guerra santa in terra santa"
Limes ha compiuto una operazione di disinformazione e di mistificazione inquietante.


"Limes - Rivista italiana di geopolitica" ha un nome, una definizione del suo campo di interessi, un direttore responsabile (Lucio Caracciolo), un consiglio redazionale ed un consiglio scientifico tali da incutere il massimo rispetto.



Eppure, con il volume numero 2 attualmente in vendita, intitolato "Guerra santa in terra santa", Limes ha compiuto una operazione di disinformazione e di mistificazione inquietante.



Come altrimenti si potrebbe definire, se non di mistificazione appunto, l'inserimento di contributi faziosi ed intrisi di falsificazioni della realtà storica in un contesto di serietà ed autorevolezza scientifica, garantito da sequele di nomi illustri, senza mettere in alcun modo sull' avviso il lettore? Anzi, allegando al volume una elegante mappa a colori di grandi dimensioni, su carta patinata, densa di scritte in lingua inglese, con un' aria volutamente ufficiale, che serve a corroborare quelle falsificazioni, nel cui contesto troviamo i richiami alla mappa senza ulteriori indicazioni che diano al lettore la sensazione di avviarsi in un percorso pieno di insidie culturali?



Procediamo dunque con ordine, per consentire una analisi di quanto segnaliamo come mistificazione.



E sia ben chiaro, per evitare che vi siano fraintendimenti: non giudichiamo mistificatorie affermazioni anche gratuite di opinioni politiche personali, se le troviamo inserite come note stonate in contesti seri . Un ampio e complessivamente obiettivo editoriale (non firmato), ad esempio, afferma già nel secondo capoverso che i palestinesi "rivogliono" finalmente una patria, senza dirci quando essi ne hanno avuta una, in migliaia di anni di storia documentata di quella regione. Un editoriale che prosegue accennando al "panzersionismo" ed alla "ipnosi securitaria" di Sharon, ma che, nel suo complesso, conferma dove stiano torti e ragioni.



Molti contributi di analisi settoriale , nella prima parte che si occupa del conflitto arabo-israeliano sulla quale ci vogliamo soffermare, forniscono un approfondimento di argomenti significativi che ha il pregio di rendere più comprensibili tematiche complesse e controverse, dal ruolo di Hamas a quello delle implicazioni demografiche, dalle lacerazioni interne alla politica israeliana alla intelligente analisi sociologica, psicologica e politica dell ' insuccesso degli accordi di Oslo, alla ricostruzione dei probabili retroscena del mancato accordo di Camp David . Ma è degli altri che vogliamo parlare.



Ad illustrare l' articolo intitolato, appunto, al panzersionismo di Sharon, di Antonio Sema, sono inserite due tabelle che calcolano "le vittime della II Intifada" e "le vittime dall' inizio della I Intifada". Nella prima, i morti mese per mese sono suddivisi in colonne la cui fonte è indicata nell' Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territories", ma che ciò non di meno paiono singolari. Da questa suddivisione appare che nella seconda intifada, all' interno dei territori occupati, i palestinesi CIVILI morti sono molti più della metà del totale dei morti, 926 contro 113 israeliani civili, e 236 palestinesi delle forze di sicurezza. All' interno di Israele (la famosa distinzione strumentale di Arafat...) sono morti, secondo questa tabella, 216 ISRAELIANI CIVILI E FORZE DI SICUREZZA (senza distinguere fra gli uni e gli altri) dal 29 settembre 2000 al 20 aprile 2002. La seconda tabella risulta non raffrontabile con la prima, a causa di incolonnamenti delle cifre sotto definizioni che non distinguono più tra civili e forze di sicurezza; ma poiché con tutta evidenza, senza che Limes lo specifichi, la definizione di civili riferita ai palestinesi della prima tabella giustifica un totale di vittime così elevato solamente se si riferisce anche ai terroristi, che per definizione non indossano divise, la cosa non preoccupa più di tanto, perché comunque non fa che aggiungere confusione a confusione.



Ma eccoci al contributo che più degli altri scredita questo volume di Limes e l' autorevolezza stessa che da esso dovrebbe promanare.



"Così i profughi potranno tornare nelle loro terre" - sembra il titolo di una analisi propositiva in un' ottica di conciliazione, ma in realtà Salman Abu-Sitta vi riversa una quantità non elencabile di falsi e di veleni. Ed illustra il tutto con la famosa mappa alla quale il comitato scientifico ha voluto dare la veste della carta patinata.



Annientamento, sradicamento, pulizia etnica, anzi "massiccia pulizia etnica senza precedenti nella storia moderna"; invasione sionista, piano premeditato di invasione che costituisce un "processo continuo ancor oggi in atto"; "campagna organizzata per la conquista della Palestina", "segregazione etnica ", espulsioni, devastazioni deliberatamente preordinate. Sono parole con le quali l' autore definisce il conflitto arabo - israeliano, le varie guerre da quella del 1948 in poi, ed ovviamente si riferiscono solamente alla politica israeliana, anzi sionista. Ed ugualmente esplicite sono le didascalie della mappa con le sue suddivisioni cronologiche: "Invasione sionista"; la guerra "palestinese" del 1948 per portare soccorso alla popolazione, fallita perché gli israeliani/sionisti erano meglio armati ed avevano un esercito più numeroso(!!!); gli attacchi proditori d' Israele contro Giordania, Egitto, Galilea, e le decine di massacri commessi dagli israeliani; e, ciliegina sulla torta, la cartina della "più vasta pulizia etnica pianificata nella storia moderna". Sarebbe inutile cercare un commento, un asterisco con richiamo, un cenno qualsiasi del comitato scientifico di Limes: non ve ne sono.



"False e infondate" sono le accuse israeliane in base alle quali sarebbero gli arabi gli aggressori. Quella pulizia etnica equivale in tutto e per tutto all' olocausto. Nel marzo del 1948 la superficie delle terre in possesso degli ebrei non superavano il 6% della Palestina, 1.682 Kmq. in tutto. L' esercito israeliano, prima ancora della proclamazione dell' indipendenza, occupò illegalmente "città palestinesi quali Jaffa, Haifa, Tiberiade, Safed ", e con gli armistizi del 1948 il 92% del territorio occupato da Israele era in realtà palestinese . Qualcuno pensa di obiettare che in qualche modo vi fu uno scambio di popolazioni quando gli stati arabi espulsero i loro cittadini ebrei ed Israele li accolse? No, non vi fu nulla del genere, perché "Israele attuò il suo programma di inviare agenti del Mossad per riportare in patria (??) ebrei residenti (!) in paesi arabi, persuadendoli con un misto di allettanti promesse e di incentivi, e, in caso di resistenza, con varie forme di coercizione, compreso il lancio di bombe a mano contro le loro case". Capito? Abbiamo smascherato un altro mito sionista, quello degli ebrei espulsi dagli stati arabi!



La conclusione? Semplice: LA "DOTTRINA DI BEN GURION, TUTTORA SEGUITA, ESORTA AD UCCIDERE PER TIMORE CHE LA VITTIMA, SE SOPRAVVIVESSE, POTREBBE FAR DEL MALE ALL' ASSASSINO".



"Lo stato che verrà", come lo prevede Asad Abd al Rahman nel successivo contributo ampiamente basato su quello appena illustrato, potrebbe anche essere amico d' Israele, armonicamente inserito in una regione pacifica ed operosa. Ma, questa ne è la premessa storica "dai tempi della BIBBIA(!),...un tratto di Terra Santa importante per molti ha SEMPRE preso il nome di PALESTINA". E' stata la "lobby ebraica" ad espropriare, fin dal 1917, i palestinesi. I sionisti hanno continuato ad attaccare i territori arabo-palestinesi, e nel 1967 hanno occupato l' intero territorio palestinese (chissà perché...) annettendosi (!) la Cisgiordania e Gaza. Comunque, parliamo di pace e di reciproco amore per un roseo futuro comune: difatti "secondo molte ricerche il ritorno anche di tutti i profughi, il cui numero dal 1948 ad oggi è cresciuto dagli iniziali 750 mila a circa 5 milioni, non influenzerebbe la demografia di Israele". E perfino quello che "la maggioranza degli ebrei insiste a chiamare Spianata del Tempio" potrebbe non essere di ostacolo alla pace.







Invitiamo a collegarsi col sito internet www.limesonline.com, o ad utilizzare direttamente l'indirizzo elettronico limes@limesonline.com, per esprimere opinioni sui contributi inseriti nel volume 2-2002 di Limes qui illustrati.

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