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La Questione palestinese- Livia Rokach...
Si tratta del libro- "I territori della storia"
Il testo che segue e' preso dal libro di testo adottato tra l'altro dalle quinte classi del liceo Copernico di Bologna. Si tratta del libro- "I territori della storia" , terzo tomo, a cura di Marco Manzoni e Francesca Occhipinti,edito da Einaudi scuola. Il capitolo che riguarda "La questione palestinese"- pagine 881-883, scritto da Livia Rokach, è degno delle "migliori" scuole palestinesi. Non si può criticare questo lavoro, perché non c'è una frase, un dato o un numero che abbiano un aggancio con la verità. Nella miglior tradizione "palestinese"- nell' Italia democratica ed europea si utilizza un testo, che nega il diritto di esistenza allo stato di Israele, e lo si definisce: "una violazione del diritto internazionale."



Ci sentiamo in dovere di chiedere a tutte le persone di buona volontà a cui è cara l'educazione alla verità ed alla democrazia, di intervenire presso l'editore- Einaudi scuola: einaudi@elemond.it e presso le autorità che scelgono i libri di testo scolastici- per rimuovere questo testo vergogna dai licei italiani.



La Questione palestinese- Livia Rokach



La questione palestinese nasce di fatto il 2 novembre 1917, con una lettera di poche righe che il ministro degli Esteri britannico d'allora, lord Arthur James Balfour, indirizza a lord Rothschild, membro dell'esecutivo sionista inglese. In essa il governo di Londra, intento a quell'epoca, insieme alle altre potenze occidentali, a smembrare l'Impero ottomano, s'impegna ad appoggiare "l'insediamento in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico".

All'epoca, gli ebrei in Palestina - una provincia meridionale della Siria che soltanto nel 1918 sarà interamente occupata dalle truppe britanniche - costituiscono appena il 9% della popolazione e possiedono meno del 3 % delle terre. La maggioranza della popolazione, il 91 %, consiste del popolo arabo-palestinese, le cui origini in quella terra risalgono all'antichità preislamica. Ma il documento britannico accenna a questa solo di passaggio, limitandosi a definirla "comunità non ebraiche" i cui "diritti civili e religiosi non dovrebbero venir pregiudicati", e negandole quindi ogni definizione giuridico - politica d'identità nazionale. La Dichiarazione Balfour assume cosi' nella storia araba e palestinese il significato del primo di una serie di atti illegittimi effettuati dalle potenze occidentali e dalla comunità internazionale contro i popoli della regione. Ne seguiranno altri, culminanti nella risoluzione 181 dell'Onu del 29 novembre 1947 sulla spartizione della Palestina. Il carattere premeditato di tale violazione è confermato dallo stesso lord Balfour nel 1918 in un memorandum segreto al governo britannico. "In Palestina noi non ci curiamo dei desideri dell'esistente comunità bensì cerchiamo coscientemente di ricostruire una nuova comunità e ci stiamo adoperando decisamente per realizzare una maggioranza numerica ebraica nel futuro. Ciò costituisce evidentemente una flagrante contraddizione tra la lettera della Carta [della Società delle Nazioni] e la politica degli alleati"

Analogamente, nei 1946, quando l'America di Truman decide di "assumersi gli obblighi dell'Inghilterra nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente, non essendo piu' la Gran Bretagna in grado di controllare la situazione" gli Stati Uniti esercitano tutto il peso del loro potere mondiale per far approvare dall'Onu una risoluzione che assegni alla comunità sionista in Palestina il 55% del territorio palestinese, anche se essa costituisce soltanto il 31 % della popolazione e possiede solo il 6% delle terre. Agli ambasciatori americani tornati a Washington per implorare la Casa Bianca di desistere da questo atto d'ingiustizia capace di compromettere gli stessi interessi statunitensi nel mondo arabo Truman rispondera': " Mi dispiace, signori, ma non ho centinaia di migliaia di arabi tra i miei elettori" .[...]

Collateralmente, i governi occidentali, sia dopo la Prima guerra mondiale sia negli anni Quaranta, preferiscono che il flusso dei profughi ebrei, reduci delle persecuzioni nell'Europa centrale e orientale prima, e dello sterminio nazista poi, venga dirottato sulla Palestina piuttosto che accolto nei propri Paesi. Ma il rifiuto della popolazione arabo-palestinese di essere messa davanti a una scelta comunque inaccettabile - subordinarsi a uno Stato sionista oppure abbandonare la propria terra - e' fin da principio manipolato dai potenti mezzi di propaganda del mondo occidentale in modo da rovesciare le responsabilità per la sorte degli ebrei sul mondo arabo. [...]

Privata di ogni diritto di organizzazione politica autonoma, la popolazione arabo-palestinese si rivolta: nel 1921, 1922, 1929, 1933 e 1936, 1939 scoppiano moti popolari che sfociano in assalti agli insediamenti ebraici e alle basi britanniche. Secondo una commissione d'inchiesta di Londra, inviata sul posto, la violenza tra le due comunità, che fino al 1918 intrattenevano rapporti di reciproco rispetto e tolleranza, aumenta dell'80 % rispetto all'intero secolo precedente. La grande rivolta araba del 1936,1939 - la più importante sollevazione anticoloniale dell'epoca - e' repressa nel sangue soltanto dopo l'invio da Londra di rinforzi militari di 20000 uomini che, assistiti dall'aviazione, spazzano via la tenace guerriglia dimostratasi capace di occupare intere zone agricole e città, e di resistere a lungo contro forze di gran lunga superiori, grazie a un vasto appoggio tra le popolazioni locali.

Anche se priva di adeguate strutture scolastiche ( soltanto al 25 % dei giovani arabi e' consentita l'istruzione elementare e media contro il 90 % nella comunità ebraica) e debole in quelle sociali (basti pensare che il 50 % delle terre appartengono a quell'epoca a 250 famiglie feudali che dominano la popolazione e le cui rivalità offrono un fecondo terreno agli intrighi tramati dal potere coloniale), la popolazione palestinese è senza dubbio già a quell'epoca una delle piu' avanzate nella regione e possiede un alto grado di coscienza politica e nazionale. Nel 1929 una commissione d'inchiesta britannica constata: "L'opinione che il fellah non s'interessa di politica non trova conferma nella nostra esperienza in Palestina... Qui nessuno può dubitare che i contadini e i braccianti sono autenticamente interessati sia alla creazione di un loro Stato nazionale sia allo sviluppo di istituzioni di autogoverno. Non meno di 14 quotidiani vengono pubblicati in Palestina e quasi in ogni villaggio vi e' qualcuno incaricato a leggerli a quei contadini che non sanno leggere. Essi discutono tutti di politica e questa fa abitualmente parte dei sermoni di venerdì nella moschea. Questi fallahin... sono con tutta probabilità più politicizzati di molta gente in Europa". Schiacciata la rivolta del 1936, 1939, anche grazie alle complicità in seno alla classe dirigente feudale araba che temeva la sua trasformazione in un moto di riscossa sociale che colpisse i propri interessi; decapitato il movimento nazionale (con 15000 morti e feriti, migliaia di quadri imprigionati, i dirigenti espulsi dal Paese); rafforzata, invece, l'organizzazione militare sionista; Londra raggiunge pero' la conclusione di non potere piu' controllare la situazione da essa stessa creata. Un libro bianco preannuncia nel maggio del 1939 l'intenzione del governo mandatario di provvedere alla costituzione di uno Stato unitario indipendente in Palestina entro dieci anni, e blocca, nel frattempo il diritto sionista all'immigrazione e all'acquisto delle terre. Tuttavia, lo scoppio della Seconda guerra mondiale, che esige il controllo militare della Palestina in quanto grande base alleata, e che e' seguito dall'ascesa dell'influenza statunitense quale potenza mondiale a scapito dell'Inghilterra, comporta ancora una volta la vanificazione delle promesse fatte agli arabo palestinesi e un ulteriore rafforzamento della posizione contrattuale sionista. Il 29 novembre del 1947, sotto la massiccia pressione degli Stati Uniti e con il consenso dell'Unione Sovietica, l'assemblea generale dell'Onu, pur avvertita da una commissione angloamericana che "un ritiro delle truppe britanniche senza un precedente raggiungimento di un accordo tra le due comunita', e un periodo transitorio sotto il controllo di un'amministrazione fiduciaria, condurrebbe necessariamente a prolungati e immediati scontri sanguinosi dalle imprevedibili conseguenze", approva con 33 voti favorevoli contro 13 e l0 astenuti, la spartizione della Palestina. La risoluzione dell'Onu assegnava allo Stato arabo-palestinese soltanto il 40% del territorio, con una popolazione di 749010 arabi e una minoranza di l0000 ebrei. Allo Stato ebraico, invece, veniva assegnato il 45 % del territorio, con una popolazione pero' formata da una leggera maggioranza araba (509780) e 490020 ebrei. Il 90 % delle terre coltivabili sarebbero appartenute ai primi, le funzioni dirigenti esclusivamente ai secondi. Era una soluzione che in ogni caso non poteva funzionare ed era destinata a frustrare le ambizioni nazionaliste di entrambe le parti. Gli arabi la rifiutarono. La comunità sionista l'accettò, dando inizio immediatamente a operazioni militari dirette a "ripulire" il proprio territorio dalle popolazioni arabe. Vennero adoperati drastici mezzi di guerra psicologica (la diffusione di voci allarmistiche su epidemie, avvelenamenti di pozzi d'acqua, ecc.), perpetrati massacri di civili (Deir Yasin), attuate deportazioni forzate. Nel novembre 1948, soltanto il 15 % (130000) della nativa popolazione arabo-palestinese resta nel territorio diventato lo Stato d'Israele ed entro l'estate del 1949 lo Stato ebraico si appropria definitivamente di un terzo in piu' del territorio assegnatogli dall'Onu. Il tentativo dei Paesi arabi circostanti di venir in aiuto ai palestinesi - in maggioranza cacciati via già prima della fine del mandato britannico (il 15 maggio 1948) - si risolve in un fallimento totale. Una sconfitta altrettanto palese e' quella dell'Onu che tra l'11 dicembre 1949 e il 1975 voterà non meno di venti risoluzioni in cui a Israele e' richiesto, invano, di consentire il ritorno in patria dei profughi. Il 1948 segna cosi' l'inizio della tragedia palestinese. Un popolo intero si trasforma in una nazione di profughi. La piccola minoranza araba rimasta in territorio israeliano è sottoposta per dieci anni a un duro regime di controllo marziale, ma anche dopo l'abolizione di questo restano in vigore nei suoi confronti leggi discriminatorie e prassi persecutorie sul piano politico, economico e culturale. Il 90 % circa delle terre vengono sequestrate, al 20 % è negata la cittadinanza, il tessuto socioculturale, specie nelle campagne, viene smembrato, è vietata ogni forma di organizzazione politica autonoma, ogni protesta è schiacciata con mano ferrea, detenzioni amministrative (senza processo) sono frequenti, è effettuata una rigida selezione degli studenti universitari, e in ogni caso ai laureati, agli intellettuali, è impedita la possibilità di trovare sbocchi adatti alle loro capacità, con l'obiettivo d'incoraggiare la loro definitiva emigrazione all'estero. Ma la maggioranza dei palestinesi e', in seguito alla guerra, stipata in Cisgiordania e Gaza - due zone della Palestina che restano in mano rispettivamente al Regno hashemita e all'Egitto - o dispersa nel resto del mondo arabo: nella stessa Giordania, in Siria, Libano (dove il delicato equilibrio intercomunitario renderà sempre più precaria ed esplosiva la loro presenza), in Iraq, nei Paesi del Golfo.

Privati di ogni cosa, colpiti nello stesso rispetto di se, ammassati in sovraffollate tendopoli, umide d'inverno e torride d'estate, soggetti al disprezzo delle popolazioni "ospitanti" e alle misure restrittive dei governi "fratelli", i profughi palestinesi tuttavia non si arrendono. La determinazione di rientrare in patria e la costante affermazione della propria identità nazionale diventano la loro ragion d'essere personale e collettiva, la matrice dell'educazione dei figli, il tema dei canti e dei racconti, la motivazione per acquistare una preparazione professionale, per reagire anche culturalmente alla condizione umiliante di rifugiati. La coscienza nazionale anzichè tramontare, s'intensifica.



[L. Rokach, Questione palestinese, in Storia dell'Africa, La Nuova Italia, Firenze, 1979, pp.404-407]




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