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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
22.11.2017 Putin sempre più con Assad e Iran. Verso una nuova guerra in Medio Oriente?
Commenti di Giuseppe Agliastro

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giuseppe Agliastro
Titolo: «Siria, Putin abbraccia Assad e ridisegna il Medio Oriente - Assad abbraccia Putin perché ha vinto la Prima guerra. Ne arriva un’altra?»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/11/2017, a pag. 14, con il titolo "Siria, Putin abbraccia Assad e ridisegna il Medio Oriente", la cronaca di Giuseppe Agliastro; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Assad abbraccia Putin perché ha vinto la Prima guerra. Ne arriva un’altra?", l'analisi di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

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Bashar Assad con Vladimir Putin

LA STAMPA - Giuseppe Agliastro: "Siria, Putin abbraccia Assad e ridisegna il Medio Oriente"

Putin è pronto a raccogliere i frutti dell’intervento militare russo in Siria. Dopo aver ribaltato le sorti del conflitto a favore del regime di Damasco, lunedì il leader del Cremlino ha incontrato in gran segreto Bashar al Assad: il presidente siriano che probabilmente non sarebbe più tale senza i raid aerei russi lanciati nel settembre di due anni fa. I due alleati si sono abbracciati lunedì a Sochi alla vigilia di un evento che potrebbe essere una solenne conferma del ruolo fondamentale svolto da Mosca nelle trattative per plasmare il futuro ancora incerto del paese levantino. La città russa sul Mar Nero ospiterà infatti oggi un vertice sulla Siria dei capi di Stato di Turchia, Russia e Iran: una sorta di Yalta del Medio Oriente in cui Putin sarà più di un semplice padrone di casa alla ricerca di soluzioni alla crisi che siano condivise anche da Erdogan e Rohani. La centralità della Russia nella questione siriana è riconosciuta da tutti. E nelle tre ore a tu per tu con Assad, Putin ha sottolineato che «la lotta al terrorismo in Siria è prossima alla fine»: segno che per il Cremlino si avvicina non solo la sconfitta dell’Isis, ma anche il momento di tirare le somme. E questo al di là delle indiscrezioni dei media secondo cui il presidente russo vorrebbe completare l’operazione in Siria in dicembre lasciando sul terreno solo uomini e mezzi necessari per il funzionamento delle basi militari.

Russia, Turchia e Iran sono i tre Paesi che in questi mesi hanno promosso i negoziati di Astana e la creazione di quattro zone di de-escalation in Siria, un modo per porre le basi per le future sfere di influenza. Mosca e Teheran appoggiano le truppe governative, mentre Ankara alcuni gruppi di ribelli. Il pomo della discordia al momento è però la questione curda: Putin ha invitato i curdi al Congresso di Dialogo nazionale da lui sponsorizzato. Ma i turchi non hanno gradito e hanno fatto saltare una riunione inizialmente in programma il 18 novembre.

Un compromesso però si può sempre trovare: l’approccio del Cremlino è pragmatico e Putin continua a tenere attivo il filo delle comunicazioni anche con Donald Trump e il re saudita Salman, con i quali ieri ha discusso al telefono in vista del vertice di oggi. Ma il presidente russo ieri ha parlato di Siria anche col premier israeliano Netanyahu, che teme l’influenza iraniana nel Paese, accresciuta dal «corridoio sciita» fra Baghdad e Damasco, ed è interessato a una zona di de-escalation a sud, vicino al confine con la Giordania.

Lo stesso riservatissimo faccia a faccia con Assad - annunciato solo quando il dittatore siriano aveva fatto già ritorno in patria - è un simbolo del successo di Putin. Uno dei momenti più significativi è stato l’incontro tra Assad e i generali russi. «Vorrei presentarle delle persone che hanno svolto un ruolo chiave nel salvare la Siria», ha detto Putin al presidente siriano accusato di crimini contro l’umanità. Un modo per ricordare ad Assad che se è ancora in sella lo deve principalmente a Mosca.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Assad abbraccia Putin perché ha vinto la Prima guerra. Ne arriva un’altra?"

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Daniele Raineri

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Dietro Assad: la Russia di Putin e l'Iran degli ayatollah

Roma. Tre giorni dopo l’inizio dei bombardamenti della Russia in Siria, nell’ottobre 2015, l’allora presidente americano, Barack Obama, disse in una conferenza stampa alla Casa Bianca che “ogni tentativo iraniano o russo di salvare Assad e di pacificare la popolazione è destinato a finire in un quagmire e non funzionerà”. Quagmire è la parola diventata famosa durante i primi anni della guerra americana in Iraq, quando una soluzione rapida al conflitto cominciò a diventare un doloroso miraggio, non c’era alcun progresso e le truppe erano insabbiate in una situazione senza sbocchi: un quagmire, appunto. Il tentativo iraniano e russo invece ha funzionato. Ieri il Cremlino ha fatto circolare la notizia e le foto di un incontro di lunedì pomeriggio fra il presidente russo Vladimir Putin e quello siriano Bashar el Assad, avvenuto in segreto per ragioni di sicurezza. E’ soltanto la seconda volta in sette anni di guerra che Assad lascia la Siria, la prima fu nell’ottobre 2015 e anche quella volta si trattò di una visita riservata a Mosca per incontrare Putin. Questa volta il bilaterale è stato a Sochi, sulla costa del mar Nero, e si è aperto con un abbraccio che di fatto sancisce la fine della guerra in Siria. Nessun contendente sul terreno ha adesso la forza di minacciare il potere territoriale e militare del complesso Assadrussi-iraniani e il presidente siriano, che negli anni scorsi rischiava di essere travolto assieme al suo establishment molto chiuso e diffidente, oggi ha la vittoria finale garantita.

Lo Stato islamico devastato da tre anni di bombardamenti americani – e molto meno dagli alleati di Assad, più concentrati su altri fronti – ha abbandonato una dopo l’altra le città che controllava e ora sta per essere cacciato anche dagli ultimi chilometri che controlla, a est, vicino al confine iracheno. I gruppi dell’opposizione armata confinati nella “riserva indiana” di Idlib a nord-ovest, possono al massimo provare a difendersi, non hanno alcuna speranza di attaccare; la fazione dominante fra loro inoltre è un gruppo terrorista ostile allo Stato islamico ma legato ad al Qaida (a dispetto dei dinieghi) e questa scelta suicida bloccherà ogni idea di aiuto dall’esterno fino alla completa estinzione. A nord-est ci sono i curdi, che sognano più autonomia ma non vogliono finire come i cugini iracheni, che hanno provato a parlare d’indipendenza e sono finiti schiacciati. Un altro paio di enclave ribelli fuori dal controllo del governo, una vicino a Damasco e l’altra al confine sud, resistono agli assalti – ma dal punto di vista militare l’esito è scontato, soprattutto se si ragiona sul lungo termine, anni e non mesi. Assad, protetto da un doppio cerchio di difesa fatto da milizie filoiraniane a terra e dai jet russi in cielo, ha superato la crisi.

La Russia si occupa anche di fare ostruzionismo alle Nazioni Unite, mette il veto contro le indagini per crimini di guerra e venerdì scorso ha fatto sciogliere la commissione che indagava sui massacri con le armi chimiche compiuti dagli assadisti: il presidente siriano ha ogni ragione di abbracciare Putin. Ma se Sochi è il giro della vittoria di Assad nella prima guerra siriana, non è da escludere che ce ne sia presto una seconda. Oltre alle tensioni con i curdi, c’è Israele che ogni giorno ricorda che in questo momento le condizioni sul terreno in Siria – quindi la presenza in massa di militari iraniani e di milizie Hezbollah – sono una minaccia esistenziale e quindi equivalgono a una dichiarazione di guerra. “C’è ancora chi non vuole capire – ha detto la settimana scorsa il ministro della Difesa israeliana, Avigdor Lieberman, in visita sul Golan – ma è così”. Per vincere la guerra civile con l’aiuto iraniano, Assad ha creato un motivo potenziale di conflitto con Israele e con gli altri paesi dell’area che non sopportano gli iraniani, su tutti quelli del Golfo.

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