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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
05.10.2017 Putin con Iran, Arabia, Siria e Venezuela: alleati in nome del petrolio
Cronaca di Giuseppe Agliastro, commento di Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giuseppe Agliastro - Daniele Raineri
Titolo: «Dal Venezuela all'Arabia, così Putin controlla l'alleanza del petrolio - Putin accelera la campagna militare in Siria, vuole una via d’uscita chiara»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 05/10/2017, a pag. 13, con il titolo "Dal Venezuela all'Arabia, così Putin controlla l'alleanza del petrolio", la cronaca di Giuseppe Agliastro; dal FOGLIO, a pag. IV, con il titolo "Putin accelera la campagna militare in Siria, vuole una via d’uscita chiara", l'analisi di Daniele Raineri.

Si stringe l'alleanza della Russia di Putin con i regimi liberticidi e criminali di Iran, Arabia Saudita, Siria e Venezuela. In nome del petrolio e dell'influenza nella regione mediorientale, queste dittature compongono un asse che gli amanti della libertà e della pace vorrebbero veder spezzato. Israele, l'unica democrazia del Medio Oriente, è naturalmente nel mirino dell'Iran e della Siria sostenute da Mosca.

Ecco gli articoli:

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Vladimir Putin con l'iraniano Hassan Rohani

LA STAMPA - Giuseppe Agliastro: "Dal Venezuela all'Arabia, così Putin controlla l'alleanza del petrolio"

Ieri il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Oggi un alleato decisamente più recente come il re saudita Salman bin Abdulaziz. Nel giro di 48 ore Vladimir Putin apre le porte del Cremlino ai leader di due Paesi lontani i cui interessi si intrecciano però sempre più strettamente con quelli della Russia. Sia il Venezuela sia l’Arabia Saudita sono grandi produttori di petrolio, e proprio il futuro del mercato mondiale del greggio è uno dei temi più importanti tra quelli al centro dei colloqui tra il presidente russo e gli altri due capi di Stato. Ma non è di certo l’unico. Sul tavolo ci sono anche la rivolta in Venezuela, la profonda crisi economica del Paese sudamericano, il conflitto in Siria e il ruolo dell’Iran in Medio Oriente.

Intervenendo a un forum sull’energia, Putin ha dichiarato che l’accordo sul taglio della produzione petrolifera tra Paesi Opec e non Opec può essere prolungato «come minimo fino alla fine del 2018». Anche Venezuela e Arabia Saudita - le cui economie si basano largamente sull’oro nero - dovrebbero essere dello stesso parere: l’intesa ha infatti mantenuto a galla i prezzi del greggio, letteralmente crollati negli ultimi anni. Non per niente, appena messo piede a Mosca, Maduro ha sottolineato che «è necessario» continuare a rispettare il patto «con un alto livello di disciplina».

Il Cremlino sostiene il governo venezuelano dai tempi di Hugo Chavez. E continua a farlo adesso che migliaia e migliaia di persone scendono in piazza contro Maduro e il chavismo contestando l’annullamento di fatto dei poteri del parlamento, dove l’opposizione aveva conquistato la maggioranza nelle elezioni del 2015. Le forze dell’ordine reprimono le manifestazioni con la violenza. In quattro mesi, i morti sono stati 120. E con la crisi economica la popolazione è ormai allo stremo, senza cibo né medicinali. Una boccata d’ossigeno per il governo venezuelano arriva proprio da Mosca. Mentre gli Usa sanzionano Caracas, il Cremlino aiuta Maduro a restare in sella. «Grazie per il sostegno politico e diplomatico in questo momento difficile», ha detto il presidente venezuelano a Putin, che si è congratulato per «i contatti con le forze d’opposizione». Maduro ha affermato che l’incontro è stato «un successo» e ha ringraziato la Russia per l’invio di cereali. Ma il Cremlino aiuta il governo di Caracas anche finanziariamente: la Rosneft ha pagato in anticipo 6 miliardi di dollari alla Petroleos de Venezuela per le forniture di greggio, e - secondo fonti della Reuters - Maduro dipende sempre più dal denaro della Russia, che intanto negozia con Caracas la partecipazione nei progetti petroliferi più remunerativi del Paese. Maduro in cambio spera di ristrutturare un vecchio debito da 2,8 miliardi di dollari con Mosca per l’acquisto di carri armati e missili in modo da non trovarsi con l’acqua alla gola e si aspetta nuove armi dalla Russia.

Anche sul fronte saudita il petrolio è solo una parte della posta in gioco. L’incontro tra Putin e re Salman è molto atteso a Mosca, dove la strada tra l’aeroporto di Vnukovo e il centro della capitale è stato tappezzato di cartelli in russo e in arabo per dare il benvenuto al sovrano che ieri ha iniziato la sua prima visita in Russia. Mosca e Riad - due colossi mondiali degli idrocarburi - firmeranno oggi accordi per tre miliardi di dollari, e ciò dimostra come siano sempre più vicine. Ma un nodo gordiano della loro relazione è rappresentato dall’Iran, acerrimo rivale dei sauditi ma alleato della Russia e di Assad nel conflitto in Siria, dove invece Riad appoggia dei gruppi ribelli. Re Salman teme che l’intervento dei pasdaran iraniani dia a Teheran un ruolo primario nella Siria del futuro. E cerca un compromesso con Putin. «La mia sensazione - spiega Mark Katz, politologo della George Mason University - è che i sauditi siano disposti a permettere che Assad resti al potere a patto che Mosca si adoperi per contenere l’influenza iraniana in Siria».

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Putin accelera la campagna militare in Siria, vuole una via d’uscita chiara"

A differenza dell'articolo di Mattia Ferraresi ripreso oggi da IC in altra pagina, che disinforma con una scelta di parole che vorrebbero rendere ridicolo Trump, quello di Daniele Raineri è informato e ricco di notizie.

Ecco il pezzo:

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Daniele Raineri

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Roma. In queste settimane la Russia accelera la campagna militare contro lo Stato islamico come ancora non era successo da quando è intervenuta nella guerra civile siriana due anni fa. Questo coinvolgimento più intenso fa parte della manovra partita da ovest per strappare la Siria orientale al controllo del gruppo terrorista, soprattutto nella zona di Deir Ezzor, e anche per battere in velocità le forze curde (sotto la sigla SDF) appoggiate dagli americani che scendono nella stessa area da nord. Si tratta di una parte del paese importante perché contiene i pozzi petroliferi, che non sono tanti come in altri paesi arabi ma garantiscono comunque un ricavo discreto.

Le SDF già hanno occupato tre quarti dei pozzi di greggio e non è per nulla scontato che abbiano intenzione di restituirli al governo di Damasco, perché potrebbero tenerseli come base economica per la regione autonoma curda che hanno di fatto creato nel nord ovest del paese. Insomma, tutti e due gli schieramenti combattono contro lo Stato islamico, ma lo fanno in un’ottica di rivalità seppure molto controllata e ormai si toccano, sono a pochi chilometri di distanza, senza avere ancora chiaro cosa fare. Il fastidio arrecato dalla presenza in quella zona dei curdi sponsorizzati dall’America si capisce in modo molto chiaro dalle bordate di propaganda acidissima che partono dai media di stato russi, di basso livello persino per gli standard soliti, che già non sono trasparentissimi. Mosca prima ha accusato l’America di avere salvato con gli elicotteri i capi dello Stato islamico assediati a Deir Ezzor, poi ha messo in giro alcune foto della presenza americana “nelle stesse aree dell’Isis”, che dovrebbero provare l’alleanza “certa” tra Stato islamico, curdi e America e che però sono state scattate quando ormai il gruppo terrorista si era ritirato (lo diciamo per chi fosse distratto: parlare di alleanza tra Stato islamico e SDF mentre queste ultime stanno finendo di vincere la battaglia di Raqqa è patetico. Le SDF stanno prendendo Raqqa, quindi stanno infliggendo all’Isis la sconfitta più cocente della loro storia in Siria). Anche il ministro degli Esteri Sergei Lavrov che di solito è molto compassato e beffardo ha usato parole dure contro i curdi e l’Amministrazione americana.

Questo sprint diretto nella regione di Deir Ezzor per la Russia è un problema, l’attrito della guerra fatta a terra aumenta il numero delle perdite ed è una cosa che il presidente russo Vladimir Putin vuole evitare, perché i sondaggi dicono che i russi a questo punto vorrebbero vedere una fine delle operazioni in Siria (lo dice il centro indipendente Levada) e nel 2018 ci sono le elezioni. Sabato 23 settembre lo Stato islamico ha ucciso con un colpo di mortaio il generale Valery Asapov, 51 anni, l’ufficiale russo più alto in grado in Siria, e un altro alto ufficiale che era con lui in macchina. Grazie a uno scoop di Reuters ora sappiamo che Asapov era a Deir Ezzor non per dare ordini a truppe russe, ma come comandante di una divisione siriana, il cosiddetto Quinto corpo, creato nel 2016. Secondo il giornale libanese as Safir, che simpatizza con Assad, il gruppo libanese Hezbollah aveva mandato alcuni dei suoi ufficiali migliori a servire da embedded nel Quinto corpo fin dall’inizio. Quindi un generale russo e ufficiali libanesi militano in modo organico nelle forze di Assad, per dare compattezza ai soldati siriani, che prima dell’intervento russo nel settembre 2015 erano molto deboli.

La settimana scorsa lo Stato islamico ha lanciato una disperata controffensiva per raccogliere qualche temporaneo successo sul campo e illuminare con qualche buona notizia il discorso del capo Abu Bakr al Baghdadi. La forza della manovra, dedicata al portavoce Abu Mohamed al Adnani, sta già svaporando perché il gruppo perde forza giorno dopo giorno, ma i fanatici hanno fatto in tempo a catturare due contractor russi nel villaggio di Shula, a est di Deir Ezzor. Si tratta non di due soldati regolari, ma di due combattenti assoldati da una compagnia per consentire al Cremlino di minimizzare le eventuali perdite ufficiali. Due giorni fa il gruppo terrorista ha fatto circolare un video breve con i due. Mosca quindi accelera per non regalare spazio alle forze sponsorizzate dall’America e per districarsi dalla guerra al suolo, ma ci vorrà ancora tempo. E intanto ieri il ministro della Difesa israeliana, Avigdor Liberman, ha chiesto all’Amministrazione americana maggiore impegno in Siria contro “russi, iraniani, siriani e turchi”.

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