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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.07.2017 Il terrorista nordcoreano longa manus dell'Iran?
Cronaca di Francesco Radicioni, commento di Guido Olimpio

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Francesco Radicioni-Guido Olimpio
Titolo: «Corea del Nord, Kim alza il tiro 'Ora possiamo colpire New York'-Qual'è il piano B per fermare Kim»

L'ultimo missile lanciato dalla Corea del Nord, preoccupa, dopo il GIappone, anche l'America. Come ipotizza stamane anche Ugo Volli, dietro agli esperimenti nucleari del terrorista-clown  ci potrebbe essere la longa manus dell'Iran, un altro regalo della lungimitante politica estera di Obama.

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 30/07/2017, a pa.15, la cronaca. Dal CORRIERE della SERA, a pag.15,  il commento di Guido Olimpio.

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Urge regolare i conti

La Stampa-Francesco Radicioni: " Corea del Nord, Kim alza il tiro 'Ora possiamo colpire New York'"

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Francesco Radicioni

«Gli Stati Uniti sono nel nostro raggio d'attacco». Solo tre settimane dopo il primo lancio di un missile balistico intercontinentale, nella tarda serata di venerdì Pyongyang ha dimostrato di aver sviluppato un'arma molto più potente di quella testata il 4 luglio. Secondo gli esperti, il Hwasong-14 lanciato il giorno dell'indipendenza americana avrebbe potuto raggiungere !Alaska, mentre - con la giusta inclinazione - l'ultimo Icbm sarebbe stato in grado di colpire Los Angeles, Chicago e forse persino New York. All'indomani del secondo test di un missile balistico intercontinentale, sono stati i media di Pyongyang a confermare i dati tecnici dell'ultima provocazione della Corea del Nord: prima di cadere a largo delle coste giapponesi, il missile avrebbe viaggiato per quasi mille chilometri, rimanendo in volo per 47 minuti e raggiungendo l'apogeo della propria parabola a un'altezza superiore ai 3.700 chilometri. Kim Jong-un ha anche potuto rivendicare che la Corea del Nord è ora in grado di fare questi lanci «in ogni momento e in ogni luogo». Anche se rimangono dubbi che il regime di Pyongyang sia già in possesso della tecnologia per installare una testata nucleare sui propri vettori, tuttavia i rapidi progressi del programma missilistico nordcoreano preoccupano l'amministrazione americana. «Gli Stati Uniti continueranno a fare tutti i passi necessari per garantire la sicurezza dell'America e degli alleati di Washington nella regione», ha detto Donald Trump. Intanto a Washington aumenta anche la frustrazione per la riluttanza di Pechino a usare la propria leva economica nei confronti della Corea del Nord. «Cina e Russia hanno la responsabilità per questa crescente minaccia alla stabilità regionale e mondiale», ha tuonato venerdì il Segretario di Stato Rex Tillerson. Le provocazioni nord-coreane gettano in allarme anche le capitali dell'Asia nord-orientale. Ieri il portavoce del Ministero degli Esteri cinese è tornato a chiedere a Pyongyang il rispetto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, mentre Pechino ha anche fatto appello a tutte le parti coinvolte per il mantenimento della pace nella regione. Intanto il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, ammoniva che l'ultimo test missilistico del regime di Kim Jongun potrebbe portare a «profondi cambiamenti nella struttura della sicurezza in Asia nord-orientale». Infatti, l'escalation delle provocazioni missilistiche da parte della Corea del Nord rischia di provocare una corsa agli armamenti nella regione. Subito dopo il test, le forze armate di Stati Uniti e Corea del Sud hanno condotto esercitazioni militari congiunte, mentre dal palazzo presidenziale di Seul si proponeva a Washington di rafforzare la «deterrenza strategica» contro le minacce di Pyongyang. Inoltre, con una mossa a sorpresa, il presidente sud-coreano ha autorizzato l'installazione di alcune componenti aggiuntive del sistema antimissile Thaad, che negli scorsi mesi aveva provocato un raffreddamento delle relazioni tra Pechino e Seul.

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Qual'è il piano B per fermare Kim "

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Guido Olimpio

È sempre la stessa scena, con gli attori che ripetono — a memoria — la loro parte in un teatro particolare: la penisola coreana. Muscoli, minacce, ordigni che partono ma nessuno sa bene come cambiare il finale. Che potrebbe, un giorno, essere pessimo. Per questo Washington e Seul si agitano. Donald Trump accusa la Corea del Nord di atteggiamento «pericoloso». Il Sud, insieme agli americani, ha condotto esercitazioni a fuoco sparando missili. Il Pentagono annuncia l’apertura di una gigantesca base nel Paese alleato: costata 11 miliardi di dollari, quando sarà terminata ospiterà 45 mila persone, in gran parte soldati che dovranno fare da scudo. Una specie di città, con scuole, negozi, ristoranti ma soprattutto apparati per potenziare la difesa del Sud in una fase estremamente rischiosa. Kim Jong-un, dopo l’ultimo lancio di un vettore intercontinentale, ha avvertito: «Possiamo colpire l’intero territorio americano, non importa quando e come». Una valutazione che, pur condita di propaganda, è giudicata credibile da un esperto serio come David Wright: è vero, i nordcoreani sono in grado di raggiungere Los Angeles, Denver, Chicago e forse anche Washington e New York. Certo, restano ancora dubbi sulla testata, ma nessuno è disposto a sottostimare gli scienziati di Pyongyang. Sono svegli e preparati. Le mosse del dittatore Lo scenario che tutti paventano è il giovane Maresciallo con in mano un arsenale completo con il quale può lanciare ricatti nei confronti degli Stati Uniti e dell’Europa. Se avrà un lungo braccio strategico proverà ad usarlo con una doppia chiave: per garantire vita eterna al suo potere, per tenere a bada gli avversari. Il leader è convinto che solo così eviterà di essere rovesciato e non farà la fine di Saddam e Gheddafi. Da qui l’ordine di procedere avanti tutta con spinta economica e bellica, un binario che ha portato a risultati concreti. Paura nucleare Entro il 2018 — afferma l’intelligence Usa — potrebbero arrivare ad una carica nucleare con la quale armare l’ordigno. Il punto di non ritorno è stato raggiunto e giustamente i media di regime diffondono immagini del dittatore raggiante durante l’ultimo test. La nuova versione dello Hwasong-14 ha volato per 47 minuti, ad una distanza di quasi mille chilometri e ad un’altezza di 3.724 chilometri. Parametri, che una volta verificati, aumentano i timori sulle capacità belliche del regno rosso. Che ha combinato la tecnica dei suoi ingegneri con la consulenza di amici esterni. Ha trafficato e comprato per avere il know how . Ieri il segretario di Stato Usa Tillerson ha sottolineato come Russia e Cina abbiano responsabilità «speciali». Non è un segreto: il Nord ha beneficiato della loro collaborazione diretta o indiretta. Reperti recuperati in mare, indagini internazionali e lavoro di spionaggio hanno raccolto prove sulla collusione. Ma oltre a questo alla Casa Bianca sono nervosi perché non sanno bene cosa fare. Hanno sperato nel ruolo calmierante di Pechino, però fino ad oggi non si sono visti i risultati mentre i cinesi continuano a invocare moderazione. Solo che questa linea d’attesa ha favorito Kim, risoluto come non mai, e sono sempre forti i sospetti che la Cina non abbia alcuna fretta nel tenere a freno il regime. Ecco che allora gli alleati oltre al piano A, diplomazia e solite sanzioni, preparano anche il piano B. La Corea del Sud vuole aumentare la potenza di fuoco — le manovre di queste ore con l’uso di missili balistici e tattici sono un segnale —, insiste con una cooperazione più stretta con gli Usa che, fanno sapere, studiano «opzioni militari». Termini classici, abbastanza vaghi da lasciare margini di manovra per non finire intrappolati in un meccanismo di azione-ritorsione. I rischi di un conflitto Ormai è noto: anche un «semplice» conflitto convenzionale lungo il 38esimo parallelo provocherebbe un’ecatombe, con civili spazzati via dalle centinaia di cannoni e razzi puntati da Kim contro il Sud. I successi missilistici non devono però far dimenticare i seri problemi cronici che affliggono il «paradiso» nord coreano: la siccità ha colpito duramente l’agricoltura e dunque le sempre scarse scorte alimentari potrebbero non bastare.

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