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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
06.06.2017 I Paesi del Golfo contro il Qatar
Cronaca e commento di Giordano Stabile, analisi di Stefano Stefanini, Gian Micalessin

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Giordano Stabile - Stefano Stefanini - Gian Micalessin
Titolo: «Il Qatar finisce sotto assedio: 'Finanzia e aiuta i terroristi' - L’emiro senza compromessi che sostiene i Fratelli musulmani - Il nervo scoperto che punge il Medio Oriente - Al Qaida, al Nusra, Hamas, Isis: il dossier sui fondi neri di Doha»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 06/06/2017, a pag. 10, con i titoli "l Qatar finisce sotto assedio: 'Finanzia e aiuta i terroristi' ", "L’emiro senza compromessi che sostiene i Fratelli musulmani", due commenti di Giordano Stabile; a pag. 27, con il titolo "Il nervo scoperto che punge il Medio Oriente", l'analisi di Stefano Stefanini; dal GIORNALE, a pag. 8, con il titolo "Al Qaida, al Nusra, Hamas, Isis: il dossier sui fondi neri di Doha", il commento di Gian Micalessin.

Ecco gli articoli:

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Qatar: un Paese corrotto e terrorista

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Il Qatar finisce sotto assedio: 'Finanzia e aiuta i terroristi' "

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Giordano Stabile

Gli scaffali scintillanti dei supermercati di Doha si sono svuotati in poche ore e apparivano sugli schermi delle tv arabe spogli come quelli sovietici. La «guerra civile» fra i Paesi del Golfo è cominciata così. Con il blocco dell’autostrada che dall’Arabia Saudita porta a Doha e dove passa la metà del cibo consumato ogni giorno in Qatar, e la gente che si preparava all’assedio. Anche se l’invasione non ci sarà il piccolo e ricchissimo regno rischia di cadere per fame.

Due settimane di duelli verbali, cominciati dopo il summit dei Paesi islamici con il presidente americano Donald Trump, sono sfociati nella rottura delle relazioni diplomatiche imposta da Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi uniti ed Egitto. Poi si sono aggiunti lo Yemen, il governo libico che appoggia Haftar, e le Maldive. I Paesi del Golfo - tranne Kuwait e Oman, rimasti defilati - hanno ordinato ai diplomatici qatarini di rientrare in patria «entro 48 ore», hanno chiuso lo spazio aereo e marittimo, bloccato tutti i voli per Doha. Anche le navi cisterna che trasportano il gas liquefatto verso Europa e Giappone si sono fermate. La Borsa di Doha è crollata dell’8 per cento.

Un blocco totale per mettere in ginocchio l’emiro «fuori linea» Tamim bin Hamad Al-Thani, accusato di appoggio e finanziamento a «movimenti terroristici» e collusione con l’Iran, in pratica tradimento. I gruppi terroristici sono Fratelli musulmani, Hamas, ma anche Hezbollah e milizie legate all’Iran. Sono gli stessi movimenti che Trump, nel suo discorso di Riad, ha elencano nel «nuovo asse del male». Al-Thani non si è adeguato. Pochi giorni dopo ha rilasciato dichiarazioni a favore di Hamas, si è dissociato dall’attacco agli ayatollah iraniani.

Per il governo qatarino si è trattato del colpo basso di hacker non identificati, che sarebbero entrati nel sistema dell’agenzia di stampa nazionale e inventato le dichiarazioni. Ma gli ex alleati non gli hanno creduto. E’ stata un’escalation di minacce, fino a quelle di sabato dell’influente Salman al-Ansari, che gestisce i rapporti fra Arabia e gli Usa: Al-Thani stava facendo «le stesse cose di Mohammed Morsi» e avrebbe fatto la stessa fine. Un segnale in codice, perché proprio sulla caduta dell’ex presidente islamista egiziano si è consumata nel 2013 la prima rottura fra il Qatar e le altre potenze sunnite.

Nel 2014 c’era stata la sospensione dei rapporti diplomatici. Questa volta è la resa dei conti. Voluta da due figure «muscolari»: Mohammed bin Salman, vice principe ereditario e ministro della Difesa saudita, e Mohammed Bin Zayed, comandante delle forze armate emiratine. Il Qatar ha respinto come «assurde» le accuse. Per l’emiro i Fratelli musulmani non sono «terroristi» e non lo è neppure Hamas: il leader Khaled Meshaal dal 2012 vive a Doha.

Anche i rapporti sotto banco con l’Iran sono a conoscenza di tutti, perché il Qatar divide con Teheran nel Golfo persico il più grande giacimento di gas al mondo e ha tutto da perdere da una rottura. Una delle contraddizioni del regime qatarino. Organizzazioni «caritative» hanno finanziato gli islamisti sunniti siriani e iracheni, compresi quelli vicini ad Al-Qaeda e in un primo tempo l’Isis, ma gli Stati Uniti hanno in Qatar la base aeronavale di Al-Udeid, trampolino indispensabile per i raid sul Califfato. Washington è allarmata e il segretario di Stato Rex Tillerson che ha chiesto alle parti di «sedersi attorno a un tavolo».

Le contraddizioni sono state fatte esplodere dal cambio di marcia imposto da Trump al summit di Riad. Basta ambiguità con gli islamisti, tutti compatti nella nuova «Nato araba». Già in frantumi però, prima di cominciare. Ora all’Egitto interessa soprattutto dare un colpo mortale ai Fratelli musulmani, mentre nella partita si è inserita anche Israele, che vede la spaccatura all’interno del Golfo come «opportunità» nella «lotta al terrorismo», come ha detto il ministro della Difesa Avigdor Lieberman. Terrorismo di marca iraniana, s’intende.

A questo punto all’emiro Al-Thani restano due carte. Quella dell’Iran, che si è offerto di rifornire il regno e spera di scardinare il sistema di alleanze degli Stati Uniti. E quella della Turchia. Il ministro degli Esteri di Ankara, Mevlut Cavusoglu, ha invitato le parti alla «moderazione». Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha subito come un attacco personale la deposizione dell’amico Morsi. Nelle scorse settimane ha inviato un piccolo contingente militare in Qatar. Nell’ingarbugliata matassa del Golfo c’è anche il duello Ankara-Riad.

LA STAMPA - Giordano Stabile: "L’emiro senza compromessi che sostiene i Fratelli musulmani"

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Il simbolo della Fratellanza musulmana: il Corano e due scimitarre per imporlo

Sheikh Tamim bin Hamad Al-Thani è l’ottavo emiro del Qatar, il terzo da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1971. È anche il primo a essere salito al trono in una transizione morbida, dopo l’abdicazione del padre, Hamad. Ma le caratteristiche della sua ascesa, che lo ha portato a sopravanzare i tre fratelli maggiori, sono le stesse dei precedenti sovrani: irruenza, ambizione e una personalità che non ammette condizionamenti. Neppure dal potente vicino saudita.

Tamim è nato a Doha del 1980. Quando nel 2013 ha preso le redini del Paese con il più alto reddito pro capite al mondo aveva solo 33 anni, il più giovane sovrano del Golfo. Un altro contrasto netto con la vicina Arabia Saudita, dove la trasmissione del potere va di fratello in fratello, e sul trono da decenni salgono solo ottuagenari o quasi. In Qatar l’emiro sceglie il suo successore - quando non è fatto fuori da un golpe di palazzo - nel figlio più «promettente». E nel caso di Tamim c’era poca scelta, perché i fratelli erano «o troppo dediti al gioco, o troppo dediti alla preghiera».

Tamim è invece uomo di azione. Da ragazzo viene mandato in Gran Bretagna a studiare nell’elitaria e severa Sherborne School, nel Dorset. Dopo il liceo frequenta l’accademia militare di Sandhurst, la più prestigiosa al mondo, sempre sulle orme paterne. Raggiunge il grado di sottotenente ed entra nelle forze armate. Nel 2009 diventa capo di Stato maggiore. Ma la sua vera passione è lo sport. Più organizzarlo che praticarlo, perché si hanno notizie solo di sue «partite a badminton» e poco altro.

Sotto il suo impulso il Qatar diventa una potenza sportiva. Nel 2014 Doha ospita i mondiali di nuoto e soprattutto ottiene l’organizzazione dei mondiali di calcio nel 2022, per la prima volta in un Paese arabo, nonostante il clima proibitivo e le polemiche su presunte mazzette milionarie pagate alla Fifa. Un altro colpo è l’acquisto del Paris Saint-Germain, la più glamour delle squadre francesi.

Ma lo sport è anche uno dei pilastri della predicazione dei Fratelli musulmani, suo riferimento nell’islam. Tamim ha mantenuto l’approccio conservatore di famiglia. Ha sposato una cugina di primo grado, e poi una seconda moglie, e ha avuto sei figli. La religione di Stato è rimasta il wahhabismo, come in Arabia Saudita, ma con una accento più «rivoluzionario», vicino alla Fratellanza appunto. Il giovane emiro ha sfruttato il megafono mediatico di Al-Jazeera, la tv panaraba fondata a Doha nel 1996, per diffondere le posizione islamiste e modellare il Medio Oriente in quel senso.

Con la sconfitta dei Fratelli musulmani in Egitto il vento è improvvisamente girato. L’abdicazione del padre Hamad nel 2013 è stata vista da molti come frutto della longa manus dell’Arabia Saudita, che voleva un allineamento sulle sue posizioni. Hamad aveva già rischiato la testa nel 1995, quando Riad aveva chiesto all’allora presidente egiziano Hosni Mubarak di inviare le sue truppe per detronizzare l’emiro, salito al trono con un colpo di palazzo. Il raiss del Cairo cambiò idea all’ultimo momento. Ora il suo erede Abdel Fatah al-Sisi potrebbe andare fino in fondo.

LA STAMPA - Stefano Stefanini: "Il nervo scoperto che punge il Medio Oriente"

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Stefano Stefanini

Lo scontro aperto fra Qatar e resto del Golfo, Riad in testa, rivela un nervo scoperto che attraversa Nord Africa e Medio Oriente. La Libia si è divisa: silenzio a Tripoli, mentre Tobruk si è unita al boicottaggio anti-Doha. Non è una sorpresa, ma la conferma della spaccatura del Paese: una grossa preoccupazione per l’Italia. La rottura delle relazioni diplomatiche da parte di Arabia Saudita, Emirati, Emirati e Bahrein (e «governo legittimo» dello Yemen) isola Doha.

Nel Golfo l’unica eccezione è l’Oman; Mascate mantiene l’atteggiamento di chi cerca di badare ai fatti propri rimanendo al di fuori delle liti di famiglia - finché può permetterselo. Il Qatar paga il prezzo di aver cavalcato spregiudicatamente l’opposizione ai regimi al potere nelle altre capitali, in particolare quella dei Fratelli Musulmani. Imbaldanziti dall’esplicito appoggio americano, i sauditi e i loro alleati si sentono ora in grado di sfidare l’eccentricità qatarina.

L’emiro Tamin bin Hamad al Thani, ha risposto con l’espulsione di due rappresentanti di Hamas. Il gesto è conciliante, ma di mezza misura. Da sempre Doha apre e chiude a piacimento il rubinetto di Hamas. La Palestina è un teatro marginale agli equilibri del Golfo. La vera partita si gioca su due tavoli: quello interno del filo doppio fra Qatar e Fratelli Musulmani; quello esterno dei rapporti con l’Iran. Determinante il primo.

Il tavolo interno è infatti la lotta di potere in cui i regimi arabi si giocano sopravvivenza e futuro. Per il Cairo, il sostegno qatarino al destituito e imprigionato Mohamed Morsi è stato fumo negli occhi. Il secondo riflette invece puro pragmatismo. Le risorse gasifere qatarine son contigue a quelle iraniane, al punto che per arrivare alle piattaforme gli elicotteri qatarini attraversano brevemente lo spazio aereo iraniano. Doha ha un’abitudine di contatti con Teheran sconosciuta a sauditi e emiratini. Non se ne fida affatto, vorrebbe avere proibitive capacità militari di deterrenza, ma si ritiene capace di gestire il vicinato senza scontri frontali.

Piccolo solo sulla carta geografica, il Qatar ha enormi risorse finanziarie (galleggia su una gigantesca bolla di gas), una rete trasversale di simpatizzanti, dalla Turchia alla Libia, e il «soft power» di Al Jazeera. La Coppa del Mondo del 2022, una sfida al clima torrido, non si conquista per caso. La famiglia al Thani ha inventato Doha come contraltare a Riad sia nel costume, più liberale e occidentalizzato, sia nella politica estera indipendente. In era Obama (e GW Bush) Washington accettava le divergenze nel Golfo come un male minore, senza schierarsi. La nuova amministrazione americana ha fatto decisamente pendere il piatto della bilancia a favore di Riad. L’equilibrio è saltato.

Secondo un autorevole ambasciatore italiano nella regione, la rottura era inevitabile. Trump ha solo dato il colpo di grazia. «La Fratellanza è stata sconfitta in Egitto e in Tunisia. Soprattutto l’appeasement con l’Iran ha aperto le porte alla Russia in Medio Oriente e in un’espansione in Iraq e Siria di milizie tipo Hezbollah. La caduta di Aleppo ha offerto un’immagine plastica della sconfitta americana e saudita in Siria». Resta da vedere se il nuovo allineamento, pur col vento americano in poppa, sia in grado d’imporsi su un mondo arabo e sunnita più propenso a dividersi che unirsi. E’ chiaro che il collante dovrebbe essere il nemico esterno, l’Iran e suoi accoliti (Assad, Hezbollah). Riad sta spingendo su una «Nato araba» di limitate capacità militari congiunte; sarà il primo banco di prova.

Mentre nel Golfo risuona ancora l’eco della visita trionfale di Donald Trump in Arabia Saudita, le ricadute strategiche non sono solo rose e fiori. Egli ha giocato la carta della solidarietà araba e sunnita in funzione anti-iraniana. La risposta degli ospiti sauditi e di altri leader, come l’egiziano Abd al-Fattah al-Sisi, è stata poco meno che entusiastica; a Gerusalemme, gli israeliani hanno annuito soddisfatti. Ma l’unità su cui il Presidente americano ha fatto leva non esiste. L’eccezione qatarina è la spia delle faglie che attraversano il Golfo e il mondo arabo. La Russia non starà a guardare.
Alla Casa Bianca Donald Trump ha scoperto che governare l’America è più complicato di quanto si attendesse. Il Medio Oriente lo è ancora di più.

IL GIORNALE - Gian Micalessin: "Al Qaida, al Nusra, Hamas, Isis: il dossier sui fondi neri di Doha"

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Gian Micalessin

I l Qatar flirta con il terrorismo? Ma che bella novità. L'amministrazione Obama ha sempre finto di non saperlo, ma l'intelligence Usa lo sa da 25 anni. Per capirlo basta leggersi le deposizioni rese da Jamal Al Fadl, un ex socio in affari di Osama Bin Laden, alla Commissione d'inchiesta del Congresso sull'11 settembre. Secondo Al Fadl fino al 1993 il Qatar è uno dei maggiori sovvenzionatori della nascente Al Qaida. E secondo altri rapporti d'intelligence nel 1993 Khalid Sheikh Mohammed, il terrorista pakistano logista e organizzatore degli attacchi dell'11 settembre, vive in Qatar ospite di Khalid bin Hamad Al Thani, l'allora ministro per gli affari religiosi, futuro ministro dell'interno e primo cugino dell'emiro. Dal Qatar Khalid Sheik avrebbe trasferito al nipote Ramzi Yousef i soldi per mettere a segno nel 1993 il primo attentato alle Torri Gemelle. E Khalid Sheik sarebbe tornato in Qatar per almeno due settimane subito dopo l'11 settembre.

Altri rapporti d'intelligence statunitensi, citati nel 2003 in una lettera del Dipartimento alla Difesa al Congresso, riferiscono di due passaggi a Doha di Bin Laden tra il 1996 e il 2000 e di un prolungato soggiorno, durante la prima visita, in una residenza della casa reale. L'inaffidabilità del Qatar viene ufficialmente sancita dal sottosegretario di stato al Tesoro David Cohen che - in un rapporto dell'aprile 2004 - ricorda come alcuni «donatori operando da giurisdizioni molto permissive - particolarmente Qatar e Kuwait - raccolgono fondi per finanziare gli estremisti ..... i destinatari di questi fondi sono spesso gruppi terroristi tra cui il Fronte di Al Nusra affiliato siriano di Al Qaida e lo Stato Islamico dell'Irak». Per non parlare dei soldi devoluti ai fondamentalisti palestinesi di Hamas.

Le accuse più circostanziate riguardano i fondi girati da una parte alla fazione siriana di Al Qaida e dall'altra a quella irachena dello Stato Islamico. L'eminenza grigia di questi finanziamenti, secondo un rapporto della «Fondazione per la Difesa della Democrazia» è il 61enne professor Abd al Rahman al Nuaymi, fondatore dell'«Al Thani Charitable Association», una delle più importanti associazioni caritatevoli del regno, ex membro dell'ufficio centrale della Qatar Islamic Bank ed ex presidente dell'Associazione Calcio qatariota. Il professore, stando al Dipartimento del Tesoro americano, «è da oltre dieci anni un fiancheggiatore e un finanziatore del terrorismo che dal Qatar intrattiene rapporti e fornisce denaro e appoggio materiale ad Al Qaida e ai suoi affiliati in Siria, Irak, Somalia e Yemen». Secondo il rapporto il professore ha contribuito al trasferimento «di almeno 2 milioni al mese ad Al Qaida Irak - il gruppo trasformatosi poi nello Stato Islamico - e oltre mezzo milione a Abu Khalid Al Suri, dirigente di Al Qaida in Siria». Nonostante queste prove le autorità del Qatar si sono sempre rifiutate di estradare Al Nuyami che grazie ai contatti con la casa regnante continua a vivere sotto la protezione dei vertici dell'Emirato. Ma le relazioni pericolose del Qatar riguardano anche noi. Prendiamo la «Qatar Charity Foundation», la più importante istituzione di assistenza islamica dell'Emirato.

Nel gennaio 2016 illustrando un finanziamento da 5 milioni di euro per la costruzione di una Moschea a Bergamo Ibrahim Mohamed, tesoriere dell'Unione delle Comunità islamiche d'Italia (Ucoii) spiega che quella donazione rappresenta «un quinto dei 25 milioni di euro trasferiti in Italia per realizzare 33 nuovi centri islamici». Peccato che la fondazione trasferisca soldi anche ad Al Qaida. Soldi che stando al ministero della Giustizia statunitense «vengono elencati nei registri dell'organizzazione come spese per la costruzione di moschee e scuole oltre che al sostegno di poveri e bisognosi». Esattamente come in Italia.

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