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Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
27.05.2017 Egitto: la strage dei copti
Analisi di Daniele Raineri, cronaca di Giordano Stabile

Testata:Il Foglio - La Stampa
Autore: Daniele Raineri - Giordano Stabile
Titolo: «Lo Stato islamico gira il video di una strage di copti nel sud dell’Egitto - Scatta l'offensiva di Ramadan: 'Convertitevi o vi uccidiamo'. L'Isis fa strage di copti sul bus»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/05/2017, a pag.1, con il titolo "Lo Stato islamico gira il video di una strage di copti nel sud dell’Egitto" l'analisi di Daniele Raineri; dalla STAMPA, a pag. 7, con il titolo "Scatta l'offensiva di Ramadan: 'Convertitevi o vi uccidiamo'. L'Isis fa strage di copti sul bus", la cronaca di Giordano Stabile.

Ecco gli articoli:

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Lo Stato islamico gira il video di una strage di copti nel sud dell’Egitto"

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Daniele Raineri

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Copti egiziani

Roma. In qualche modo una cellula dello Stato islamico a sud del Cairo in Egitto ha mandato – o sta mandando – in Siria il materiale grezzo girato ieri con una telecamera durante il massacro di 28 cristiani copti. Dal punto di vista del gruppo, è materiale importante da riversare su internet: dieci uomini travestiti da militari hanno piazzato un finto checkpoint sulla strada desertica che porta al convento di Anba Samuel, duecento chilometri a sud della capitale, hanno fermato due piccoli bus e un terzo veicolo, hanno chiesto di che religione fossero i viaggiatori, quando hanno avuto la conferma che si trattava di cristiani copti li hanno fatti scendere, li hanno picchiati, li hanno messi in riga e li hanno uccisi con colpi di fucile alla testa (anche alcuni bambini). L’attacco di ieri ha molti punti in comune con un’altra strage di cristiani egiziani, erano ventuno, filmata su una spiaggia di Sirte in Libia nel gennaio 2015. Anche in quel caso il girato era stato spedito in Siria per essere trasformato in un video in alta qualità e poi fatto girare su Internet per far compiere un salto di notorietà alla fazione libica.

Questa volta è possibile che gli egiziani dell’Isis abbiano mandato quello che hanno registrato al quartier generale di al Mayadin, che è una piccola città nel troncone siriano della valle dell’Eufrate diventata la nuova capitale minore dello Stato islamico, ora che Mosul e Raqqa sono ridotte a due trappole assediate da forze nemiche. Le finte divise, il checkpoint, la selezione, le uccisioni con un colpo alla testa, il video: sono tattiche già usate altrove, in Iraq, in Pakistan, in Libia. Ma il contesto più ampio è nuovo, da sei mesi a questa parte lo Stato islamico ha deliberato lo spostamento di tutti i cristiani egiziani dalla categoria dei “sottomessi” a quella degli “idolatri”, con le conseguenze che ne derivano: i sottomessi non devono essere uccisi a vista, ma gli idolatri sì. Da questa deliberazione ideologica – motivata dai fanatici con il fatto che i cristiani stanno con il governo del presidente Abdul Fattah al Sisi e quindi non sono neutrali – nasce l’escalation di questi mesi, che procede per fasi. Prima l’Isis ha colpito la cattedrale di Abbaseya, al Cairo (28 morti). Poi ha lanciato una campagna di sorveglianza e denuncia dei cristiani, in cui invitava tutti gli egiziani a fornire informazioni sui bersagli cristiani. Quindi ha compiuto una doppia strage, la domenica delle Palme, in due chiese ad Alessandria e a Tanta (44 morti), nella regione del delta del Nilo – quindi a nord del Cairo, all’opposto di dove è stata compiuta la strage di ieri. Ora, ultimo giorno prima del mese sacro di Ramadan in cui gli attentati aumentano, è entrata in attività anche questa cellula dello Stato islamico a sud (è un’area con problemi storici di violenza islamista).

Il testo che giustifica i massacri
Se è chiaro che l’imboscata contro civili di ieri è l’episodio più recente di questa campagna di massacri anticristiani, c’è da chiedersi: qual è la strategia dello Stato islamico? Il ricercatore Mokhtar Awad, della Georgetown University di Washington, cita un breve saggio jihadista scritto nel 2014 da un idoelogo dello Stato islamico, Abu Mawdud al Harmasy, che si chiede come mai gli egiziani siano così sordi al richiamo del jihad, “come fossero bestiame”, “non capiscono la realtà di questa lotta”. Per superare l’impasse, al Harmasy prescrive di attaccare i cristiani per alzare la tensione, incendiare le aree rurali e creare un clima di guerra contro il governo e i militari. La solita ricetta politica dell’Isis: incunearsi dove c’è già una spaccatura e sfruttarla, sia essa la guerra civile tra sunniti e sciiti in Iraq, oppure la lotta tra ribelli e assadisti in Siria, o ancora il conflitto tra est e ovest in Libia. In Egitto, i cristiani fanno da vittime sacrificali per scatenare la reazione armata dell’esercito e innescare un conflitto più ampio.

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Scatta l'offensiva di Ramadan: 'Convertitevi o vi uccidiamo'. L'Isis fa strage di copti sul bus"

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Giordano Stabile

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Al Sisi, Presidente egiziano

Uccidere durante il Ramadan, uccidere donne e bambini, per avere «una ricompensa più grande». Il mese del digiuno comincia oggi, ma è già intriso di sangue come l’anno scorso. E nel mirino ci sono soprattutto gli innocenti. Straziati da un kamikaze lunedì a Manchester, uccisi con un colpo alla testa ieri in Egitto. «Semplice terrore», lo chiama l’Isis. Un’offensiva mondiale, dall’Inghilterra alle Filippine. Programmata, una nuova fase della jihad. Lo spiega un video di propaganda, che incita «i fratelli musulmani che non possono combattere nel Califfato, ad attaccare gli europei nelle loro case, mercati, strade e raduni». A sollevarsi in una «guerra totale».

Non c’è pietà per nessuno. «Non disprezzate il lavoro – è l’invito -. Avere come obiettivo i cosiddetti innocenti e civili è amato da noi ed è il più efficace, proseguite e avrete una grande ricompensa». Il martirio durante il Ramadan vale di più. Manchester, nella logica assassina dei jihadisti, è stata un assaggio. A cinquemila chilometri di distanza, ieri, c’è stato un altro capitolo. Un pullman di pellegrini copti, diretto al monastero di Anba Samuel, vicino a Minya, 220 chilometri a Sud del Cairo. Lo fermano uomini in divisa, una decina. Un finto check-point. Sono i terroristi dell’Isis. Salgono sul pullman, kalashnikov in pugno.
«Sull’autobus c’erano tanti bambini – racconta un sacerdote copto –. Hanno rubato soldi e oro. Poi hanno ordinato loro di convertirsi, di diventare musulmani. Hanno rifiutato. Allora li hanno puntato la pistola alla testa e li hanno uccisi». Sono rimasti sul terreno almeno 35 morti, decine di feriti. Il Papa era venuto un mese fa in Egitto a portare un messaggio di pace e convivenza. Ahmed Al-Tayyeb, il grande imam di Al-Azhar, lo aveva abbracciato. Ieri ha condannato la strage, «inaccettabile» per l’islam. La risposta di Al Sisi, che ha chiesto a Trump di assumere la guida della lotta al terrorismo, è stata durissima: in serata l’aviazione egiziana ha colpito basi dei miliziani nell’est della Libia, vicino a Derna.

Ma non per la versione salafita, jihadista, che considera un dovere uccidere «gli infedeli». Specie durante il Ramadan. Lo stato di emergenza proclamato dal presidente Abdel Fatah al-Sisi dopo le stragi della Domenica delle Palme a Tanta e Alessandria, le decine di migliaia di soldati dispiegati nelle strade, non sono riusciti a fermare gli islamisti. L’Isis si è radicato nel Nord del Sinai, dove il gruppo Ansar al Bayt al-Maqdis, ha giurato fedeltà al califfo Abu Bakr al-Baghdadi tre anni fa.

Dalla Penisola decine di migliaia di copti, il dieci per cento della popolazione egiziana, sono dovuti fuggire per le esecuzioni, gli assalti alle chiese.
Le cellule degli uomini in nero si sono infiltrate nel Delta del Nilo e al Cairo. A dicembre, un kamikaze ha fatto strage nella chiesa di San Marco. Ora il gruppo si è spinto a Sud, nell’Alto Egitto, dove c’è il cuore della comunità copta, monasteri millenari, antichi quasi quanto il Vangelo. L’Egitto è nel mirino, con la crisi economica, l’inflazione al 30 per cento che si mangia i consensi per il regime di Al-Sisi.

L’offensiva del Ramadan mostra l’ampiezza delle ambizioni dell’Isis. Dalle foreste dell’isola filippina di Mindanao, l’unica a maggioranza musulmana, è sbucato un battaglione di 800 combattenti, molti stranieri. Hanno preso una città di 200 mila abitanti, Maraqi, assaltato il posto di polizia e la prigione, bruciato la chiesa, rapito un sacerdote e i suoi fedeli, issato la bandiera nera sugli edifici governativi. Il presidente Rodrigo Duterte ha inviato una brigata delle forze d’élite. Decine di soldati sono rimastici uccisi, bruciati nei blindati distrutti dai lanciarazzi.

L’Asia meridionale è terra di conquista. Due kamikaze hanno colpito anche a Giacarta, capitale dell’Indonesia, a una stazione dei pullman, tre morti. Dove c’è tensione fra comunità religiose, Stati falliti, regimi traballanti, l’Isis avanza. La Somalia è un’altra preda. Quarant’anni di guerre civili l’hanno trasformata in un puzzle di potentati locali, con il governo sostenuto dall’Onu e dalle truppe dell’Unione africana che controlla Mogadiscio e poco più. Tre giorni fa l’Isis ha colpito per la prima volta, a un check-point, con un kamikaze. Un altro assaggio di Ramadan.

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